Marta Dell’Asta, Avvenire 27/11/2012, 27 novembre 2012
E I RUSSI DISSERO: IVAN DENISOVIC SONO IO
Nel novembre del 1962, giusto cinquant’anni fa, sulla rivista sovietica Novyj mir uscì un lungo racconto di uno sconosciuto insegnante di provincia di nome Aleksandr Solzenicyn. Si intitolava Una giornata di Ivan Denisovic e avrebbe avuto l’effetto di una bomba, segnando una svolta epocale nel clima culturale dell’Unione Sovietica: per la prima volta, nero su bianco, si parlava sulla stampa ufficiale dell’esistenza dei lager, infatti l’Ivan Denisovic del racconto era appunto un detenuto. A ben guardare, si trattava del classico ’segreto di Pulcinella’: chi non aveva avuto, sotto Stalin, almeno un amico o un parente arrestato? E tuttavia questa denuncia letteraria ebbe un effetto dirompente sulle coscienze, fu un’accusa più micidiale delle peggiori accuse politiche di Chrušcev al ’culto staliniano’. Come mai un semplice racconto poté avere tanta forza?
Quando lo scrittore Varlam Šalamov lesse Ivan Denisovic trovò che era un piccolo capolavoro: denso, potente, psicologicamente acuto, dotato di ritmo e tensione. Ma la potenza artistica che Šalamov colse così sensibilmente nasceva dal nucleo interiore dell’opera, che aveva a che fare con l’anima e con la verità.
La presenza dell’anima permeava tutto il racconto; l’anima era la risorsa segreta di Ivan Denisovic, ciò che lo rendeva forte e refrattario alla legge del lager che portava alla disumanizzazione. Solzenicyn ne aveva fatto esperienza personale (era stato arrestato nel febbraio 1945 per aver osato criticare Stalin in una lettera ed era stato mandato nei gulag fino al 1953) e sapeva da dove nasceva l’irriducibilità di alcuni detenuti rispetto alla massa; ma mettere a tema questo era sconveniente, audace, produceva conseguenze a lungo raggio perché scardinava l’antropologia sovietica, lasciava capire che il fragile ’io’ del singolo uomo ha un inaspettato potere di resistenza e può sovvertire l’ordine costituito.
E poi la verità: il racconto di Solzenicyn raccontava in modo piano, oggettivo, senza enfasi la semplice verità dei fatti e dell’uomo, lontano dalla retorica realsocialista ma anche dal pathos polemico del risentimento. Raccontando con la nitida concisione dell’arte la giornata di un comune detenuto, Solzenicyn compì un miracolo straordinario: fece sì che in un paese, in una cultura, dove tutto era ideologia, alla parola tornasse a corrispondere il suo senso diretto, reale. Senza più interpretazioni, sovrapposizioni e censure.
Alcuni anni più tardi, alcuni ragazzi avrebbero trovato una formula molto espressiva che spiegava l’efficacia di ciò che aveva compiuto Solzenicyn in letteratura: «Scrivete la verità perché la parola viva»: infatti quel semplice racconto aderente alla realtà aveva ridato vita alla parola e aveva smosso gli animi, provocando un processo di immedesimazione che pose fine alla generale rimozione. La storia di Ivan Denisovic risultò così ’vera’ che tanti, tantissimi scrissero: quello era il mio lager; quel detenuto io lo conosco; quello sono io… «Egregi compagni - scrisse D.
Markelov alla redazione di Novyj mir - in realtà Ivan Denisovic sono io, alla lettera… e tutti gli altri personaggi, senza eccezioni, posso nominarli coi loro veri nomi… Insomma, quanto è descritto è assolutamente preciso, ha un valore generale» (l’editore ’Russkij Put’ ha appena pubblicato il libro, Caro Ivan Denisovic. Lettere dei lettori 1962-1964 ).
Per questo i lettori furono così colpiti e la rivista andò a ruba, tanto che si dovette procedere in fretta a varie ristampe. Sergej Averincev ricordava di aver visto un vecchio un po’ confuso che chiedeva all’edicolante: «Mi dia quella rivista… sa, quella dov’è scritta tutta la verità». E commentava che quel giorno era accaduto un avvenimento straordinario, non tanto letterario ma spirituale. La vera rivoluzione fu che rinacque l’interesse per la verità, in un paese in cui la maggioranza vivacchiava tristemente rassegnata, e questo semplice fatto ebbe un effetto enorme, diede prospettiva e speranza a tanti. Almeno finché durò il disgelo: nel 1974 infatti le biblioteche vennero purgate del nome di Solzenicyn e il libro fu mandato al macero.
In ogni caso, la rivoluzione delle coscienze prodotta nel 1962 da Ivan Denisovic non si è esaurita con la denuncia dei lager e del regime, che non esistono più, ma è riproponibile anche oggi nella misura in cui riapre il discorso sull’’io’ e sulla verità. Il fatto che, negli ultimi mesi, proprio la responsabilità personale e la difesa della verità abbiano rilanciato la gente nella vita pubblica è sorprendente ma, a ben guardare, non del tutto inaspettato.