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 2012  novembre 24 Sabato calendario

PURE IL KALASHNIKOV È SCARICO «PUTIN, DIFENDILO DAI CLONI»

[Gli acquisti al livello più basso degli ultimi anni. Colpa delle fabbriche illegali in Cina, Africa e Medio Oriente. E l’inventore scrive al presidente] –
In principio era l’arma del popolo, il fucile sotto il brac­cio delle truppe sovietiche nei quartieri di Varsavia sino agli avamposti in Asia centrale. Poi è diventata l’arma dei pove­ri, quella usata nelle guerre d’Africa e nei conflitti del Medio Oriente. Ma oggi il marchio Ka­lashnikov, un pezzo di storia dell’industria russa, rischia di scomparire per colpa della tec­nologia e delle copie contraffat­te. Nei giorni scorsi gli operai delle officine meccaniche Iz­mash, quelle in cui si assemblea il fucile da quasi settant’anni, hanno scritto una lettera al ca­po del Cremlino, Vladimir Pu­tin, chiedendo di salvare i loro posti di lavoro. Gli ordini hanno toccato il livello più basso degli ultimi anni, gli stipendi scendo­no rapidamente e molti tecnici hanno già trovato lavori miglio­ri. «La situazione è catastrofica ­dice il messaggio - È una vergo­gna vedere la fine di una società che ha dato lavoro a più di una generazione». Sulla lettera spe­dita a Putin ci sarebbe anche la firma di Mikhail Kalashnikov, il padre del fucile, che ha compiu­to 93 anni due settimane fa.
Il problema delle officine Iz­mash riguarda da vicino le forze armate russe e il loro sviluppo. Nel 2007 il mini­s tero della Difesa è stato affidato per la prima volta a un civile, Anato­ly Serdyukov, che aveva il com­pito di trasformare l’esercito in un organismo moderno, più leggero e meglio armato. La rifor­ma ha spinto il governo verso nuovi fornitori e gli operai di Izhevsk, una cittadina nel cuore degli Urali conosciuta un tem­po come «l’armeria della Rus­sia », sono rimasti a corto di la­voro: quest’anno il 70 per cento delle ven­dite non è fini­to nei depositi dell’esercito rus­so ma sul mercato delle armi sportive, soprattutto quello americano. L’altro grosso guaio è la contraffazione. Il disegno del primo Ak47 risale agli an­ni Quaranta e da allora non c’è stata guerra senza un fuci­le russo che sventolasse per aria. La Banca Mondia­le dice che esistono almeno 100 milioni di kalashnikov al mon­do, ma soltanto cinque milioni sono stati prodotti nei paesi che facevano parte dell’Unione sovietica: le fabbriche illegali si tro­vano ovunque, sono in Cina, in Africa, nei paesi del Medio Oriente, durante le guerre in Congo e in Rwanda l’offerta di Ak è stata così alta da far crollare il prezzo sino a trenta dollari, in Mozambico il fucile era talmen­te popolare che lo hanno messo persino sulla bandiera, con tan­to di baionetta. Al bordo fra il Pakistan e l’Afghanistan c’è un villaggio, il nome è Darra Adam Khel, in cui centinaia di pashtun vivono grazie alla «Co­pia del Khyber », una riproduzio­ne che si vende a poco prezzo da una parte all’altra del confine. Il problema è diventato così gros­so che Mikhail Kalashnikov in persona si è rivolto alle Nazioni Unite nel 2006 e ha chiesto di fer­mare il mercato delle armi illegali: quelle prodotte nelle mie officine vanno agli eserciti e ser­vono per la dife­sa, disse allora, le altre finiscono nelle mani dei terro­risti.
Putin non è rimasto indiffe­rente all’appello degli operai russi. All’inizio del mese il mini­stro Serdyukov è saltato per uno scandalo di donne e corruzio­ne, e negli stessi giorni il gover­no ha approvato un piano per salvare le officine Izmash. È pos­sibile che gli stabilimenti di Mikhail Kalashnikov siano fusi con una fabbrica vicina che produce armi sportive, ha annun­ciato il vicepremier Dmitri Ro­gozin. In questo modo i due marchi potrebbero collaborare a nuovi modelli e combattere meglio, è proprio il caso di dirlo, anche la concorrenza sleale.