Marco Del Corona, Corriere della Sera 24/11/2012, 24 novembre 2012
Chiamarla la guerra dei passaporti forse è eccessivo. Certo è che l’ultima mossa della Cina, impegnata in una serie di contese territoriali con i Paesi vicini, complica ulteriormente una partita diplomatica su più tavoli, tutti difficili
Chiamarla la guerra dei passaporti forse è eccessivo. Certo è che l’ultima mossa della Cina, impegnata in una serie di contese territoriali con i Paesi vicini, complica ulteriormente una partita diplomatica su più tavoli, tutti difficili. E’ successo che Pechino abbia emesso nuovi passaporti in cui la pagina 8 riporta una mappa standard della Repubblica Popolare, come in Cina se ne vedono a milioni: con i confini che includono zone rivendicate dall’India e tutte le isole del Mar Cinese Meridionale, dall’arcipelago delle Paracel alle Spratly. La Cina reclama l’Arunachal Pradesh, stato dell’India, chiamandolo «Tibet meridionale»: la sua lunga frontiera nell’Himalaya orientale è stata oggetto di una guerra di cui è da poco trascorso il cinquantenario. L’Aksai Chin, al contrario, è controllato da Pechino ma l’India lo considera parte del suo Kashmir. E per gli atolli del Mar Cinese Meridionale — che sulla carta geografica sono inclusi nei famigerati «nove tratti»: una lingua tratteggiata che arriva quasi a lambire Singapore — con la Cina litigano a vario titolo Vietnam, Filippine, Malaysia e Brunei (più Taiwan). Ironia della sorte, il Giappone ammette di non potersi lamentare: più a nordest le minuscole isole Senkaku/Diaoyu, motivo di tensione acuta, non sono state disegnate. La decisione di esibire una rappresentazione della Cina non condivisa è stata considerata una provocazione. Prime a infuriarsi, le Filippine: «Una violazione del diritto internazionale». New Delhi è andata oltre. L’ufficio che a Pechino gestisce le pratiche consolari per conto dell’ambasciata indiana ha cominciato a emettere visti che mostrano una mappa in cui Arunachal Pradesh e Aksai Chin compaiono come indiani. Ritorsione senz’altro meno cruenta di un’operazione militare che ragionevolmente nessuno dei due Paesi ha interesse a mettere in atto. Eppure è tutto il gioco del nazionalismo ad apparire per nulla rassicurante, oltre che inutile. Quando un cartografo gioca a fare il piromane, non è solo la carta che rischia di bruciare.