Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 24/11/2012, 24 novembre 2012
L’EUROPA SENZA BILANCIO, DURO SCONTRO SUI TAGLI
[Rinviato al 2013 il negoziato sul budget 2014-2020 da mille miliardi. evitato lo strappo con la Gran Bretagna] –
Dopo il negoziato sugli aiuti alla Grecia, si chiude con un rinvio anche quello del Consiglio europeo straordinario di ieri: la discussione sul budget 2014-2020 ricomincia a gennaio. Nei rituali europei c’è rinvio e rinvio, questo per l’Italia è quasi una buona notizia. L’ultima bozza, spiega il premier Mario Monti in conferenza stampa, “va nella direzione auspicata”.
La discussione è così complicata che “questo è uno di quei casi in cui è meglio avere un governo tecnico”, scherza uno dei membri della delegazione italiana. Ma è così riassumibile: anche i Paesi più europeisti, quando si tratta di soldi, vogliono ridurre il più possibile i contributi a Bruxelles. Un po’ per il clima di rigore, un po’ per la scarsa popolarità delle istituzioni europee. “Ma è pericoloso tagliare ore, questo bilancio partirà nel 2014, quando speriamo che la ripresa sia in corso”, dicono le fonti italiane. Oltre a questo si devono trasferire nel bilancio rapporti di forza diversi rispetto al 2005, quando fu discusso il budget 2007-2013. Risultato: “Per la prima volta nella storia dell’Unione europea stiamo discutendo di agli reali e non di aumenti nel budget”, si rammarica José Barroso, presidente della Commissione europea, che sperava in un piccolo aumento sufficiente a compensare l’inflazione. La nuova proposta del presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy prevede 1010 miliardi in sette anni. Sembra una cifra enorme, ma è l’1,06 per cento del Pil. E nella prima versione van Rompuy ha proposto un ulteriore taglio di 80 miliardi.
Lo scontro ruota intorno al “rebate” britannico, lo sconto ottenuto a suo tempo dalla Gran Bretagna di Margaret Thatcher. Approvato all’unanimità nel 1984, è un rimborso che permette all’Inghilterra di riavere parte dei contributi versati e vale 3,6 miliardi all’anno. Il “rebate” è pagato dagli Stati “contribuenti netti”, quelli cioè che versano all’Europa più di quanto ricevono (aritmetica contestata dagli europeisti come Monti, visto che non tiene conto degli effetti dei soldi versati a Bruxelels). Nel 2007 alcuni contribuenti netti – Germania, Svezia, Austria e Olanda – hanno ottenuto un “rebate” sul “rebate”, cioè uno sconto sulle somme che devono versare per per pagare il “rebate” agli inglesi. Complicato? Nessuno riesce a ingarbugliare le cose più degli eurocrati. E forse anche i negoziatori italiani del 2005 sono stati travolti dai bizantinismi brussellesi.
Nell’ultimo budget settenale l’Italia ha perso su tutti i fronti: non ha ottenuto lo sconto sui soldi che deve a Londra per il “rebate”, ha perso molti fondi per le aree meno sviluppate (finiti ai nuovi membri dell’Ue), ha subito una riforma della politica agricola su misura di Francia e Spagna. Morale: dal 2001 l’Italia è un contribuente netto, ma nel 2011 ha raggiunto l’insostenibile situazione di avere un saldo negativo di sei miliardi di euro in un solo anno. Ed è un po’ troppo persino per europeisti come Monti e il suo ministro per gli Affari europei Enzo Moavero che da mesi sta cercando di cambiare la situazione. Nella bozza di van Rompuy vengono aboliti gli sconti sullo sconto: tutti i contribuenti netti dovranno pagare il “rebate” britannico. Così il conto sarebbe alleggerito per Italia e Francia. Il governo sta trattando anche su politica agricola e fondi per la coesione, due voci da cui anche un contribuente netto come l’Italia può beneficiare.
Il primo obiettivo era evitare lo scenario del 26 a 1: cioè che si ripetesse quello che è successo a giugno con l’Unione bancaria, tutti d’accordo tranne Londra. Questa volta il primo ministro inglese David Cameron è rimasto al tavolo, anche se continua a titillare l’euroscetticismo del suo elettorato.
La battaglia per salvare il budget europeo è ancora aperta. Anche se l’assurdità della situazione è evidente a tutti: i singoli Paesi sono spinti dalla crisi e dal rigore interno a ridurre i contributi all’Unione. Eppure soltanto l’Unione potrebbe fare quelle politiche di spesa pubblica che, se perseguite a livello statale, fanno esplodere gli spread e il costo del debito. Il comportamento razionale sarebbe aumentare il bilancio europeo, non ridurlo. Ma essere razionali non aiuta a vincere le elezioni.