Maurizio Molinari, La Stampa 25/11/2012, 25 novembre 2012
LA MEDICINA CINESE UCCIDE IL “PANDA DEGLI OCEANI”
[La manta gigante rischia l’estinzione: tutti vogliono le sue branchie] –
I panda degli Oceani rischiano di estinguersi e per gli ambientalisti la responsabilità è dei pescatori cinesi impegnati in un giro d’affari che frutta milioni di dollari. A definire «Panda degli Oceani» le mante giganti è Andrea Marshall, direttore della «Marine Megafauna Foundation» in Mozambico, per il quale si tratta di «icone della fauna marina» che in comune con quelle della terraferma hanno «un tasso di riproduzione molto basso, l’incertezza degli scienziati sul loro numero complessivo e la brutale caccia di cui sono vittime».
A sostenere il rischio di estinzione è «Manta Ray of Hope», un rapporto confezionato da scienziati in gran parte americani e britannici sostenuti dai gruppi ambientalisti WildAid e Shark Savers e coadiuvati da ricercatori di altre nazioni. «La sopravvivenza delle mante è minacciata dalla crescente richiesta delle loro branchie di cartilagine adoperate per filtrare il cibo dall’acqua» si legge nel documento, che collega il rischio di estinzione all’aumento di reddito nella popolazione cinese. Le cartilagini entrano infatti nella formula di alcuni medicinali perché si ritiene che rafforzino il sistema immunitario, facilitino la circolazione del sangue e contribuiscano a guarire da tumori, malattie della pelle e infertilità.
Per Heidi Dewar, biologa del «Southwest Fisheries Science Center» di La Jolla, California - parte dell’Ente federale americano per la sorveglianza sull’atmosfera e sugli oceani - «si tratta di semplici cartilagini ma è il valore che viene attribuito loro in Cina a minacciare le mante che, nei casi più fortunati, fanno due figli nell’arco di molti anni». Ogni 12 mesi vengono uccise almeno 3.400 mante giganti, assieme ad altri 94 mila esemplari di specie simili. Ognuna frutta circa sette chili di branchie secche, il cui valore di mercato in Cina è di 3.500 dollari.
Il 99 per cento del commercio globale di questo prodotto si concentra nel Guangzhou e, secondo i dati del «Manta Ray of Hope», ammonta ad almeno 61 mila kg per un valore stimato di 11,3 milioni di dollari annui. Un’inchiesta condotta dalla tv «Nbc» ha appurato che non ci sono testi ufficiali di medicina tradizionale cinese che sostengano l’uso delle branchie secche ma il consumo continua comunque a crescere, soprattutto nel Sud della Cina. «Le uccisioni di mante aumentano costantemente da 10-15 anni - spiega Guy Stevens, direttore del britannico “Manta Trust” - e la maggior parte degli acquirenti si trova in Cina», che è poi il Paese da dove provengono i pescherecci più aggressivi, dalle acque del Mozambico alle isole Maldive fino alle coste dell’Australia.
Per Marshall «in Mozambico c’è stata una diminuzione dell’87% nella popolazione delle mante negli ultimi dieci anni»: i cargo cinesi arrivano carichi di beni a basso costo e ripartono con le stive piene di materie prime e di branchie secche».
I pescatori cinesi adoperano reti, corde e ami particolarmente resistenti per catturare le mante - assieme a squali e tartarughe - con tecniche tese a danneggiare il meno possibile la carne. Nel tentativo di arginare la strage marina, nel 2011 la Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie ha inserito le mante giganti fra le specie minacciate. Questa mossa è però servita a ben poco perché, come osserva Feng Yongfeng dell’Ong «Green Beagle», con sede a Pechino, «regolamenti internazionali contro la pesca non ve ne sono e il commercio delle mante non è illegale». Dunque gli affari nel Guangzhou continuano a fiorire.