Gabriele Romagnoli, la Repubblica 27/11/2012, 27 novembre 2012
LA VITTORIA DA RIBALDI QUELL’INSANO PIACERE DELL’ITALIANO MEDIO
[Vincere con un rigore dubbio dà più gioia] –
A un estremo sta il barone De Coubertin, nobile decaduto, ormai fischiato anche dai bambini quando ripete biascicando: «Ehhh! L’importante non è vincere, è...». Non se lo ricorda manco lui che cosa sia più importante di vincere: era un infinito, ma è finito. All’altro estremo sta Silvio Berlusconi, che ha vinto tutto. Già circolava il sospetto che del come non gli importasse granché, ora lo certifica con le parole d’ordine della quattordicesima giornata: «Vincere con un rigore dubbio dà più gioia». Contro la Juventus poi, figurarsi (giacché contro il Siena o l’Atalanta quel tipo di successo fa sbadigliare, che c’è di nuovo?).
Non è questa la sede per analizzare ulteriormente la personalità e i metodi del cavaliere. A colpire è, una volta di più, l’assoluta, istintiva capacità di identificazione con l’italiano medio, ovvero il tifoso qualunque. Al vuoto di sportività si sostituiscono il pieno di interesse personale in conflitto con tutto, una smodata passione per le scorciatoie e l’avvenuto baratto tra eroismo e ribalderia che ha reso grandi uomini piccini. Bisognerebbe tornare a scuola e fare l’analisi grammaticale e del periodo, parola per parola. Proviamo.
«Vincere». Che cosa significa, che prezzo ha? C’è uno spicchio d’Italia cresciuto nel tormento di una strofa di Roberto Vecchioni (dalla canzone “Figlia”): «Vincere significa accettare», scoppiati in un applauso interiore alla scena di “Caro Diario” in cui Nanni Moretti proclama: «Non credo nella maggioranza delle persone. Anche in una società più decente di questa mi troverò sempre d’accordo e a mio agio con una minoranza». Masochisti, come i tanti tifosi che si crogiolano nel ricordo di una rocambolesca sconfitta piuttosto che in quello di una rivincita (davvero Atene non valeva più di Istanbul?). Poi c’è la maggioranza, caro Nanni, quella che
“vincere significa fregare”. Ha uno strano disgusto per la limpidezza. Ho vissuto a Torino e ho sentito gli juventini teorizzare la vittoria nel derby per un gol in fuorigioco al 91’ come parente dell’orgasmo multiplo. Ho vissuto a Roma e la felicità che ho visto nascere dalla vittoria sulla Lazio per autogol di Paolo Negro è stata infinitamente superiore a quella con poker di Vincenzo Montella. Apologia del broglio, elogio del mezzuccio, tifare contro. Anche contro la propria grandezza. Vincere è un verbo che perde se gli affianchi l’avverbio “comunque”. È un po’ la tara dell’antiberlusconismo a qualunque costo: va bene tutto pur di mandarlo a casa, quando l’unica cosa sacrosanta era una vittoria elettorale e non di un pugno di voti rubati, ma una valanga, un quattro a zero senza girone di ritorno. La Juventus è stata battuta due volte in questa stagione, dalle due milanesi. L’Inter ha vinto nettamente, in trasferta, giocando meglio. Il Milan ha sgraffignato in casa. Quale delle due vittorie è più bella? Quale sarebbe stata la miglior vendetta per il (non) gol di Muntari? Il taglione è una legge o l’espressione di uno stato poco avanzato della civiltà?
«Con un rigore dubbio». Il rigore dubbio è un concetto effimero. Esiste nell’attimo in cui l’occhio assiste, a volte neppure in quello. Il (non) gol di Muntari è sempre stato gol. Il (dubbio) rigore di domenica sera non è mai stato rigore. Dal momento in cui vedi le immagini televisive al replay le due possibilità si riducono a un’unica realtà e anche a parole dovrebbe esistere solo quella. Il tifoso è illogico: insulta il proprio portiere e rivendica falli inesistenti. L’uomo ragiona: chiede scusa al giocatore, ammette l’assurdità delle pretese. Perfino la Juventus, a volte, accetta la realtà signorilmente.
«Dà più gioia». È contraddittoria l’idea di felicità di Silvio Berlusconi. Nella stessa conferenza stampa esalta quella da piccola conquista ignobile e proclama come le tre massime espressioni del calcio l’Ajax di Cruijff, il Barcellona di Guardiola e il Milan degli olandesi. Quelle squadre sì, rendevano allegri. Vincevano senza lasciare dubbi. Il Milan degli olandesi (e di Berlusconi), per dire, conquistò la Coppa dei Campioni 1989 battendo in semifinale il Real Madrid per 5 a 0 e in finale la Steaua Bucarest per 4 a 0. Non le hanno mai fermate i complotti, le persecuzioni, i poteri forti o le cancellerie. Perché nel calcio come nella vita i migliori possono faticare, ma gli eccezionali vincono in carrozza. E questa è una certezza che dà gioia.