Gianluca Paolucci, La Stampa 25/11/2012, 25 novembre 2012
ALLA BORSA DI ANVERSA UNA STRETTA DI MANO VALE UN DIAMANTE
[Al mercato delle pietre affari solo sulla fiducia: chi sgarra è fuori. Gli indiani ora insidiano il predominio sul mercato degli ebrei] –
«Un dono di Dio». Non provate a parlare di meraviglie della natura con un commerciante di diamanti. Ebreo o indiano gianista, uno dei (pochi) protestanti fiamminghi rimasti o degli ultimi arrivati, i russi di fede ortodossa, per un commerciante di diamanti la pietra più rara, bella e preziosa del mondo è sempre «un dono di Dio». David Wahl commercia pietre da 42 anni, come prima di lui faceva il padre e come poi farà il figlio. Ebreo ortodosso, nel suo ufficio al sesto piano della Antwerp Diamond Ring - la Borsa specializzata nei diamanti grezzi - riceve clienti e fornitori rovesciando pietre sul tavolo, passandosele tra le dita e guardandole con occhio svelto e attento prima di dire un prezzo.
Se un affare va in porto, per David e per tutti gli altri basta una stretta di mano e una parola: mazal (buona fortuna in ebraico, ma è la formula usata da tutti indipendentemente dalla religione, ndr) per chiudere scambi anche di decine o centinaia di migliaia di euro. Quello dei diamanti è un mercato basato essenzialmente, se non esclusivamente, sulla fiducia, spiega Alberto Osimo, commerciante di pietre milanese che si rifornisce regolarmente ad Anversa. La città belga, con le sue quattro borse dei diamanti, i 2500 dealer registrati e un indotto di centri di taglio, servizi di sicurezza, spedizione e lavorazione è la principale piazza mondiale per il commercio di queste pietre. In un’area di 2,5 chilometri quadrati, due vie chiuse al traffico e piene di telecamere, polizia e vigilanti privati, passa il 75% della produzione mondiale di diamanti grezzi e circa il 60% di quelli lavorati. Un mercato globale da 22 miliardi di dollari all’anno secondo una ricerca di Boston Consulting che pesa per il 6,5% del Pil del Belgio. La sala degli scambi Beurs voor Diamanthandel, la più antica della città - venne fondata nel 1904 quando si stabilì di dare una sede stabile ai commercianti che fino ad allora si davano appuntamento nei caffè vicino alla stazione - adesso è però silenziosa. Solo una parte minima degli scambi avviene qui. La maggior parte avviene negli uffici ai piani superiori, oppure per via telematica. Anche se verso i computer c’è sempre una certa diffidenza: «Resta fondamentale conoscere le controparti, nessuno del settore comprerebbe mai da uno sconosciuto», dice ancora Osimo. «I tempi cambiano», prosegue il vecchio David allargando le braccia con un sorriso.
Uguali, immutabili nel tempo, sono le leggi che regolano questo mercato. Per diventare uno degli operatori registrati alla Borsa di Anversa c’è da seguire una trafila lunghissima, presentare una mole di documenti, farsi presentare da altri tre soci, essere sottoposti ad un severo esame da parte di una commissione formata da due membri e infine la domanda può essere comunque respinta senza necessità di dare motivazioni. Le controversie tra associati vengono risolte da una commissione interna con due gradi di giudizio e la decisione finale viene fatta propria dalla giustizia belga. I soci che sgarrano vengono ostracizzati a livello globale. Un cattivo pagatore può essere sospeso dal diritto di accesso al mercato nel quale è registrato, ma l’avviso della sanzione (su un foglietto di carta colorata, con foto), comparirà su una lavagna analoga ad Anversa come a Tel Aviv o New York. Per le sanzioni più gravi - come la sostituzione di una pietra - non viene riportata la motivazione. «Ma non serve, certe cose si vengono a sapere comunque», spiega Mayank Mehta.
La famiglia di Mayank è una delle 525 famiglie indiane di fede gianista che vive ad Anversa e vive di diamanti. La sua comunità, in rapida crescita nei numeri, lo è anche nel potere: è indiano il presidente della Beurs voor Diamanthandel e oltre mille arrivano dall’India ogni mese per comprare o vendere diamanti. Problemi con la comunità ebrea ortodossa, storica detentrice del monopolio del commercio dei diamanti, non ce ne sono. «La fede diversa ci unisce nel reciproco rispetto - spiega Mayank -. E poi noi gianisti siamo vegeteriani, la mensa della Borsa (solo cucina Kosher, ndr) va benissimo anche per noi».
È la globalizzazione applicata al mercato dei diamanti. Tra la miniera e la gioielleria ci sono almeno otto-nove passaggi di mano. Le pietre vengono estratte da De Beers, Alrosa o Rio Tinto in Africa, Siberia o Australia, scambiate ad Anversa, tagliate in Cina, riscambiate ad Anversa o Tel Aviv, vendute in tutto il globo. I vari passaggi fanno lievitare il prezzo ma funzionano come camera di compensazione, garantendo la sua stabilità nel tempo. «I diamanti non conoscono bolle speculative: il loro valore aumenta ogni anno in maniera costante, senza crolli né impennate», dice Francesco Zanetti, responsabile commerciale della Intermarket Diamond Business, una delle poche realtà italiane specializzate nelle pietre per investimento.
Poi ci sono i numeri e c’è la qualità. In Cina si tagliano le pietre più piccole a costi molto bassi in grandi taglierie industriali dove lavorano fino a 3000 tagliatori. Ad Anversa si tagliano ancora le pietre più grandi e pregiate e un bravo artigiano può guadagnare fino a 8-10 mila euro al mese. Un lavoro delicatissimo, dove un piccolo errore può far perdere valanghe di soldi. In mano agli uomini, anche il «dono di Dio», segue regole molto terrene.