Stefano Zurlo, il Giornale 25/11/2012, 25 novembre 2012
LA CRIMINALITÀ VALE 170 MILIARDI E NE RUBA 75 SOLO DI IMPOSTE
[La Cgia di Mestre: ogni anno viene riciclato denaro sporco per un importo pari al Pil del Lazio. Una mazzata per l’erario] –
Sono numeri che fanno paura. Cifre che esprimono la forza della criminalità nel nostro Paese. E fanno capire impietosamente come una parte consistente dell’economia italiana sfugga ad ogni censimento. E ad ogni tassazione. Dunque, la Cgia di Mestre ci spiega che il giro d’affari illegale ha raggiunto la stratosferica quota di 170,5 miliardi di euro. Una montagna di soldi che sulla carta dovrebbe valere 75 miliardi di imposte. E invece lo Stato non ci guadagna nemmeno un centesimo. Stiamo parlando di una massa d’urto che equivale alPil di una regione come il Lazio. Solo che a far girare quei 170 miliardi sono principalmente tre business: traffico di droga, armi, prostituzione. La Cgia, che ha rielaborato dati provenienti da una fonte autorevole come la Banca d’Italia,ci tiene a precisare che la fotografia scattata non considera i reati volenti: rapine, estorsioni, usura. Accendere i riflettori su quel mondo tenebroso è ancora più difficile e dunque ci si ferma prima.Sull’abisso di una realtà che è comunque devastante perchè dà la dimensione della diffusione del cancro mafioso. «Molti di quei denari - spiega Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia-fra l’altro vengono riciclati e investiti in attività lecite. Con i proventi della droga si acquistano autosaloni, ristoranti, bar, alberghi, complessi turistici, e tante altre cose. Così alla fine il nero criminale entra nel circuito della buona finanza e lo alimenta, creando una pericolosa connessione fra la parte sporca del business e quella pulita ». Dove inizia l’economia sommersa e dove finisce quella in chiaro? Oggi i dati sul nero, quello che nasce da attività lecite, sono altrettanto impressionanti: si stima che sfugga all’erario un imponibile valutato circa 250-275 miliardi l’anno, con una mancata tassazione nell’ordine dei 100-120 miliardi. A questi numeri, disastrosi, vanno sommati, e in parte forse sovrapposti, quei 170 miliardi maledetti che testimoniano il radicamento della criminalità in intere aree del Paese.
Certo, le mafie, intese nel senso più ampio della parola, condizionano pesantemente tutto il sistema Italia. E provocano danni gravissimi al tessuto produttivo, ad esempio con la piaga della contraffazione di tanti prodotti. La «pirateria» distorce il mercato, spinge la concorrenza verso l’evasione, e l’illecito ha riflessi drammatici sui livelli di occupazione delle persone oneste. Meno criminalità vorrebbe dire anche meno nero e meno evasione. Diventa più difficile fare le cose in modo corretto se si ha sul collo il fiato di chi opera al di là delle regole. Certo, siamo inondati da operazioni sospette di riciclaggio dei capitali accumulati violando la legge. Le segnalazioni hanno avuto un’impennata impressionante negli ultimi anni, con una aumento esponenziale del 303 per cento fra il 2007 e il 2011. Non solo: nel 2011 le transazioni su cui sono stati accesi i riflettori, perchè forse nascondevano altro, sono state la bellezza di 48.344. Tocca all’Uif, l’Unità d’Informazione finanziaria della Banca d’Italia, dare profondità ai sospetti girando le proprie analisi al Nucleo Valutario delle Fiamme gialle e alla Dia, la Direzione investigativa antimafia.
Senza il nero, e il nero generato dalla grande delinquenza, l’Italia sarebbe un paese diverso. Con un’economia più libera e dinamica, meno bloccata davanti a interessi obliqui; soprattutto sarebbe più facile far diminuire la pressione fiscale.
Quellamano gigantesca che schiaccia famiglie e imprese.
Quel peso insostenibile diventerebbe più leggero e sopportabile. E forse l’Italia troverebbe più facilmente la strada che porta lontano dalla recessione. Ma al peggio non c’è limite: la Cgia ha monitorato solo una parte della piovra. Quella che comunica con le minacce e impugna le pistole sfugge non solo all’erario ma pure a questi calcoli.