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 2012  novembre 26 Lunedì calendario

ALLARME “SHADOW BANKING” QUELLA MINA VAGANTE DA 67MILA MILIARDI DI DOLLARI


«Le attività degli intermediari non bancari e quindi non regolati sono caratterizzate da un alto leverage che aumenta la fragilità del settore». «L’intermediazione creditizia al di fuori del regolare sistema bancario può diventare una fonte di rischio sistemico, per cui occorrono un appropriato monitoraggio e una regolazione puntuale di questo comparto». «Affidarsi ad operatori non regolati per finanziare asset a breve termine predispone a improvvise crisi di liquidità con conseguenze imprevedibili ». Tre allarmi in poche settimane. Lo shadow banking, l’universo di istituzioni finanziarie “ombra” che operano over the counter, al di fuori delle regolamentazioni che interessano le banche, è ampio: dai private equity agli hedge fund, dai fondi del mercato monetario agli “emettitori” di titoli cartolarizzati. È diventato il sorvegliato speciale della finanza globale: all’improvviso nasce ai massimi livelli l’esigenza di regolamentazione a giudicare da queste tre dichiarazioni. La prima è tratta dal green paper della Commissione europea, che si è impegnata a emettere una direttiva di regolazione per questo composito settore entro il prossimo anno (Michel Barnier, commissario ai servizi finanziari, ha detto che si comincerà con i fondi monetari). La seconda frase proviene da un rapporto appena sfornato dal Financial Stability Board, un organismo del G20, che costituirà una delle basi deliberative al prossimo summit di San Pietroburgo il 5 settembre 2013 e prima ancora al G8 di Londra del 13-14 giugno. La terza proposizione infine è tratta da un ponderoso report della Federal Reserve di New York, distribuito agli economisti, si legge nel frontespizio, “allo scopo di stimolare la discussione e sollecitare commenti”.
Che questi commenti siano di preoccupazione è implicito nelle cifre del caso. Il sistema dello shadow banking gestisce oggi 67 trilioni di dollari, qualcosa come 67mila miliardi. È un quarto del totale delle transazioni finanziarie sul pianeta, l’equivalente del 111% del Pil aggregato di tutti i Paesi del mondo. Di questi soldi, il 35% viene generato in America: era il 44% prima della crisi, ora è salita sensibilmente la quota riguardante la Gran Bretagna, Hong Kong nonché l’Olanda, in cui - chiarisce lo stesso FSB che ha elaborato i dati - un numero crescente di società è basato, nei Paesi Bassi ma soprattutto nelle colonie caraibiche. A Londra le transazioni shadowsono pari al 379% del Pil, a L’Aia al 490%, a Zurigo al 210% ( vedere grafico): in Italia, Germania o Usa il rapporto è più ragionevole, ma siamo sempre su livelli di tutto rilievo a dimostrazione della crescita esponenziale del settore.
Lo shadow banking è infatti cresciuto a razzo, da 26 a 62mila miliardi, negli anni “buoni” fra il 2002 e il 2007. Ha avuto un minimo di rallentamento nel 2008 ma poi, paradossalmente proprio mentre i protagonisti del “sistema ombra” privi di controlli venivano additati come i principali colpevoli della più grave crisi dopo quella del ’29, ha ripreso tranquillamente ad impennarsi fino ai livelli attuali. «Tutto questo è un pericolo per l’economia mondiale - commenta Fabrizio Pezzani, economista della Bocconi - anzi aggiungerei un aggettivo: un pericolo mortale. Si deve a questi signori la folle finanziariazzazione dell’economia a partire da quella americana. Oggi negli Stati Uniti solo il 12% del Pil viene dal manifatturiero, in Germania il 30 e in Lombardia il 35%. Le incursioni della finanza nell’economia reale hanno risultati devastanti: se un fondo di private equityattacca in Borsa un’azienda e questa cresce del 25% in un giorno senza che quest’azienda abbia fatto scoperte sensazionali o siano morti tutti i concorrenti, che senso ha?» I pericoli si moltiplicano quando sono le banche stesse a lanciarsi in operazioni sul modello dello shadow banking: «La JP Morgan - aggiunge Pezzani - su assetdi 1800 miliardi di dollari ha 70mila miliardi di scommesse sui derivati. Significa 38 dollari di derivati su un dollaro di asset. E la Goldman Sachs ha aperti 44mila miliardi in “scommesse” coperti da un patrimonio di 19 miliardi ».
Sulle intersezioni fra istituzioni bancarie e non bancarie («un rapporto spesso incestuoso», lo definisce l’economista Rainer Masera) si soffermano a lungo, senza peraltro indicare soluzioni se non l’urgenza di trovarne, tutte e tre le analisi citate. «Bisogna stare attenti alle catene finanziarie lunghe, a volte con infiniti passaggi dello stesso denaro, perché se qualche anello passa per lo shadow banking, lì si forma un punto di debolezza che può far saltare tutto», scrive il FSB. «La regolazione del settore è indissolubilmente legata allo sviluppo di istituzioni europee più coese, ad esempio in tema di sorveglianza bancaria», rimarca il rapporto Ue. E lo studio della Fed aggiunge: «In questi anni si è ritenuto di intervenire con discount window o con forme pubbliche di assicurazione e rifinanziamento riservate alle istituzioni regolate che rischiavano di fallire perché avevano coinvolto altre istituzioni non regolatenelle loro transazioni peggiorando i rischi. A favore di queste non si è fornita alcuna tutela».
Non basta quest’ultima accortezza, ovviamente. Piuttosto, una domanda è inevitabile: perché non si è voluto finora regolare il settore? Una risposta la dà Masera, già ministro e banchiere, che come membro italiano della commissione De Laroisere tentò già qualche anno fa di abbozzare soluzioni per riportare la situazione sotto controllo: «Non è facile trovare un equilibrio perché questo settore, al quale a volte conviene rivolgersi specialmente per le piccole industrie visti i minori costi del credito, non va distrutto: bisogna però farlo emergere e renderlo trasparente». E Guido Rosa, presidente delle banche estere in Italia, aggiunge: «Parliamoci chiaro: qui si tratterebbe di istituire una sorta di regolatore mondiale che è quanto di più impraticabile esista sulla base dell’esperienza». Certo, riflette Rosa, «lo shadow banking aumenterà ulteriormente il suo vantaggio quando entrerà in vigore Basilea III, così come è successo ogni volta che si sono introdotte norme di regolazione del sistema bancario “normale”. A Basilea III peraltro non aderiscono le banche americane, per cui ditemi voi chi verrà più a investire in una banca europea visto che questa avrà meno capacità di credito». Delle difficoltà di trovare regole valide globalmente è convinto anche Carlo Maria Pinardi, economista anch’egli della Bocconi: «Prendiamo, per restare in Europa, la Gran Bretagna: si è chiamata fuori dal fiscal compact, poi dalla Tobin Tax, ora si è messa di traverso sul bilancio comunitario. Quante speranze ci sono che acconsenta ad un sistema di regole comuni per lo shadow banking? E senza la City, centro delle più importanti transazioni internazionali, come si può pensare a qualsiasi regolamento che riguardi la finanza?»
Gli economisti ammettono che lo shadow banking non è tutto da demonizzare: «Ha una funzione di intermediazione finanziaria diversificata che rende meno bancocentrica l’economia», spiega Paolo Guerrieri, docente di economia internazionale alla Sapienza. Che però aggiunge: «È preoccupante il grado di libertà di cui gode. Ricorda quello garantito alle grandi banche, peraltro fondamentali nelle transazioni shadowse è vero che le Big 5 di Wall Street detengono il 90% delle transazioni di derivati. Ecco, temo che proprio in questo intreccio d’interessi stia la spiegazione: non si toccano le grandi banche e non si tocca lo shadow banking. Due settori solo apparentemente all’opposto. Speriamo solo che l’Obama 2 riesca dove ha fallito l’Obama 1. Dipende dai tecnici di cui si circonderà».