Carlo Lottieri, il Giornale 26/11/2012, 26 novembre 2012
IL VENETO E LE IMPRESE CHE ASPIRANO ALLA SECESSIONE
[Non solo il senso di identità, a pesare sono i 20 miliardi di residuo fiscale] –
Aveva già detto tutto Denis de Rougemont, quando aveva immaginato un’Europa cantonale sul modello svizzero. E così una Bruxelles oggi in mano a grigi tecnocrati è costretta a fare i conti con un numero sempre maggiore di progetti microstatuali e con comunità che chiedono di dare vita, per via referendaria, a istituzioni indipendenti. E non solo nella Catalogna di Artur Mas, ma anche in Scozia (dove si è stabilito che si voterà nel 2014), nelle Fiandre, in Baviera e, con sempre maggior determinazione, pure in Veneto.
Più di mille anni di storia comune sotto lo stendardo di San Marco non si dimenticano, né la popolazione di quella che fu la Serenissima pare disponibile a rinunciare a una prosperità recente, ottenuta con tanti sacrifici. L’intera parabola del leghismo, non a caso, ha preso le mosse nel 1980 proprio qui, con la Liga Veneta. Ma la frustrazione di molte battaglie perdute sta ora alimentando una voglia d’indipendenza più forte che mai.
Grazie alla sottoscrizione di 42 consiglieri su 60, mercoledì prossimo a Venezia si terrà un consiglio regionale straordinario per ridiscutere il rapporto tra Veneto e Italia, ma soprattutto per esaminare quella Risoluzione 44 che propone di dare ai veneti il diritto di decidere democraticamente sul proprio futuro. Quello che sarebbe stato impossibile solo pochi anni fa, ormai è all’ordine del giorno, dato che il mondo va mutando velocemente e tale trasformazione obbliga le istituzioni a prenderne atto.
La Risoluzione sull’indipendenza, che prospetta un voto referendario sotto una gestione europea, è stata elaborata da un movimento, Indipendenza Veneta, che ha solo pochi mesi di vita e nessun rappresentante in consiglio. Ma è chiaro che la voglia di staccarsi dall’Italia, tra i veneti, è traversale e abbraccia varie famiglie politiche: come dimostra il fatto che oltre al sostegno di Lega e Pdl, la convocazione di mercoledì ha ricevuto l’appoggio di molti altri consiglieri, compreso il rappresentante di Rifondazione Comunista, Pietrangelo Pettenò.
Ci sono vari elementi alla base di questa emulazione veneta della Catalogna: un forte senso di identità, quell’unità linguistica legata al fatto che quasi tutti parlano quotidianamente nell’idioma di Carlo Goldoni, una maniera d’essere che proviene da una storia condivisa. Ma più di tutto pesano i 20 miliardi di residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto il Veneto dà a Roma e il costo dei servizi che riceve. La Catalogna, che pure è più grande del Veneto, sta abbandonando Madrid in ragione di un residuo di dimensioni inferiori. Nessuna sorpresa, quindi, se dinanzi all’impossibilità di cambiare l’Italia, i veneti desiderino abbandonarla.
Finché non c’era la crisi,questa sottrazione di risorse era in qualche modo accettata. Ma ora gli artigiani chiudono bottega e aumenta il numero degli imprenditori che si tolgono la vita. In questo nuovo quadro cresce la pressione sul ceto politico affinché interpreti la volontà della gente e faccia il possibile per predisporre, anche in Veneto, un referendum come quello che si avrà in Scozia.
Qualcuno sembra credere che il governatore Luca Zaia cavalchi tutto questo solo per strappare qualche concessione. Difficile dirlo. Ma quello che sarebbe stato possibile qualche anno fa, ora non lo è più: con conti pubblici statali tanto dissestati, non c’è spazio per un compromesso, poiché l’Italia non è in grado di rinunciare nemmeno a una minima quota delle risorse del Nord e d’altra parte tra Verona e Treviso la rabbia è giunta a livelli altissimi. Ci sono alle spalle 32 anni di frustrazioni: e si vedono tutti.