Maurizio Molinari, La Stampa 27/11/2012, 27 novembre 2012
L’ ultima tartaruga gigante dell ’a r c i p e l a go della Galapagos è morta il 24 giugno ma grazie alla genetica la specie potrebbe tornare in vita
L’ ultima tartaruga gigante dell ’a r c i p e l a go della Galapagos è morta il 24 giugno ma grazie alla genetica la specie potrebbe tornare in vita. A sostenerlo è uno studio realizzato da un team di scienziati della Yale University che sarà pubblicato dal «Biological Conservation Journal» ed è stato anticipato da un comunicato del Parco nazionale delle isole del Pacifico, situate a circa mille chilometri di distanza dalle coste dell’Ecuador. I ricercatori di Yale sono partiti dall’esame del Dna di Lonesome George, l’ultima tartaruga gigante dell’Isola Pinta, morta di vecchiaia dopo aver superato la soglia dei cento anni. Gli esemplari del suo materiale genetico, conservati nel museo delle Galapagos, sono stati confrontati con quelli delle altre dieci specie di tartarughe che vivono ancora in circa 30-40 mila esemplari nell’arcipelago, composto da 13 isole e oltre cento fra scogli e microterre emerse. L’esito è stato sorprendente: almeno 17 esemplari hanno dimostrato di possedere tratti genetici simili a quelli delle tartarughe giganti dell’Isola Pinta. In alcuni casi le somiglianze sono tali da far ipotizzare che i geni siano identici a quelli di Lonesome George, la cui esistenza venne scoperta per caso nel 1972, quando la sua specie si ipotizzava già estinta. A possedere i geni delle tartarughe giganti dell’Isola Pinta sono, in particolare, nove tartarughe femmine, tre maschi e cinque piccoli, senza escludere la possibilità di trovarne altri. Quando nel XVI secolo l’esploratore spagnolo Fray Tomás de Berlanga arrivò nelle Isole Galapagos, di origine vulcanica, le tartarughe giganti erano presenti in gran numero sull’Isola Pinta. Secondo i calcoli fatti dai ricercatori di Yale, nel XVIII secolo erano arrivate a contare oltre 300 mila esemplari, ma cacciatori di balene e pirati ne fecero strage fino al termine del XIX secolo, catturandole spesso per portarle a bordo delle navi come carne fresca adatta a sostenere gli equipaggi nei viaggi più lunghi. Ironia della sorte vuole tuttavia, sempre secondo lo studio di Yale, che proprio alcuni di questi equipaggi abbiano contribuito alla genesi di una stirpe di tartarughe ibride: alcuni esemplari di quelle giganti, originarie delle isole Pinta e Floreana, sarebbero state gettate in acqua davanti all’Isola Isabella - forse da navi che ne avevano prese troppe a bordo - innescando così una catena di sviluppo e riproduzione che ha portato a incrociare i geni di specie differenti. L’esistenza di tartarughe ibride è nota ai biologi che lavorano nel Parco nazionale della Galapagos sin dal 2008, ma le ricerche finora condotte avevano portato a escludere la presenza di Dna riconducibili a Lonesome George. Il team della Yale University, riesaminando con nuove tecniche i 1.600 campioni di dna prelevati proprio nel 2008, ha rovesciato tale interpretazione, affermando di aver identificato il Dna delle tartarughe giganti con una precisione sufficiente da ipotizzare di poterne tentare la riproduzione artificiale. Se ciò dovesse avvenire si tratterebbe di un ritorno alla vita delle tartarughe che colpirono Charles Darwin, quando nel 1853 sbarcò sulle isole dell’Ecuador per condurre la ricerca che sarebbe stata determinate nel formulare la teoria sull’evoluzione della specie, basata sull’importanza della selezione naturale. Sono episodi come questa indagine di Yale a confermare l’unicità dell’habitat delle Galapagos, dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1978, protette dai rigidi regolamenti che vengono imposti al numero limitato di turisti annualmente ammessi a visitarle. Tra questi, c’è anche il divieto di trasportare perfino granelli di sabbia da un’isola all’altra, al fine di scongiurare il rischio di alterare equilibri ambientali che miracolosamente restano unici nel Pianeta.