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 2012  novembre 26 Lunedì calendario

EFFETTI DELLA CURA MONTI MIGLIAIA DI ITALIANI SI RIFUGIANO A LUGANO

[Le tasse sono leggere, la burocrazia agile, il mercato del lavoro flessibile Così imprese, disoccupati, laureati emigrano. Creando un nuovo boom] –
La targa sotto il campanello annovera una ventina di società. Nello studio al secondo piano di un palazzo anonimo al­le spalle del lungolago, il super­consulente che si muove nel triangolo Milano-Lugano-Mon­tecarlo fa un conto rapido su un foglio fitto di cifre: sono gli sti­pendi versati da una ditta lom­barda che medita di trasferirsi in Ticino. La prima colonna ri­porta il costo aziendale in Italia, la seconda oltreconfine: in Sviz­zera il risparmio supera il 20 per cento. Le altre due elencano il netto percepito dal personale, che nell’ipotesi ticinese è più alto. «Vede? Se questa impresa tra­slocasse avrebbe costi minori e i dipendenti guadagnerebbero di più». Possibile? «Si applicano meno tasse sia su chi produce sia su chi lavora. E le autorità cantonali fanno ponti d’oro per i nuovi venuti».
Risultato: cresce il numero di italiani che guardano al Ticino. Imprese in crisi ma anche in buona salute, disoccupati, neo­laureati, consulenti finanziari, esperti di leggi fiscali internazio­nali, ereditieri, titolari di grandi patrimoni. C’è di tutto nell’eser­cito che fugge per l’ «effetto Mon­ti ». Fuga dal fisco vorace, da uno stato indebitato e ingovernabi­le, da una pubblica amministra­zione vessatoria, dalle rigidità del mercato del lavoro. È un fe­nomeno diverso da quello che induce i ricconi francesi, come il finanziere Bernard Arnault o l’attore Gérard Depardieu, a tra­slocare in Belgio, appena oltre il confine, per sottrarsi alla super­tassa voluta dal presidente Hol­lande.
Dall’Italia si scappa indi­pendentemente dal patrimo­nio.
Secondo l’Ufficio federale di statistica, nel 2001 gli italiani re­sidenti in Ticino erano 46.385. Per un po’ il dato è rimasto stabi­le ma dal 2007 ecco l’impenna­ta: ogni anno, nonostante lo scu­do fiscale di Tremonti, un migliaio di italiani in più fino ai qua­si 51 mila a fine 2011, e in questi mesi sono aumentati ancora. Aggiungiamo i 55 mila che fan­no la spola tra Lombardia, Pie­monte e Canton Ticino, mano­dopera frontaliera a basso costo che non cessa di crescere.
Negli uffici di una fiduciaria di via Nassa, l’elegante strada del lusso a Lugano, un consulente milanese (« no name », chiede nella migliore tradizione elveti­ca) spiega i perché della fuga. «Qui un barista prende 2000 franchi il mese, circa 1700 euro. Gli italiani cominciano a lavorare anche negli uffici pubblici. Il ceto medio-superiore invece si sposta per comprare case e ville di grande pregio: è una clientela emergente, rafforzata dai nuovi investitori russi, che non si spa­venta dei 30-40 mila franchi al metro quadrato chiesti per ap­partamenti ristrutturati in palaz­zi di fine Ottocento sul lungola­go. Qui il mattone non perderà mai valore, il fisco è trasparente e leggero, la riservatezza garanti­ta. E non dimentichiamo i cosid­detti «globalisti», proprietari di grandi patrimoni che contratta­no­ con le autorità un’aliquota fi­scale onnicomprensiva».
La convenienza per le azien­de è documentata dal successo del Progetto Copernico gestito dalla Camera di commercio di Lugano che spiana la strada agli imprenditori. Oltre un centina­io di ditte si sono trasferite negli ultimi anni. Nomi famosi come il Riso Gallo, che ha aperto una sede a Balerna. Storie di succes­so come la Geomag, che produ­ce un gio­co di costruzioni da rea­lizzare con barrette magnetiche premiate in Usa come «classic toys », nata in Sardegna, trasferi­ta a Novazzano per evitare la chiusura e risollevata da un al­tro tracollo da manager italiani. Stabio, altro comune di frontie­ra dove uno dei principali contri­buenti è la VF (Timberland e North Face), è zona industriale tricolore.
Per aprire un’attività in Ticino bastano 40 giorni e duemila fran­chi di spese burocratiche.
Le tas­se non raggiungono il 30 per cen­to.
Nelle zone di confine arriva una richiesta alla settimana di ditte italiane che vogliono trasfe­rirsi. Ma per installare una fab­brica occorrono la sede giusta, un tipo di produzione adatto al territorio e la capacità di gestire il personale. Le agenzie di lavo­ro sono sommerse di curriculum italiani, a conferma che la Svizzera sta diventando un el­dorado per tutti, non solo l’esclu­sivo paradiso dei ricchi. Un agente immobiliare di Lugano che amministra condomìni rile­va un «boom» di affitti anomalo in una città dove si compra per mettere il denaro al sicuro: «Or­mai i nuovi svizzeri sono gente normale, che non ha grossi capi­tali ma cerca lavoro, stabilità po­litica e certezze per i figli. Alle quattro scuole private con inse­gnamento in italiano (Istituto da Vinci, salesiani, steineriane e Scuola americana) non c’è più posto».
Giacca e cravatta d’ordinan­za, Giovanni è a Lugano da un mese. È di Cantù, laureato, lavo­rava a Milano come esperto in­fo­rmatico in una società di servi­zi per un colosso bancario. Lo sti­pendio era a rischio. «Sono sta­to contattato da un istituto sviz­zero tramite Linkedin, un social network dove avevo pubblicato il curriculum; ho fatto un collo­quio ed eccomi qui. L’affitto è sui livelli milanesi, la vita è più cara, ma sul mio stipendio le trattenute sono solo del 10 per cento. A Milano ero confinato nell’ambito tecnico, qui mi oc­cupo anche di risk manage­ment , allargo gli orizzonti, pos­so accrescere la professionalità.
La gente vive meno angosciata, gli uffici pubblici rispondono, non si fanno code alle Poste: in Italia sono tutti arrabbiati. C’è ordine e si vive civilmente con gente di tante nazionalità: i ke­bab non sono gestiti da clandestini disperati ma da rifugiati po­litici che hanno ottenuto asilo». Francesco vive invece sul Ce­resio da 10 anni con moglie e fi­gli. Anche lui lavorava a Milano e si è trasferito armi e bagagli do­po aver risposto all’inserzione di una banca elvetica. «Lavoro meno e guadagno di più. Luga­no è una città adatta alle fami­glie, è piena di verde, d’estate ci si tuffa nel lago, in autunno si va a funghi e d’inverno la monta­gna è vicina. In banca ho avuto mansioni diverse con un percor­so ampio e impossibile in Italia. Qui la crisi si sente meno, anche se si teme per i nuovi accordi sul­le transazioni di capitali. In que­sti mesi vedo sempre più gente disposta a fare qualunque lavo­ro per­una paga inferiore al mini­mo sindacale svizzero».
«Anche se ti possono licenzia­re da un mese all’altro- spiega la responsabile (italiana) di un’ agenzia di impiego tempora­neo- e la protezione sociale è mi­nore che in Italia, il mercato del lavoro gira e offre più opportuni­tà. Sulla carta sei meno garanti­to, ma in pratica è meglio. Sei più responsabilizzato. L’Ufficio cantonale per i disoccupati li ob­bliga a seguire­ corsi di formazio­ne e un consulente li segue nella ricerca. Controllano perfino se hai mandato i curriculum, altri­menti niente sussidio».
Se sbagli paghi, ma se sei vo­lenteroso trovi. L’opposto che in Italia. Alla domanda se cono­scon­o qualcuno che sia ritorna­to indietro, la risposta di France­sco e Giovanni è la medesima: una risata. I problemi non man­cano. Nei partiti locali cresce l’insofferenza per i frontalieri che intasano le strade cantona­li. La sinistra ha appena ottenu­to la­possibilità di votare un refe­rendum (si terrà entro due an­ni) per eliminare il privilegio di un fisco a forfait per 5000 milio­nari «globalisti» della Confede­razione.
Ma il Ticino resta il sogno proi­bito di tanti connazionali. Un pezzo di Lombardia governato come si dovrebbe.