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 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

UNA CLINICA PER CURARE I BUGIARDI

[Gli pseudologen: un problema per se stessi e per gli altri] –
La sincerità sarebbe una delle antiche virtù tedesche, quelle che risalgono a Lutero. E così vi dicono la verità in faccia, con brutalità, gli amici e i medici. Lei è messo male, ha fatto testamento? E come ti vesti? Fai schifo. I tedeschi non mentono, e questa è già la prima bugia.
Noi italiani mentiamo per gentilezza, e loro ci considerano ambigui e infidi eredi di Machiavelli. Pinocchio non era toscano come l’autore del Principe? Sarà, ma Goethe sosteneva che «i tedeschi mentono per essere cortesi», come noi, ma a quanto pare oggi è poco letto.
Il bugiardo per antonomasia non sarebbe il tedesco barone di Münchausen? Loro sostengono di no: le fantasticherie non sono menzogne, ma invenzioni poetiche. Chi può credere che si voli su una palla di cannone? E i politici? L’ex deputata di Amburgo e professoressa di filosofia, Simone Dietz, ha scritto un libro intitolato Die Kunst des Lügens, l’arte della bugia, in cui sostiene giustamente che «mentire rende la vita più facile». Non ha avuto fortuna, infatti non è stata rieletta. La sincera Angela Merkel vinse nel 2005 pur avendo annunciato durante la campagna elettorale che avrebbe aumentato l’Iva. Gerhard Schröder invece nel 2002 vinse e, subito dopo, fece il contrario di quanto aveva promesso, e fu sottoposto a una commissione parlamentare sulle bugie, chiamata appunto «Pinocchio». Solo i tedeschi possono credere che un politico non menta, Gerhard fu assolto per carità di patria. Sostenne che si era sbagliato sulle previsioni, ancora una bugia.
Che la sincerità teutonica sia una menzogna lo dimostra l’apertura a Berlino di una specie di pronto soccorso per bugiardi patologici per iniziativa del primario e professore di psichiatria Hans Stoffels. Già il nome tradisce la preoccupazione: i pazienti vengono definiti diplomaticamente «pseudologen», bugiardi ma non troppo. Mentono non per cattiveria ma perché afflitti da una sindrome, sono malati da guarire.
Come terapeuta, racconta Stoffels, ogni giorno ascolta storie, alcune inverosimili, altre plausibili, e molte a cui vorrebbe credere tanto sono affascinanti. I suoi pazienti, che cura in ambulatorio nella clinica Sophie Charlotte, nel Westend, quartiere residenziale di Berlino, sono quasi tutti creativi, e gradevoli conversatori. Persone che non riescono a dividere realtà e fantasia. Uno pretendeva di essere l’ultimo discendente dei Romanov, come Anastasia. Un altro di essere imparentato con la casa regnante di Spagna, un terzo di essere stato picchiato brutalmente da sconosciuti nel parco sotto casa. «All’inizio devo credere ai loro racconti», spiega, «altrimenti perderei la loro fiducia». Ma, dopo 50 minuti, la seduta viene interrotta, anche nel mezzo del più affascinante dei racconti. «Non la finirebbero mai», sospira, «uno pseudologen andrebbe avanti finché dura la pazienza di chi lo sta ad ascoltare».
Uno studente di medicina fingeva di sostenere un esame dopo l’altro, e infine aveva detto al padre di voler interrompere gli studi perché la berlinese squadra di basket lo aveva ingaggiato come giocatore professionista. Ma non ne aveva la statura, e il genitore lo spedì disperato dal professore Stoffels. Quasi sempre sono i parenti a venire per primi da lui a chiedere aiuto contro il bugiardo di famiglia. In media, ammette lo specialista, ognuno di noi dice un paio di bugie al giorno. Niente di male, sono necessarie alla convivenza, tra moglie e marito, in ufficio, con gli amici. Un malato arriva a 200 menzogne giornaliere, perché è costretto a sostenere la sua incredibile verità. Non è facile capire subito di avere a che fare con un Pinocchio: Stoffels ha curato un paziente che sosteneva di essere un sopravvissuto di Auschwitz, veniva invitato a congressi internazionali, e aveva scritto un libro di memorie tradotto in tredici lingue, finché l’inganno venne alla luce. La fama dei tedeschi sinceri per tradizione nazionale favorisce le bugie: Konrad Kujau, l’autore dei falsi diari di Hitler, aveva messo in copertina una «F», in gotico, al posto della «A» di Adolf, e nessuno se ne accorse. Se si fosse chiamato Peppino Esposito, e fosse nato a Napoli, chi gli avrebbe creduto?