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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

CENTO PER DIECI


La faccia di un centenario è una straordinaria trasfigurazione dell’uomo nel mondo animale. Le caratteristiche somatiche sono cariche al punto da renderlo somigliante a un topolino, una rana, una civetta. Ogni singola ruga è l’incipit di un romanzo. I peli, le macchie, le borse sotto gli occhi: è tutto scritto. Devi soltanto leggere, ascoltare. Devi decontestualizzare. Un foglio bianco alle spalle per togliere dalla scena particolari didascalici, per mettere in risalto il volto come portatore di una storia.
Al primo incontro con un centenario ti assale un forte senso di inadeguatezza. Pensavi di fare delle domande e di trascrivere delle risposte, ti ritrovi a urlare a pochi centimetri da un orecchio, con penna e taccuino in mano. Ti senti stupido e falso. Ti rendi conto che se vuoi raccontare la sua vita devi cogliere un’istantanea, una parola, uno sguardo, una cosa non detta.
La femminilità superba di Nandina, che vive in una struttura che tu chiami casa di riposo e la madre superiore invece residenza protetta. Lei arriva guidando un girello e si presenta: «Bernardini Nandina». Ecco, il nome di un anziano è sempre preceduto da un cognome. Ha 104 anni, compiuti il 31 luglio. È nata nel 1908. Porta orecchini e collana di perle, capelli raccolti con fermagli di bigiotteria. Ha due figli, una femmina che vive in Francia, un maschio che passa ogni giorno e una volta a settimana la porta a fare un giro in macchina. Il suo sguardo è fiero come le sue parole: «Ero una sirena, stavo sempre in acqua. Quando ero piccola avevo il mare sulla porta di casa, poi con il passare degli anni il mare è andato sempre più indietro e io ho dovuto camminare sempre di più per arrivare in spiaggia».
La storia di Nandina, la storia della sua città, La Spezia. Paradossi e contraddizioni: una città sul mare, ma il mare non si vede. È come se qualcuno dal cielo avesse tirato giù un sipario, sul quale sono disegnati muri di cemento, montagne di container, bracci meccanici, catene d’acciaio. Uno spezzino che vuole fare un tuffo deve prendere la macchina e guidare per mezz’ora fino alle Cinque Terre. La sua città, negli anni del boom economico, ha preferito l’industria al turismo, la vocazione statale e parastatale a quella imprenditoriale. Attorno all’arsenale militare si è sviluppato il porto commerciale, che nel rapporto metri quadrati e movimento merci è secondo al mondo. Poi la Oto Melara, azienda della Finmeccanica che costruisce pezzi di cannoni. E la controversa centrale dell’Enel, che negli anni Sessanta bruciava 600 mila tonnellate di carbone l’anno e sputava fuliggine sulle inconfondibili casette colorate liguri.
Negli anni Settanta La Spezia raggiunse il secondo posto in Italia per decessi da tumori dell’apparato respiratorio. Poi vennero le mobilitazioni, il referendum e la parziale riconversione della centrale. Oggi, nella classifica di Ecosistema urbano, ricerca di Legambiente e Ambiente Italia con Il Sole 24 ore che misura la qualità della vita sulla base di energia, rifiuti, aria, mobilità e verde pubblico, La Spezia è la terza delle città medie, dopo Trento e Bolzano e prima di Parma.
Ma non può bastare questo a far sì che, oltre a Bernardini Nandina, a La Spezia ci siano 44 centenari, 38 femmine e sei maschi. Le più anziane sono tre donne di 105 anni, l’uomo più vecchio ne ha 101. Solo cinque vivono in case di riposo o residenze protette, gli altri stanno a casa, con badanti e familiari. Il segreto? La dottoressa Roberta Baldi, del dipartimento Asl 5, parla di una serie di fattori locali che poggiano su tre pilastri: salute, partecipazione alla vita sociale, sicurezza.
I centenari di La Spezia hanno caratteristiche comuni: stile di vita corretto, poca sedentarietà, poco alcol nell’età adulta, percentuale di fumatori ferma al 20 per cento. Il 25 per cento mangia cinque porzioni di frutta e verdura al giorno (esattamente quanto raccomanda la scienza per essere longevi mantenendosi in buona salute). La sintesi della politica spezzina sulla terza età è l’iniziativa dei «gruppi di cammino», ovvero il ritrovo bisettimanale degli anziani per passeggiate che durano almeno un’ora e mezzo.
Nella stessa struttura di Nandina da vent’anni abita Plicanti Felicina, nata il 7 aprile 1912 in Lunigiana. Ecco, nel momento in cui chiedi la data di nascita, il centenario risponde come fosse al Lascia e raddoppia di Mike Bongiorno, fiero e tempestivo. Felicina non ha figli, un nipote viene a trovarla e le porta la biancheria pulita.
Quasi tutti i centenari declinano i verbi al passato. Rossi Rina, nata il 4 agosto 1908, parla al presente e futuro. Sorridente, vulcanica, vive da sola nella sua casa, dove passano spesso i tre figli, cinque nipoti e quattro pronipoti. Rina si alza al mattino alle 8, apre tutte le finestre, poi passa la figlia con un pezzo di focaccia ligure, beve il caffè e si siede a lavorare all’uncinetto. Fa tende, tovaglie, lenzuola, centrotavola, presine. A mezzogiorno si mette ai fornelli, se capita cucina anche polenta e stoccafisso. A metà pomeriggio, gelato o dolce, e tanto uncinetto. Tv spenta, parlano sempre di gente ammazzata... Una volta a letto, se non legge non riesce a dormire. Sul comodino ora c’è Un regalo da Tiffany, di Melissa Hill. La sua passione è il giro al centro commerciale con la figlia, come andare al luna park. «Io starei sempre fuori. Nella mia vita ho camminato e mi sono mossa tanto. Quando vado al supermercato, le commesse mi vengono ad abbracciare e baciare. Ho sempre incontrato gente meravigliosa».
Anche Savina Giuseppina, nata il 10 settembre 1908, ha fatto incontri sorprendenti durante una vita segnata dagli stenti. «Ti posso raccontare la miseria vista e vissuta. In tempo di guerra ero a servizio in una casa di signori a Montelungo. Ma avevamo la roba a Pontremoli. Temevo che la bruciavano e facevo avanti e indietro a piedi. Avevo paura, andavo come un missile. Una volta mi ha vista un camionista tedesco e mi ha chiesto se volevo salire. Non sapevo che fare, avevo paura. Ma poi sono stati gentili, era brava gente. I tedeschi avevano paura pure loro dei partigiani. Io avevo sempre fame, andavo al porto a chiedere un tozzo di pane duro ai militari, e quando me lo davano lo bagnavo e lo mangiavo. Poi mi ero procurata una bottiglia di vino, dovunque andavo chiedevo un uovo, lo giravo con il vino e lo mandavo giù. Sempre fame, avevo sempre fame». Oggi Giuseppina ha una casa, una badante, una figlia che se la coccola e un nipote che le vuole un gran bene. È appassionata di ciclismo, parla di Petacchi e di Nibali.
L’azienda sanitaria numero 5 della Liguria conta 58 mila persone over 65 e 9.100 persone con più di 85 anni, il 4,3 per cento della popolazione (Liguria 4 per cento, Italia 2,7 per cento, il primato è della provincia di Trieste con il 4,5 per cento). La Spezia ha sviluppato negli anni una vera vocazione alla terza età, grazie al sindaco Massimo Federici, 56 anni, appena riconfermato, e grazie a persone come Floriana Vettori, referente dei centri sociali per anziani, che vive il suo lavoro come una missione: «Gli anziani vogliono essere ascoltati. E toccati. È difficile toccare un anziano. Loro chiedono rispetto, non compassione, e non amano essere chiamati nonnini. Hanno una storia alle spalle che non può essere ridotta a un vezzeggiativo».
Sulla collina sopra La Spezia, seguendo la strada verso Genova, ci si imbatte in un leccio storico che ha più di 300 anni, alto 13 metri e largo 3,5 metri. Qui ogni giorno arriva in autobus Bettinotti Cesare, nato il 27 marzo 1912, non certo per contemplare il più anziano Quercus ilex, ma per pranzare al ristorante La Gira. Ha un debole per il fritto. I suoi due figli vivono lontano, lui è vedovo da 20 anni ed è un cattivo cuoco. Ma si veste bene, camicia a quadri, cravatta, berretto, portamento elegante. «Il segreto è non voltarsi mai indietro. Io in vita mia ho sempre camminato tanto, non mi sono mai lasciato andare ai vizi. L’unica volta che ho sgarrato è stato a vent’anni, quando sono tornato a casa alle 5 del mattino, per il resto sempre dentro prima di mezzanotte».
C’è chi come Capitani Aicale Vincenzina, nata il 26 luglio 1910, ostetrica di professione, dice che è durata tanto grazie al Brunello e al vino di Montalcino, il suo paese di origine. Mentre Galantini Caterina, nata il 16 luglio 1912 alle 20.30, e registrata ufficialmente il giorno dopo, deve molto allo zio, che le ha dato un tetto e un futuro, anche se non è stato facile: «La mia era una famiglia numerosa, nove fratelli, con il nonno in casa, la vera autorità. I miei zii non avevano figli e, quando avevo 5 anni, una sera mi hanno portata con loro senza dirmi nulla. Nella nuova casa avevo una stanza per me, ma era lontana dalla camera degli zii e la notte avevo paura. Ricordo ancora il tic tac della grossa sveglia sopra la scrivania dello zio, mi svegliavo e mi sembrava di sentire dei passi in corridoio». In effetti non è facile toccare un anziano, ma quando lo fanno loro, il loro tocco ti entra nella pelle e va ad accarezzarti l’anima.

(Twitter @carmeloabbate, carmelo. abbate@mondadori.it)