Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 24/11/2012, 24 novembre 2012
HO RICOPERTO LE MIE STANZE CON I COLORI DI BALLA
Il palazzo, oltre le Mura Aureliane dalle parti di piazza Fiume a Roma, risale al primo Novecento. Ma la scena nello studiolo dell’appartamento al primo piano sembra uscita da un quadro di Vermeer: una giovane donna, con una sciarpa color del sole, lavora assorta a un piccolo telaio di legno immersa nella luce che piove dalla grande finestra. Ogni tanto alza gli occhi verso la scuola dall’altra parte della strada. All’ora di pranzo, attraverso le finestre del refettorio, intravede la figlia di due anni seduta ai piccoli tavoli con i le compagne. Nello studiolo e nel resto dell’appartamento risplendono matasse di fili dai colori croccanti. Livia Crispolti, figlia del celebre storico e critico d’arte Enrico Crispolti, uno dei maggiori studiosi del futurismo italiano, ha creato qui la sua casa-laboratorio, dove gli spazi della vita privata si mescolano felicemente a quelli dedicati al lavoro. Sul divano, accanto al telaietto da campionatura dove Livia tesse a mano le sue sciarpe, sono ammucchiati gilet e vestiti per bambini realizzati a maglia con un telaio più grande che occupa quasi tutta la stanza adiacente. In un angolo si innalza fino al soffitto un grande albero di Natale lavorato con lane a punto traforato. Sulla piccola collezione di vecchie forme in legno per cappelli, nell’ingresso, risplendono cloche in velour di lapin color smeraldo, turchese e porpora. Sui pioli della scaletta appoggiata alla libreria del salotto sono appese le cravatte che Livia lavora con i ferri, a punto legaccio, con un filato in cotone che le consente una texture semplice e resistente. «Ho scelto il colore ? dice ? come linguaggio non verbale, iconico, per il quale ogni tonalità potesse comportarsi come una parola ricca di senso, di allusioni, di corrispondenze immediate».Racconta che tutto iniziò da una frase di Vasilij Kandinskij, vent’anni fa: «Il punto di partenza è lo studio del colore e dei suoi effetti sugli uomini». Cominciò anche a guardare con maggiore attenzione due cravatte di Giacomo Balla, incorniciate e da sempre appese al muro nella sua camera di bambina, e il quadro di Jim Dine, due metri per due, che troneggiava nella stanza degli ospiti con il dipinto di una gigantesca cravatta a strisce in arancione, giallo e verde. «Mi sono subito accorta che la cravatta è un oggetto di particolare semplicità, che permette di comunicare facilmente messaggi visivi in grado di modificare l’aspetto di chi l’indossa. Così è diventata per me un cliché sul quale esprimere le mie partiture cromatiche».Per le infinite combinazioni di colore Livia poteva attingere dal bagaglio iconografico sedimentato negli incontri con gli artisti che frequentavano lo studio del padre e nella ricchissima biblioteca di famiglia. Si mise a studiare Kasimir Malevic e le sue armonie costruttiviste, l’uso del colore di Sonia Delaunay e dei futuristi, le campiture di Mark Rothko, le elaborazioni di Kenneth Noland, i monocromi di Yves Klein, le geometrie pittoriche di Sean Scully, la produzione tessile di Ann Sutton, l’uso empatico del colore di Anish Kapoor. Poi andò a cercare negli archivi il lavoro di Carlo Scarpa per la Tessoria di Asolo negli anni 60, per la quale il celebre architetto fece realizzare numerosi tessuti, scegliendo il filo di seta, le tinture, gli accostamenti, la trama.Dopo un apprendistato a Cantù presso l’artista tessile Marisa Bronzini, Livia Crispolti ha cominciato a insegnare cultura tessile all’Accademia di Brera, dove con alcuni studenti musicisti sperimenta le partiture musicali sul telaio e gli abbinamenti dei colori con le note, secondo il sistema elaborato da Kandinskij. Ma ha continuato a lavorare a mano le sue cravatte, pezzi unici che ogni tanto espone, come in una minuscola galleria d’arte, nelle due vetrine dell’archivio del padre, su via di Ripetta. È lì che le vide Carlo Ripa di Meana e cominciò a collezionarle e a regalarle agli amici: «Le due vetrine nella notte bruciavano, tanta era l’intensità del colore di quelle cravatte paragonata alle strisce girate normalmente intorno al collo degli uomini».Gli stessi colori che bruciano dentro la casa-laboratorio di Livia, perfino in cucina dove il grande tavolo quadrato, due metri per due, accoglie per metà le stoviglie dei pasti e per l’altra metà matasse di fili, libri, disegni. Lo ha progettato lei stessa, con il marito avvocato e un amico architetto, e lo ha realizzato il falegname Wladimiro a S. Stino di Livenza, in Veneto, con sei legni diversi: pino, ciliegio, noce, faggio, castagno, acero. Sotto il grande tavolo, la piccola Carolina costruisce casette per un mondo segreto. Le cravatte di Livia Crispolti si possono vedere sul catalogo in uscita a metà novembre presso l’editore Gangemi o sul sito www.liviacrispolti.com.
Lauretta Colonnelli