Mario Deaglio, La Stampa 25/11/2012, 25 novembre 2012
IL TORPORE CHE IMPRIGIONA IL PAESE
Sarebbe facile immaginare che, nella breve stagione delle primarie, ci sarà davvero una sfida tra continuità e cambiamento. In realtà, la parte del Paese che è attratta dall’idea di cambiare, innovare, correggere, che considera il mutamento come essenziale, che prende come modello l’Europa e il mondo, è largamente minoritaria. Sono invece prevalenti coloro che prendono come modello il campanile, vogliono il minor cambiamento possibile, il recupero di ciò che hanno perduto in questi anni e, al massimo, una semplice riverniciatura dell’esistente. In un Paese in cui i giovani sono in netta minoranza (con i più preparati che, sempre più frequentemente, trovano lavoro all’estero) la maggioranza esprime un profondo, quasi disperato, desiderio di continuità, anzi di immobilità, profondamente anacronistico in un mondo in cui le dinamiche demografiche e quelle economiche impongono rapidi cambiamenti a tutti.
l risultato di questo conservatorismo di fondo degli italiani è la caduta, o, in ogni caso, il livello estremamente basso dell’Italia in tutte le classifiche internazionali degli ultimi 10-15 anni. Lasciamo da parte il solito Pil, il prodotto interno lordo, che vede il Paese perdere posizioni non solo a livello mondiale ma anche in ambito europeo; merita invece di essere sottolineato, tanto per fare qualche esempio, che ci sono oltre cento Paesi al mondo in cui è più facile che in Italia ottenere un permesso di costruzione o un allacciamento elettrico, e ben centotrenta in cui è più facile pagare le tasse. L’Italia è ai primi posti per l’inquinamento dell’aria delle città, mostra cattivi risultati per quanto riguarda il livello di istruzione, perde colpi nel turismo, pur essendo, in potenza, il maggior paese turistico del mondo. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
In Italia si invocano incessantemente nuove iniziative per creare lavoro ma chi si fa avanti con progetti di nuovi investimenti viene subito trattato con sospetto. Vuoi mettere una fabbrica nei nostri campi? Il piano regolatore non lo permette. Vuoi far passare una linea ferroviaria nel nostro territorio comunale? Ci pensa la «conferenza dei servizi» a imporre un «obolo», sotto forma di opere pubbliche compensative, per cui il costo al chilometro diventa il più caro del mondo. Vuoi costruire un’autostrada ritenuta utile da tutti, come la Brescia-Bergamo-Milano, senza alcun onere per lo Stato? Preparati a una snervante partita con le istituzioni che durerà una quindicina d’anni. Vuoi costruire, come effettivamente voleva la società britannica British Gas, il rigassificatore di Brindisi, un tipo di impianti di cui il sistema energetico italiano ha un bisogno essenziale? Dopo undici anni di «guerriglia giuridico-burocratica» contro il progetto, la British Gas ha rinunciato.
La riluttanza ad accettare veramente il nuovo, o anche solo a discutere delle sue possibili implicazioni, sembra permeare di sé il mondo della politica così come la società che la esprime. Eppure un tempo non era così: l’Italia dei primi del Novecento, così come quella del «miracolo economico», accettavano con entusiasmo mutamenti profondissimi, primi fra tutti quelli derivanti dalle migrazioni interne che hanno fatto da motore alla crescita italiana. Oggi la società appare impaurita e ingessata e si arriva all’amara conclusione che il benessere diffusosi in Italia negli ultimi 3-4 decenni ha portato a un nuovo torpore. Questo nuovo torpore rischia oggi di far perdere il benessere: non a caso, nella crisi economica in atto, l’Italia ha avuto la maggiore caduta produttiva tra i Paesi avanzati, seguita dal minor rimbalzo.
In «Le sorprese della scienza», una novella pubblicata nella raccolta «Novelle per un anno» del 1922, Luigi Pirandello racconta il caso del comune di Milocca (oggi Milena, in provincia di Caltanissetta) ferocemente contrario alla costruzione dell’acquedotto e all’introduzione dell’energia elettrica. In una seduta (a lume di candela, naturalmente) il consiglio comunale, considera «della massima difficoltà» gli «impianti idro-termoelettrici» che serbano «dolorosissime sorprese». Conclusione? Il progetto di una centrale elettrica verrà bocciato, di fatto perché non vi sono previste spese generali, di direzione e di sorveglianza, legali e amministrative, ossia, come potremmo osservare oggi, perché così si sposterebbe la distribuzione dei redditi, lasciando poco o nulla alla politica e alla burocrazia locale. La bocciatura è però ammantata di alti principi: viene decretata la «sospensiva su ogni progetto, in vista di nuovi studii e di nuove scoperte», un farsi scudo dei progressi della scienza di domani per evitare di far qualcosa oggi, un richiamo al futuro e alla modernità sotto il quale si nasconde il conservatorismo più profondo.
Milocca oggi non è, come potrebbe sembrare, un comune siciliano di tremila abitanti. In realtà Milocca ha conquistato l’Italia, la maggioranza degli italiani ha la cittadinanza di Milocca. Milocca si annida nelle procedure di un’amministrazione pubblica pletorica, in un’opinione pubblica spesso apparentemente convinta che i posti di lavoro si possano creare indipendentemente dalla loro prevedibile produttività, che va in visibilio per i successi sportivi (quando ci sono) per non parlare di risultati economici poco brillanti.
La speranza che le primarie di novembredicembre possano cambiare questo stato di cose è molto tenue. Come però dice un vecchio detto latino, la speranza è l’ultima a morire.