Jacopo Iacoboni, La Stampa 27/11/2012, 27 novembre 2012
FAIR PLAY E FRECCIATINE PER IL PRIMO DERBY TV (MA A DISTANZA)
[Entrambi scelgono con cura look e battute] –
L’ incontro, con modalità un po’ complicate, avviene nello studio di «Che tempo che fa», alle 21,09. Si stringono le mani e si abbracciano all’ingresso dello studio, sorridenti ma non senza un qualche imbarazzo. Hanno modi diversi di mostrarlo, Renzi lo nasconde straripando, Bersani lo cela con la timidezza. Matteo gli chiede di far sì che anche domenica ci si possa registrare al seggio, Pierluigi soprattutto ascolta e glissa un po’, «dai che stiamo andando alla grande, siamo al 33 per cento...». Poi il sindaco scherza con Di Traglia, consigliere del segretario, «Pierluigi, ero con Stefano, il mio portavoce, stava decidendo cosa devo dire»...
C’è stata qualche stranezza ai seggi, anche a Rignano, nel comune di Renzi, però il Matteo tv non rompe su questo, e televisivamente vuole dare quest’idea. «Non è obbligatorio dipingerci come sfasciacarrozze, ma non è un peccato pensare a una nuova classe dirigente che non abbia il fallimento alle spalle». E a «quelli di Vendola»: «Proveremo a stanarli uno per uno e convincerli. Nichi non è il custode di quei voti».
Metaforico - ma sempre in tema rottamazioni, con la parola «sfasciacarrozze» informale, creativo negli aggettivi («l’Ilva è stata una privatizzazione farlocca»), senza cravatta ma con camicia bianca e abito blu, Renzi si prepara di solito con un unico foglio A4 dove appunta poche immaginichiave. «Tornare a sperare», «innamorarci del nostro paese» (l’ultimo a usare la parola amore in politica era stato Veltroni), oppure usa lo slogan «l’Italia come startup». Si concede battute-show, «meno male che Fede ha detto che voterebbe Bersani». Fazio gli fa notare che per parlare del Pd Matteo usa il pronome «loro». E lui: «Ho chiarissima la distinzione tra noi e loro, il centrodestra. Ma nella nostra squadra qualche vecchia gloria la manderei in tribuna. Cambierei modulo, e schema tattico, più d’attacco» (altre metafore, calcistiche).
Si pensa di solito che il segretario sia meno televisivo, il che non è, a conti fatti. Ha uno stile tv che è tutto tranne che ingenuo, è calcolatissimo. Il lessico viene adeguato a freddo ai format diversi (per dire, da Fabio Volo ha usato tre volte la parola «c...», da Fazio non si sarebbe mai sognato). In conferenza stampa post-primarie aveva il maglioncino, qui è molto protocollare, ma con cravatta rossa. La timidezza è ostentata, come quei ragazzi che la usano per rimorchiare, il discorso è presidenziale, «Monti tornerà utile, ma...». L’unica battuta è la solita, alla Crozza, ma usata per prendersi in giro, «non stiamo mica a pettinare le bambole».
Le frasi-slogan non sono del tutto assenti, per esempio «merito il voto perché sono uno che non ha mai lasciato le cose come le ha trovate». Bersani nei momenti topici fa apposta a calcare l’accento emiliano («eccoli qua, i partiti, siamo noi il futuro, non il ghe pensi mi e i leaderismi e i presunti carismi»). Nomina il Partito, che Renzi mai. Si riferisce alla «Rete» quasi da zio, «quanta partecipazione e fantasia»... Rivendica «ho preso il voto delle grandi città, un voto d’opinione, non di partito. E del voto del sud sono orgoglioso. Ci abbiamo lavorato». Fazio domanda del destino di Renzi dopo il ballottaggio. «Non so cosa farà, ma vorrei dimostrargli che si può cambiare coi fatti, prima ancora delle parole». E se Matteo vince? «Fino al Congresso continuerei a fare il segretario». Congresso, sì, usa quel sostantivo due volte. Come «socialismo», che con la sua «esse» ha il sapore di una caramella ben conservata.