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 2012  novembre 27 Martedì calendario

RIVA DISSE: UNA MINCHIATA DUE TUMORI IN PIÙ ALL’ANNO

La magistratura di Taranto riscrive la storia dell’acciaio. Cinquecentotrenta pagine di ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip Patrizia Todisco accusano l’Ilva e la famiglia che ne è proprietaria, i Riva, di essere stata, per 17 anni, «un’associazione per delinquere». Che ha silenziosamente avvelenato gli operai della fabbrica, la gente di Taranto, un intero ecosistema, con fumi di diossina e idrocarburi.
Che, nel tempo, si è macchiata di «delitti contro la pubblica amministrazione, quali corruzioni, falsi, abusi di ufficio», fino a farsi «aberrante » Sistema. Utile ad ammansire i “rompiscatole” e a manipolare poteri pubblici, sindacati, amministratori locali, dal sindaco della città Enzo Stefano, al governatore della Regione Puglia Nichi Vendola, parlamentari, alti dirigenti del ministero dell’Ambiente, prelati, affinché l’acciaieria godesse di un’immunità che consentisse «la prosecuzione dell’attività produttiva senza il rispetto, anzi in totale violazione e spregio della normativa vigente».
LA FRASE SHOCK DI RIVA JR
All’Ilva — scrive il gip — in quale conto fossero tenute le conseguenze nocive della produzione è documentato da un brandello di conversazione telefonica intercettata la sera del 9 giugno 2010. Fabio Riva, figlio del patron Emilio, e già vicepresidente e amministratore delegato della società, discute con l’avvocato Perli dell’ennesimo passaggio stretto che l’azienda deve affrontare per poter continuare a tenere in esercizio lo stabilimento: il parere della Commissione Ambiente del Senato e le osservazioni del ministero dell’Ambiente propedeutiche al rilascio dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale). Perli — osserva il gip — è il professionista «che garantisce ai Riva ampia capacità di penetrazione al ministero dell’Ambiente » e raccomanda al suo interlocutore che «la “roba” della Commissione va un po’ pilotata ». Anche perché c’è un problema. Il direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, si sta mettendo di traverso con dati allarmanti sul superamento delle soglie di inquinamento ambientale dello stabilimento e sugli effetti catastrofici per la popolazione. Fabio Riva chiosa: «Due casi di tumore in più all’anno... Una minchiata».
L’OBBEDIENZA DEL MINISTERO
E del resto, che quell’Assennato sia visto come una fastidiosa mosca di cui liberarsi o comunque da ammansire, è nel tono di una seconda conversazione intercettata in cui, il 22 luglio del 2010, Perli rassicura Riva di quale livello di obbedienza abbia raggiunto Luigi Pelaggi, capo segreteria dell’allora ministro dell’Ambiente Prestigiacomo. Perli spiega di averlo messo in riga, sollecitandolo a fare “quel che deve”: «Gliel’ho detto a Pelaggi: “Cazzo, è da novembre che io vengo in pellegrinaggio qui da te. Una roba allucinante. Che cosa dobbiamo fare di più? Ve l’abbiamo scritta noi la cosa. Vi tocca solo leggere le carte, metterle in fila e gestire un po’ il rapporto con gli enti locali».
“VENDOLA HA FRANTUMATO ASSEN-NATO”
Di sistemare Assennato, si occupa Girolamo Archinà, capo delle Relazioni esterne dell’Ilva. Di fatto, il facilitatore e plenipotenziario dell’Azienda nei suoi rapporti con gli Enti locali, i sindacati, la stampa locale, le autorità ecclesiastiche (gratifica in occasione delle feste comandate l’allora arcivescovo di Taranto Benigno Papa con offerte in contanti “per opere di carità”, tra i 3 e i 10 mila euro, che vengono depositate su un conto intestato allo stesso prelato), un ispettore della Digos, e finanche il consulente tecnico della Procura Lorenzo Liberti cui consegna 10 mila euro in contanti per ammorbidire la sua perizia. Ebbene, il 30 giugno del 2010, Archinà, al telefono con il segretario provinciale della Cisl, Daniela Fumarola, racconta che «l’avvocato Manna (all’epoca capo di gabinetto del governatore Nichi Vendola) e l’assessore Fratoianni sono stati incaricati di frantumare Assennato » e comunque «cercheranno di farlo fuori». E lo stesso Vendola, il 6 luglio 2010, al telefono con Archinà, lo rassicura sulla sua attenzione all’Ilva: «Siccome ho capito qual è la situazione, mettiamo subito in agenda un incontro con l’ingegnere (Riva, ndr)...
Noi dobbiamo fare ognuno la sua parte. A prescindere da tutti i procedimenti. L’Ilva è una realtà produttiva cui non possiamo rinunciare. Dica a Riva che il Presidente non si è defilato ». Parole neutre, dirà Vendola in serata. Che non suggerirebbero alcuna pressione da parte sua su chicchessia, ma testimonierebbero solo «il dovere istituzionale di parlare con i vertici della più grande azienda italiana». «Assennato — spiega il governatore — può raccontare se ha mai subito o pressioni o tirate di orecchi da parte mia. Le mie pressioni sono andate sempre nella direzione di essere inflessibili sull’ambientalizzazione ».
LA LETTERA A BERSANI
In quel 2010, Archinà si sbatte al telefono anche con gli onorevoli Ludovico Vico (Pd) e Pietro Franzoso (Pdl, scomparso nel novembre 2011) per rintuzzare il presidente della commissione ambiente del Senato Gaetano Pecorella. E, nel settembre di quell’anno, suggerisce ai Riva di inviare una lettera al segretario del Pd, Pierluigi Bersani («finanziato nella sua campagna elettorale del 2006 dall’Ilva con 98 mila euro regolarmente dichiarati», chiosa la Finanza nella sua informativa alla Procura) per convincerlo «a non fare il coglione» e a contenere le iniziative del senatore Roberto Della Seta che ha accusato Berlusconi di «aver fatto un regalo all’Ilva ». Lettera che Emilio Riva effettivamente manderà a Bersani l’1 ottobre 2010. Di cui la magistratura intercetterà una copia nella casella di posta elettronica di Archinà, ma di cui ignora l’esito.