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 2012  novembre 25 Domenica calendario

QUANTI (NON LAUREATI) AL NOBEL

Che cosa dice la geografia del Nobel? Che mondo emerge, quale battaglia dei sessi e di generazioni, quale primato (arroganza?) accademica trova la sua giustificazione, se si mettono nel frullatore le età, le città d’origine, gli atenei di appartenenza, il titolo di studio degli 864 Nobel premiati dal 1901 a oggi? Guardi le città, in questo gioco che chiunque può fare con il grafico qui sopra, e leggi il declino degli imperi. Quello della Vienna asburgica (4 Nobel fino agli anni 30, poi una serie di geni quasi tutti emigrati in America). E ricordi che negli anni 20 e 30, quando si frequentavano alle feste Hemingway e Scott Fitzgerald, Picasso e Gertrude Stein, Man Ray e Buñuel, Parigi è stata un’irripetibile e magica capitale del mondo. Ti accorgi che Berlino e Monaco da vent’anni non portano a casa un Nobel, quasi a dar ragione in chi ormai vede nella Germania una grande Svizzera, riassunta nella celebre battuta di Orson Welles: «Cinque secoli di democrazia e di pace. E cosa hanno inventato? L’orologio a cucù». Vedi che New York nel dopoguerra ha staccato tutti e che però, con buona pace di Groucho Marx («A New York praticamente tutti vogliono scrivere un libro, e lo fanno») e di Philip Roth, le manca il quadratino giallo del premio alla letteratura.
Si è geni precoci nella fisica (il Nobel più giovane: Lawrence Bragg, 25 anni). Serve la sentenza del tempo per veder affermata una teoria in economia: la categoria (66 anni) e il Nobel (Leonid Hurwicz, 90 anni) più vecchi. Gli studi, e l’età, non sono fondamentali a voler diventare scrittori, o voler cambiare i destini del mondo (le due categorie meno laureate). E c’è implacabile il grande baratro dei sessi, già teorizzato dall’ex rettore di Harvard Lawrence Summers che ci rimise il posto per la rivolta femminile, quando sostenne che le donne fossero meno portate per le scienze. Sei premi in 112 edizioni tra chimica, economia, fisica (due portati a casa da Marie Curie). Archiviato Summers, perché?
C’è la classifica delle università. Dove dominano gli americani (in ordine, Harvard, Mit, Stanford, Caltech, Columbia, l’intrusa inglese Cambridge, Berkeley). A ben guardare non l’America Ivy League dei campus edoardiani e dei viali alberati di querce centenarie, ma quella verdissima delle palazzine funzionali e degli skateboard della West coast. E allora, la geografia del genio ricalca quella del predomino politico e culturale? Non c’è dubbio. Però, benedetti gli «irregolari» della letteratura o del Nobel per la pace! C’è pur sempre lo scarto della fantasia, o dell’ossessione e della tenacia.
Mara Gergolet