Alessandro Pasini, Corriere della Sera 25/11/2012, 25 novembre 2012
DAL PC AL CAMPO, IL SOGNO AVVERATO DEL CYBER ALLENATORE
L’idea non è male. Moderna perché intercetta una tendenza. Provocatoria perché, come si dice, fa discutere. L’allenatore dell’FK Baku, squadra della prima serie azera, è un ragazzo di 21 anni, Vugar Huseynzade, ingaggiato non per la sua capacità tecnica sul campo ma per l’indiscussa abilità a Football Manager, il videogioco di simulazione con decine di migliaia di adepti in tutto il mondo.
A FM si finge di essere un manager, si costruiscono e si disfano le squadre, le si allena, si giocano le partite e, se si è bravi, si vince. Tutto virtuale. In questo sport — come racconta Il Secolo XIX — Vugar è un fenomeno e perciò, oltre che per la sua laurea in business management a Boston e il suo tirocinio in un’agenzia sportiva americana, la società lo aveva ingaggiato a febbraio come consulente in tema di scouting e tattica. Quando poi, con la squadra penultima in classifica, la dirigenza ha deciso di cambiare allenatore, il giovane cervellone è entrato in ballottaggio con Jean Pierre Papin, 49 anni, ex centravanti del Marsiglia e del Milan, Pallone d’oro nel 1991.
Sul piatto della bilancia c’erano da un lato la cyber-competenza di Vugar, dall’altro una carriera di tecnico appena normale (una promozione in Ligue 1 con lo Strasburgo nel 2006, una salvezza il Ligue 2 con lo Châteauroux nel 2010) ma comunque un’indiscutibile conoscenza diretta del pallone, non fosse altro che JPP lo ha buttato in rete 258 volte in 548 partite da professionista.
Non proprio un Renzi vs. Bersani, ma quasi. Eppure il presidente Hafiz Mammadov non ha avuto dubbi: dentro il rottamatore, a casa il francese. Al suo esordio l’FK Baku di Huseynzade ha battuto 2-0 il Xazar e oggi tenterà il bis contro il Neftchi Baku, squadra che gioca nel girone dell’Inter in Europa League. Proprio questa competizione è il primo obiettivo che si è posto il tecnico, per niente intimorito dall’avventura: «Entro tre anni ci arriveremo».
Al netto dell’ironia e dei pregiudizi, ammettendo che come candidato rivale il ragazzo non aveva José Mourinho e riconoscendo che una partita non legittima alcuna deduzione, l’esperimento azero è interessante perché genera alcune stimolanti domande. Che cosa conta davvero per allenare? L’esperienza sul campo è sempre preferibile alla pura teoria? Basta una super preparazione teorica per gestire elementi volatili come gli umori e gli odori dello spogliatoio, gli arbitri e le sostituzioni, i pali, le traverse, i fili d’erba che cambiano rimbalzi e destini? E ancora: qual è il rapporto nello sport fra l’infinito database statistico garantito dalle nuove tecnologie e la vecchia sana pratica dell’osservazione quotidiana e diretta dei giocatori, del gioco e delle sue variabili imponderabili?
A quest’ultimo dilemma l’America ha dedicato diverse riflessioni e l’esempio più interessante è la storia di Billy Beane, il manager degli Oakland Athletics di baseball, raccontata nel film «Moneyball». Nel 2002, spinto da grossi problemi di budget, Beane costruì una squadra vincente cambiando radicalmente i criteri di reclutamento dei giocatori: liquidati i vecchi scout sul campo, si affidò solo al database statistico gestito da un neolaureato in economia a Yale. Il giocatore, così, diventa un oggetto neutro scientificamente sezionabile e valutabile meglio al computer che a bordocampo dove, secondo Beane, si rischia di più. Magari — come racconta «Trouble with the curve», il film appena uscito in cui Clint Eastwood interpreta proprio un vecchio osservatore degli Atlanta Braves — persino di avere problemi di vista e sbagliare giudizio.
Billy Beane, però, era ed è un manager (votato il migliore di tutti anche nel 2012) e l’ultima scelta a Oakland spetta pur sempre a un coach esperto, nato e cresciuto sul campo. Vugar Huseynzade è un’altra cosa, perché la squadra addirittura la allena. In un certo senso, è l’evoluzione della specie. E, come tale, neanche si pone il problema: «Ho sempre voluto lavorare nel mondo del calcio. E poi gioco a Football Manager dal 2002». Dieci anni al computer possono insomma bastare per transitare dal calcio virtuale a quello reale. Il ragazzo non vincerà la Champions, di certo ha aperto un nuovo sentiero ideologico. E magari una nuova possibilità di lavoro ai tempi della crisi.
Alessandro Pasini