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 2012  novembre 24 Sabato calendario

PIONIERE DEL «SI PUÒ FARE»

«Che cosa può insegnare la storia di Fulvio Bracco a un ragazzo o a una ragazza che voglia diventare imprenditore o imprenditrice? Può insegnare che "nonostante tutto, si può fare"».
Guido Corbetta, docente di strategia aziendale alla Bocconi, parte dalla cosa più semplice, e insieme più complessa, per provare a delineare il profilo di Fulvio Bracco, l’imprenditore scomparso cinque anni fa di cui è stata ora pubblicata l’autobiografia, passaggio editoriale che coincide con l’anniversario degli 85 anni dalla fondazione dell’azienda. La tensione psicologica e il nerbo caratteriale («mio padre era un personaggio disciplinato e "doverista"», ricorda una commossa Diana Bracco) costituiscono una componente essenziale nella vicenda di uno dei protagonisti dello sviluppo economico del dopoguerra.
«Il suo "nonostante tutto, si può fare" rappresenta la sua eredità maggiore. Lui è stato davvero un esempio per tutti. E lo è soprattutto adesso che un grande scoramento pervade la classe imprenditoriale», dice Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che è membro del consiglio di amministrazione della Bracco («è l’unico board esterno al mio gruppo di cui faccio parte»).
Questa tenacia, che lo ha accomunato a una generazione di imprenditori in grado di trasformare nel giro di pochi anni l’Italia da Paese agricolo a Paese in sostanza industriale, ha rappresentato uno degli elementi della sua azione manageriale. «Aveva un carattere forte - rammenta Diana Bracco - ma allo stesso tempo era capace di riunire. La sua squadra di collaboratori lo adorava». L’empatia fra l’"imprenditore", la "dirigenza", le "maestranze". Il lavoro sui progetti comuni. Uno dei tasselli del complesso mosaico dell’industrializzazione italiana, al di là dei conflitti di classe e dell’ascesa dei ceti borghesi (si sarebbe detto nel linguaggio del Novecento).Tessere della nostra storia. E dell’evoluzione della nostra identità, che resta profondamente manifatturiera.
Squinzi ha conosciuto Fulvio Bracco nel 1997. «Oggi sono molto emozionato. Allora mi fece una impressione gigantesca. Avvertii subito l’esistenza di valori comuni. Fra me e lui. Fra la mia azienda e la sua». In quest’ultimo caso, una condivisione nelle strategie: internazionalizzazione e innovazione. Una condivisione nel modello di partenza. Quel capitalismo familiare che, per la cultura anglosassone tutta finanza e poca manifattura, molte public company quotate in borsa e scarse identità personali e comunitarie, è una cosa di poco conto. «Ma se la nostra economia non è stata affossata dalla recessione - riflette Gioacchino Attanzio, direttore dell’Associazione italiana delle aziende familiari - è proprio grazie a questo tipo di imprese, che garantiscono stabilità e continuità, due dei valori fondanti del capitalismo familiare».
Dunque, la figura di Fulvio Bracco appare coerente con un preciso profilo storico italiano: l’imprenditore manifatturiero, che investe molto in innovazione e che ha nel mondo il suo mercato di riferimento. Questa internazionalizzazione, nel suo caso specifico, ha una connotazione familiare assai forte. Le radici a Neresine, nell’isola di Lussino, hanno garantito una sorta di cosmopolitismo innato. «Esiste un folto gruppo di imprenditori italiani che hanno origine in Istria e in Dalmazia», ricorda Claudio de Polo Saibanti, presidente di Alinari.
La traiettoria esistenziale di Fulvio Bracco serve dunque a parlare della figura dell’imprenditore in Italia. Sospesa fra radicamento nella propria comunità e esposizione sui mercati internazionali. Ieri e oggi. Una vicenda che, in questo caso, ha il suo cuore a Milano. Una storia di borghesia produttiva e colta. In cui la cultura del lavoro si mescolava con la gioia di vivere. La Scala, la passione per il calcio, le vacanze nel Mediterraneo. Il lavoro e la vita. La memoria, ma anche il futuro.