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 2012  novembre 27 Martedì calendario

ALBERTO BRAMBILLA*

Caro Direttore,
Finalmente, per noi che da anni dalle colonne di questo giornale proponiamo questa semplice e coraggiosa soluzione, una buona notizia dal mondo della politica: il Senato ha approvato un emendamento alla delega fiscale sul «contrasto di interessi». Di cosa si tratta? È la possibilità per le famiglie di dedurre (ad aliquota marginale) come si fa in molti Paesi, una serie di spese ben identificate. L’emendamento è per sua natura generico poiché delega il governo a emanare norme volte a creare contrasto di interessi fra contribuenti nelle aree di maggiore evasione tributaria e non vedrà purtroppo la luce poiché non ci saranno i tempi tecnici per realizzare la legge, ma almeno è un inizio.
La nostra proposta parte dalle seguenti considerazioni: a) siamo tra i Paesi con il più alto tasso di evasione fiscale e di lavoro «nero» (più o meno come la Grecia); b) i salari e i redditi hanno perso potere d’acquisto e sono tra i più bassi nella Ue e ciò si riflette pesantemente su consumi e sviluppo; c) a questa situazione lo Stato risponde con un aumento delle tasse delle leggi e soprattutto delle «segnalazioni» e dimostrazioni muscolari. E così accade che per non farsi beccare con il suv a Cortina si va in Austria, Svizzera, Francia; per non farsi vedere con la barca si lasciano i porticcioli italiani per la Costa Azzurra o la Slovenia. Ma la burocrazia non poteva fermarsi qui: deve sapere tutto di ogni cittadino per cui si è inventata la «segnalazione»; se a Natale uno vuole farsi o fare un regalo (orologi, piccoli gioielli, mobili, quadri o altro) superiore a 3.600 euro, il commerciante lo deve segnalare al fisco. È ovvio che anche il contribuente più onesto per paura che il fisco comunque trovi qualcosa va all’estero con una bella gita organizzata a comprare ciò che gli serve; pare ci siano già i bus per Svizzera, Montecarlo e altri Paesi. Tutto questo ha un effetto perverso poiché aumenta paradossalmente il nero.
Nel contempo la situazione fiscale per un contribuente è la seguente: un lavoratore, reddito lordo in busta paga di 1.750 euro mese, al netto di tasse e contributi porta a casa circa 1.220 euro. Dopo aver pagato oltre il 35% tra tasse e contributi si ritrova nella necessità di pagare una manutenzione; può essere il meccanico auto, il carrozziere, l’idraulico, il tecnico del riscaldamento o altro. Prezzo 1.000 euro e se vuole la fattura sono 1.210 euro; se no, senza, possono diventare 900. O si sobbarca un altro 21% di tasse indeducibili (e in totale fa 56%!) o non fa l’eroe, concede qualcosa di più alla famiglia e opta per la seconda ipotesi. Si stima che ogni 10 prestazioni di questo tipo solo meno di 2 siano con regolare fattura; pensate che evasione Iva e Irpef. Ed ecco la nostra proposta: in via sperimentale e per un periodo di due anni, l’Iva su alcune prestazioni ben identificate (riparazioni di auto, moto e biciclette, elettriche, idrauliche, di tappezzeria, imbiancatura, riscaldamento, mobili ecc) almeno per la parte relativa alla manodopera, viene ridotta al 5%; a fronte di fattura giustificativa, le famiglie potranno dedurre dalla dichiarazione o ridurre il prelievo fiscale comunicando le deduzioni al datore di lavoro, fino a 5.000 euro l’anno; per famiglie con più di un figlio la deduzione potrebbe essere maggiore e riguardare anche i servizi alla famiglia, asilo nido, baby sitter ecc; per i soggetti che emettono fatture false o inesistenti si preveda la chiusura dell’esercizio per 6 mesi, mentre per il cittadino che deduca costi inesistenti, una ammenda pari a 10 volte la cifra illegalmente dedotta. Dopo i due anni sperimentali, in caso di mancanza di risultati, si potrà tornare al regime odierno.
Vediamo i vantaggi per il nostro lavoratore (o pensionato): se effettua spese per 5.000 euro pagherà sì 250 euro di Iva, ma potrà dedurre ad aliquota marginale (supponiamo il 27%) i 5.250 euro, recuperando una «quattordicesima mensilità» di ben 1.417 euro. E lo Stato? Intanto potrà risparmiare sui vigilanti che come dimostra la nostra atavica situazione servono a poco. Sotto il profilo Iva, l’incasso passerebbe da 42 a 50 (2 prestazioni su 10 al 21% contro 10 al 5%) ma anche se fosse pari sarebbe comunque neutro. Inoltre l’autonomo pagherebbe sul fatturato un’aliquota almeno pari a quella che il fruitore della prestazione ha dedotto ma è probabile che scatti anche l’aliquota successiva (38%) e soprattutto i contributi previdenziali (almeno il 21%). Su questo tema ci piacerebbe avere il parere dei vari partiti e movimenti che si presenteranno alle prossime elezioni.
(*) Docente Università Cattolica
Coordinatore comitato tecnico scientifico di Itinerari previdenziali