Paolo Bricco, Mariano Maugeri, Il Sole 24 Ore 26/11/2012, 26 novembre 2012
TARANTO, STORIA DI UN DECLINO ANNUNCIATO
This is the end, si potrebbe scrivere di Taranto al cospetto di un giudizio così drastico che l’ha fatta rotolare all’ultimo posto della graduatoria sulla Qualità della vita. Mai come in questo caso, però, la sua fine (apparente) coincide con il suo inizio (reale). Tutte le iniziazioni vanno celebrate da un officiante, come insegna la grecità di cui Taranto è imbevuta. Tra i tanti cantori della città adagiata sul mare viola dei greci, non si può non citare Guido Piovene, lo scrittore vicentino autore a metà degli anni 50 di un celeberrimo «Viaggio in Italia»: «Questo porticciolo orientale, questa popolazione di pesci e di molluschi, è uno dei miei migliori ricordi italiani; e così nell’insieme il ricordo di Taranto, città di mare tersa e lieve, tanto che passeggiandovi sembra di respirare a tempo di musica».
Quella che conobbe Piovene era la città arsenale, la città dei due mari ritagliata su misura da una natura generosa sfruttata per le operazioni belliche della Marina militare. Scriveva Piovene: «Taranto marinara giunse in tempo di guerra a impiegare 15mila operai. Con un’attività ridotta, con l’arsenale declinante, la disoccupazione si presenta grave». Due affermazioni dello scrittore vicentino hanno attraversato gli ultimi 57 anni per riproporsi come un mantra nella Taranto contemporanea: il respiro della città, avvelenato dalle emissioni dei quattro poli industriali (Ilva, Eni, Cementir e quel che rimane dell’Arsenale), che allo stesso tempo hanno riversato nel mar Piccolo quantità così imponenti di metalli pesanti e mercurio da costringere le autorità sanitarie a vietare tassativamente la coltura delle cozze in quella zona; e la mancanza di lavoro, la condizione di minorità che insieme all’inquinamento sta in cima ai pensieri di ogni famiglia, di ogni ragazzo, di ogni donna tarantina.
L’ultima posizione è aggravata dalla pessima performance generale delle province pugliesi, che hanno monopolizzato la coda della graduatoria nazionale: quattro di loro si trovano negli ultimi otto posti, un po’ meglio fa la sola Lecce, 91ª. Un quadro che dovrebbe impensierire Nichi Vendola e la sua squadra di fedelissimi da sette anni alla guida della Regione.
Taranto, come sempre, fa da detonatore. Vieni «in quell’angolo di mondo che più di ogni altro allieta», come scriveva il poeta romano Orazio, scegli un ristorante a caso fra la città nuova dalle linee umbertine e la città vecchia dalle suggestioni arabe, scegli un gruppo di commensali e ritrovi, una dopo l’altra, le ansie di una città che nel Novecento ha rappresentato per il Sud la certezza di un futuro manifatturiero. Chi ha un parente stretto ammalato. Chi è senza lavoro. Chi ha i figli disoccupati.
L’analisi storica
Il primo specchio che restituisce questa immagine complessiva, nella analisi storica rintracciabile nelle indagini sulla Qualità della vita, è l’indice sintetico sul tenore di vita. Vent’anni fa, nel 1992, valeva 521 punti. Nel 1995, il giro di boa per la vicenda tarantina che ha coinciso con la privatizzazione dell’Ilva, i punti erano scesi a 513. L’erosione del tenore della vita è stato graduale, ma costante: nel 2002, i punti erano 505 e, quest’anno, sono scesi sotto quota 500. Per la precisione, 497. Questo peggioramento ha fatto il paio con lo scivolamento verso il basso nella classifica: se vent’anni fa, come tenore di vita, Taranto era al 75° posto, ora è scesa al 94°.
La privatizzazione dell’Ilva, che rischia da un giorno all’altro la chiusura per il finora insanabile conflitto che divide proprietà e magistratura, sindacato e politica, ha fatto tutt’altro che male a Taranto dal punto di vista degli affari e del lavoro. Certo, nel ranking del Sole 24 Ore del lunedì è sempre molto indietro: vent’anni fa era all’85° posto, dieci anni fa era precipitata al 103°, adesso è al 96°. Ma, sotto il profilo dei valori assoluti, le cose stanno diversamente. Nel 1992 i punti erano 285. Nel 1995, quando l’Iri anziché chiudere l’acciaieria la vendette ai Riva, erano diventati 335. Una quota di poco incrementata anche quest’anno: 350 punti.
Lavoro e salute sono invece i due poli di un presente ingarbugliato. L’indicatore sui servizi e sul’ambiente non riproduce esattamente la situazione attuale. L’indice di Legambiente utilizzato in questo caso, dato che la vicenda Ilva è tuttora aperta, non ha tenuto conto delle polveri sottili e delle emissioni nocive emanate dalla maggiore fabbrica siderurgica d’Europa. Anche per questo, i punti sono in incremento: dai 482 di vent’anni fa ai 496 di oggi. Soltanto che, nel resto d’Italia, la tutela della natura (e l’assenza di un problema strutturale come la presenza di un’industria primaria a ridosso dei quartieri abitati) ha contribuito a migliorare il quadro generale delle città e delle province italiane. A Taranto, no. E, così, se Taranto era nel 1992 al 45° posto, adesso è precipitata fino al 94°.
Lavoro e salute si intrecciano con una questione, la demografia, che non è mai semplice da interpretare. Il segnale è di disaffezione, con una tendenza di peggioramento rispetto al resto dell’Italia: dai 535 punti (e dal 51°posto) del 1992 ai 416 punti (e al 103° posto) di adesso. E, mentre il tempo libero è in flessione come ranking (dall’82° al 104° posto) ma in incremento come indice assoluto (da 171 a 218 punti in vent’anni), una cosa è migliorata: l’ordine pubblico. Se vent’anni fa Taranto era al 79° posto, adesso è al 54°, con un valore dell’indice quantitativo in vent’anni triplicato: da 123 a 368.
L’attualità
La sfilza di numeri, comparazioni, incroci di dati e tabelle restituisce un’istantanea matematicamente ineccepibile che, per motivi evidenti, non può misurare l’energia generata in questi mesi dal conflitto tra l’acciaieria, la magistratura e i tarantini. Pur in un frangente così drammatico, Taranto è apparsa matura, consapevole dei suoi diritti e conscia dei suoi limiti. Una foto di gruppo (con un ponte girevole e molte ciminiere) che riflette lo sforzo di una comunità unita da un interrogativo più che da una certezza: se non ora, quando?