Guido Rossi, Il Sole 24 Ore 25/11/2012, 25 novembre 2012
ARGENTINA E GRECIA, L’ECLISSI DELLE REGOLE
Due eventi collegati a debiti sovrani, tra di loro strettamente connessi nonostante la loro lontananza non solo geografica, minacciano da vicino l’ormai scadente tenuta della finanza internazionale, con gravissime ripercussioni sull’economia e sulla politica mondiale. Il primo pericolosissimo evento riguarda il debito argentino e la decisione presa il 21 novembre scorso dal giudice distrettuale di New York, Thomas Griesa. Il secondo concerne invece la nuova ristrutturazione del debito greco, in discussione tra l’Unione Europea e l’Fmi, con negoziati finora inconcludenti e che riprenderanno nella giornata di domani. La questione del debito argentino si trascina da anni, dal default del 2001 fino alla conseguente ristrutturazione del debito, tramite l’emissione di nuovi titoli nel 2005 e nel 2010. I nuovi titoli (Exchange bonds) erano stati emessi con uno sconto del 70% sul valore dei precedenti, e furono accettati dal 92% degli investitori. La decisione del giudice Griesa, che fa seguito a un’altra precedente confermata dalla Corte d’Appello, ha previsto l’applicazione della clausola contrattuale di «eguale trattamento» per coloro (in modo particolare il fondo speculativo Nml Capital Ltd) che non avevano accettato gli Exchange bonds ma, avendo acquistato a poco prezzo i vecchi titoli, ne pretendono oggi il pagamento per una somma totale di 1,3 miliardi di dollari. Il risultato, sancito dall’ordine del giudice, è il blocco dei pagamenti degli interessi degli Exchange bonds che stanno venendo a scadenza, qualora non sia accompagnato dal pagamento di quanto dovuto (per «capitale più interessi») ai titolari dei vecchi titoli. E questo sarebbe l’«eguale trattamento»? L’ordine del giudice conclude che dopo dieci anni di lite legale «questo è il giusto risultato». Naturalmente l’ordine di non pagare gli interessi degli Exchange bonds senza che vengano contestualmente pagati capitale e interessi dei portatori dei vecchi titoli, colpisce anche le banche incaricate del pagamento, in modo particolare The Bank of New York nelle varie sedi americane di Londra, del Lussemburgo e tutte le altre società finanziarie delegate. Il principio fondamentale di diritto è così testualmente individuato: «L’interesse pubblico a imporre l’esecuzione dei contratti e a far valere la rule of law è alla base di questo ordine, particolarmente qui dove i creditori della Repubblica (argentina) non hanno alcun ricorso a regimi fallimentari per proteggere i loro interessi e devono affidarsi alle Corti per ottenere l’adempimento delle promesse contrattuali. Non meno di qualunque altro ente che entra in un accordo negoziale c’è un forte pubblico interesse nel costringere la Repubblica ai suoi obblighi contrattuali». Ebbene, dopo due piani di salvataggio, con il più recente finanziato da un debito emesso dall’Efsf che ha imposto un taglio al valore del debito in mani private del 75%, e con un debito pubblico che non ha nessuna possibilità di raggiungere il livello voluto dall’Fmi del 120% del Pil, ma che va verso percentuali assolutamente insostenibili, come quella stimata dall’autorità statistica greca oggi al 176% e nel 2016 al 200%, l’unica opzione per la Grecia sembra, come scrive il Wall Street Journal, il default. Diversa ovviamente sarebbe la situazione se l’integrazione europea avesse affrontato, quando era ancora in tempo, il problema del debito pubblico greco, emettendo eurobonds da parte di un’agenzia europea (come l’Esm) con la garanzia dei Paesi dell’Eurozona. Non v’è infatti dubbio che il rinnovo dei debiti sovrani nei mercati finanziari non può che avvenire, per i Paesi altamente indebitati, con alti tassi di interesse; il che comporta inevitabilmente prima o poi lo stato di insolvenza di quegli stessi Paesi. Ciò avrebbe portato l’Europa ad avere un mercato finanziario comparabile a quello statunitense e a non soggiacere nei singoli Stati membri a continue variazioni degli spread, che prima o poi finiranno per colpire anche la stessa Germania. La conclusione che si può trarre dai due fenomeni esaminati è evidente. Nella globalizzazione economica manca un corpo di regole generali, un’assoluta assenza di norme che vengono sostituite dal diritto contrattuale, cioè da quel diritto che soprattutto in un mondo globale dominato dalla finanza e dalla techne, merita tutto quel disprezzo per la sua inefficienza e per la sua decadenza, che già Hegel aveva riconosciuto. È pur vero che proprio in assenza di regole, l’intera struttura economica deve affidarsi al contratto privato e al supporto dei sistemi giudiziari e alle loro decisioni che, salvo che per alcuni settori, sono ancora legate ai confini e alle tipologie giuridiche degli Stati nazionali, con una conseguenza assai grave, che la decisione del giudice Griesa ha con spietata lucidità sottolineato. Per i creditori del capitalismo finanziario è saltata completamente la regola della par condicio. Pochi e selezionati creditori sono favoriti rispetto alla maggioranza ed essi non sembrano essere che quei fondi speculativi che la presidente e il ministro dell’Economia argentini hanno qualificato come «avvoltoi». L’applicazione e l’influenza dei principi giuridici alla base dell’ordine del giudice Griesa, qualora non fossero riformati dalla Corte d’Appello o dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, potrebbero essere devastanti prima per la Grecia, poi per l’intera Europa. È sempre più urgente che la soluzione dei problemi della finanza mondiale restino prioritari, in principal modo in Europa, per la quale il vero ius publicum europeum può essere costituito soltanto con la cessione di parte della sovranità dei singoli Stati membri a una democratica federazione europea, alla cui base starà non solo l’unità monetaria, ma anche quella fiscale, economica e politica, unità per la quale ci siamo più volte battuti, come premessa allo ius cosmopoliticum kantiano. Questo e non altro deve essere il nostro destino.