Ranieri Polese, la Lettura (Corriere della Sera) 25/11/2012, 25 novembre 2012
CHE LEGGERE? I LIBRI-SCUDO DI LENIN, DANTE, BALLESTRA
«Noi non siamo che copertine di libri, il cui solo significato è quello di proteggerli dalla polvere» dice Granger, il capo dei viandanti ribelli che vogliono difendere e conservare la cultura affidando a ciascuno il compito di memorizzare un libro. Parla, Granger, al nuovo arrivato, il pompiere Guy Montag che, stanco di bruciare libri, ha lasciato la città per unirsi alla «minoranza che grida nel deserto». Poi, lui stesso diverrà parte di questa biblioteca vivente, ritrovando nella sua memoria l’Apocalisse e l’Ecclesiaste. Era il 1953 quando Ray Bradbury immaginava il fosco futuro in cui una dittatura spietata, che riconosce come unica forma di comunicazione e di cultura la televisione, condanna al rogo i libri e chi li custodisce. Il romanzo si intitolava Fahrenheit 451 (in Italia fu tradotto nel 1956, nel 1966 François Truffaut ne avrebbe tratto un film).
A quella profezia negativa vien fatto di pensare guardando le foto delle manifestazioni (l’ultima in particolare, quella europea del 14 novembre), dove, in prima fila contro gli scudi di plexiglas della polizia, sono schierati i «Book bloc», ragazzi che impugnano uno scudo su cui è scritto il titolo di un libro. Protestano, gli studenti, contro i tagli che si abbattono sulle scuole, sulle università, sulla ricerca. Gridano «Contro la crisi e l’austerità, riprendiamoci la cultura e la città». Non sono lì soltanto perché sanno che li attende un futuro senza lavoro, scendono nelle piazze d’Europa per denunciare la morte della cultura, che se nel libro di Bradbury era affidata ai roghi di libri di hitleriana memoria, oggi si ottiene con drastiche operazioni di riduzioni di spesa. Per questo brandiscono i loro scudi a forma di libro.
Su alcune copertine, poche, compaiono slogan: «Que se vayan todos!», il grido degli argentini che scesero in strada contro il tentato golpe del presidente de la Rua (dicembre 2001) ripreso nel settembre scorso a Madrid in una grande manifestazione davanti al Parlamento. C’è anche un «Nessun governo amico». C’è lo slogan di Occupy Wall Street, curiosamente in versione tedesca: «Wir sind 99%». E quello delle donne americane del Word (Women Organized to Resist and Defend): «A Woman’s Place Is in the Struggle». Ma la maggioranza degli scudi è dedicata ai libri.
Il catalogo è questo
Questa forma di protesta nasce a Roma nel novembre 2010, durante le manifestazioni degli studenti contro la riforma Gelmini. Comparivano i primi scudi con una notevole varietà di titoli e autori, da Pisacane (La rivoluzione) a Benni (Comici spaventati guerrieri), da Burroughs (Il pasto nudo) a Marx (Il capitale) a Silvia Balestra (con una l sola: La guerra degli Antò), da Lenin (Che fare?) a Balestrini (Gli invisibili, L’orda d’oro), da Saviano alla Costituzione della Repubblica italiana. Senza dimenticare Fahrenheit 451 di Bradbury e la graphic novel V per Vendetta, quella che aveva regalato ai movimenti antisistema e agli Anonymous la maschera ghignante di Guy Fawkes. Completavano il catalogo alcuni classici antichi e moderni, il Satyricon e il Decameron, Don Chisciotte, Il piccolo principe, Calvino e Cent’anni di solitudine. E Q dei Luther Blissett, il collettivo di scrittura da cui sarebbero nati i Wu Ming.
Poi i «Book bloc» arrivarono a Londra, bloccata da migliaia di studenti in guerra contro la legge del governo Cameron che aumentava le tasse d’iscrizione alle università. Sugli scudi finirono le opere di Huxley (Il mondo nuovo), Derrida (Spettri di Marx), Ivan Illich (Descolarizzare la società), Adorno (Dialettica negativa).
E oggi, a quasi due anni di distanza, quali libri scendono in piazza? Alcuni titoli restano, altri scompaiono. Non c’è Bradbury, ma al suo posto entra Orwell, 1984. Nello scaffale rivoluzionario c’è ancora Lenin, resiste Balestrini, entra Toni Negri (Il dominio e il sabotaggio), manca — almeno nelle foto — Marx. Va forte Deleuze (Millepiani. Capitalismo e schizofrenia e le lezioni su Spinoza Cosa può un corpo).
Ci sono titoli che riguardano le privatizzazioni selvagge (Beni comuni di Ugo Mattei), la protesta degli intellettuali (Tumulti. Scene dal nuovo disordine planetario di Tania Rispoli e Augusto Illuminati), il classico No Logo di Naomi Klein. Anche la schizofrenia cinese, fra comunismo e capitalismo, interessa: Il tallone del drago di Paolo Do. Piacciono le biografie di ribelli e partigiani, come quella della gappista Onorina Brambilla Pesce (Il pane bianco) e quella degli anarchici della Banda Bonnot (In ogni caso nessun rimorso di Pino Cacucci) o il romanzo di Marco Philopat sulla Banda Bellini. E c’è un forte filone femminista, che risale indietro nel tempo con Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel e Luce Irigaray, Etica della differenza, ma ci sono anche Gioconda Belli, Il paese sotto la pelle (impegno sandinista & rivendicazione dell’identità femminile) e la provocatoria Virginie Despentes, King Kong Girl. Per i romanzi contemporanei, tre titoli: Fight Club di Chuck Palahniuk, Cecità di Saramago e Casino totale del maestro del noir mediterraneo Jean-Claude Izzo. Infine, i classici: Odissea ed Eneide, Le mille e una notte, la Divina Commedia e Il principe di Machiavelli, l’Etica di Spinoza, Moby Dick, Alice, On the Road e Lolita di Nabokov.
Che fare?
Difficile giudicare questi cataloghi. La biblioteca vivente di Bradbury aveva un senso preciso: la lista di libri salvati dai roghi aveva una forte impronta ideale, anche religiosa. C’erano i Vangeli, Buddha, Confucio, qualche libro della Bibbia, Gandhi e il dottor Schweitzer. Fra gli antichi figuravano Platone (La Repubblica) e Marco Aurelio; tra i moderni Machiavelli e Byron stavano accanto a Jefferson, Lincoln e Tom Paine, in buona compagnia con Darwin e Schopenhauer. Insomma, un compendio portatile di scrittori che ponevano al primo posto la libertà dell’uomo. Ma oggi, fra inclusioni ed esclusioni, nella biblioteca dei libri scudo non si riesce a scorgere un disegno complessivo.
Certo, Lenin e Toni Negri parlano di rivoluzione a chi spera che una rivoluzione ci sia. E le madri del femminismo storico (Lonzi, Irigaray) ricordano alle ragazze di oggi che la lotta non è finita. Ma poi c’è un po’ di tutto, il noir di Izzo e la vecchia antologia Einaudi di fantascienza Le meraviglie del possibile. Perfino il Dizionario dei sinonimi e dei contrari. Sembra che i compilatori del catalogo nonché fabbricatori dei libri scudo siano andati a orecchio, fra ricordi di scuola (Dante, Omero, Virgilio), romanzi da cui è stato tratto un film di culto (Fight Club), l’eterno richiamo della Beat Generation (Kerouac) e il ribellismo dei Luther Blissett. Per cui diventa legittimo chiedersi: il libro scudo è un libro da salvare o solo un oggetto da contrapporre agli scudi dei poliziotti?
Inutile fare qui il gioco delle assenze, del resto il numero dei libri scudo è limitato: sono quelli che devono stare nelle prime file del corteo, qualche decina a giudicare dalle fotografie. Parafrasando il vecchio Bradbury («Non giudicate un libro dalla copertina») si potrebbe dire: non giudicate un libro dal titolo. L’importante è che il libro ci sia. E l’importante è che abbia la forma del libro. Fatto singolare per una generazione cresciuta sul web, che si confessa su Facebook, comunica su Twitter, scarica (download) dischi, film, libri. Ecco, seppure nella grezza simulazione del rettangolo di plexiglas su cui è appiccicato un cartone dipinto con sopra titolo e autore, quello che colpisce di queste manifestazioni è la nostalgia del libro com’era. Quasi che non si potesse immaginare un altro oggetto-simbolo capace di rappresentare quella cultura che le spending review stanno uccidendo.
Per i ragazzi della rivoluzione digitale che ha mandato in soffitta Gutenberg, è proprio il libro stampato lo strumento di lotta. Due anni fa, quando i primi libri scudo comparvero, le cose in Italia erano più semplici: c’era Berlusconi al governo e il ministro Tremonti diceva che con la cultura non si mangia. Oggi c’è Monti, ma i tagli sono terribili. Se c’è una foto simbolo di questo momento è quella del ragazzo con il cappuccio che ha appoggiato il suo libro scudo, Cuore di tenebra di Joseph Conrad, quasi fosse anche lui arrivato alla fine di un viaggio. Conrad aveva incontrato l’orrore di Mistah Kurtz, lui ha visto la spietata legge della spending review.
Ranieri Polese