Nicola Saldutti, Corriere della Sera 24/11/2012, 24 novembre 2012
Una valigia. Dalla quale i ricordi affiorano sotto forma di lettere, spartiti. Appunti presi rigorosamente con inchiostro rosso
Una valigia. Dalla quale i ricordi affiorano sotto forma di lettere, spartiti. Appunti presi rigorosamente con inchiostro rosso. Fotografie con dedica, come quella di Gabriele d’Annunzio. Il suo frac Caraceni, con la data cucita, 12-1935. Il carrillon donato da un’amica per la sua casa di Riverdale. Ritagli di giornale raccolti in un quadernetto dalla copertina marrone dalla quale si intravedono appena le parole, morsicate dal tempo: «A. Toscanini...ercosso ...fascisti». Il ritaglio di un titolo, che riporta a quel 14 maggio del 1931 al Teatro Comunale di Bologna. Non volle suonare Giovinezza e l’Inno Reale con la sua orchestra, Arturo Toscanini. E perciò percosso dai fascisti. C’è la sua bacchetta. I suoi occhiali pince nez. C’è la sua tessera dell’Associazione Amici della Scala, la numero 182 del 28 giugno 1947. Lui che l’aveva diretta infinite volte. Le sue iniziali «At». Un pezzo di Novecento, con le tragedie e le sue contraddizioni. «Caro Walter sii buono. Vorrei passare Natale con te. Vieni, ti prego ti aspetto a braccia aperte». Un messaggio di poche righe di un Maestro alla difficile prova di essere padre. C’è una parte molto privata dentro questi ricordi che forse solo il tempo concede il diritto di leggere. Un biglietto della scrittrice Ada Negri: «Maestro ed amico, misuro il vostro dolore dall’immensità del mio quando perdetti la mia mamma. La vita è un’altra cosa, dopo. Fatevi coraggio 26/7/24». E la firma della poetessa a caratteri cubitali. Le foto della Scala il giorno del grande rientro, l’11 maggio del ’46 con i manifesti «Evviva Toscanini». Il programma di sala di quel sabato, Verdi, Puccini, Rossini. E poi la prima in Italia di «Un americano a Parigi» di Gershwin. Messaggi indirizzati all’Hotel Astor di New York. Corrispondenze con tanti personaggi dell’epoca. Come Stefan Zweig, il poeta e drammaturgo austriaco le cui opere furono bruciate dai nazisti e costretto all’esilio prima a Londra e poi negli Stati Uniti. «Avrò il piacere — scrive Zweig — di rincontrarti il 10 gennaio al "Conte di Savoia": io mi imbarco a Villefranche...». L’epoca dei transatlantici, subito prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. La lettera di Joseph P. Kennedy: «Il contributo di Toscanini al mondo resterà molto dopo Toscanini». Tra le carte Maria Callas scrive alla figlia Wally, febbraio 1964: «Carissima Wally ti sono grata per avermi capita l’anima attraverso la voce. Solo con la voce posso parlare». C’è la lettera del compositore Maurice Ravel. Non si era alzato in piedi per applaudire all’esecuzione del suo Bolero e qualcuno aveva parlato di un affaire Ravel-Toscanini. Sempre colpa dei giornali: «Hanno scritto che non mi sarei alzato per punirvi di non aver colto il movimento esatto del Bolero. Io invece ho sempre creduto giusto che le ovazioni siano rivolte all’interprete. Mi sono voltato verso di voi per applaudire. Purtroppo la malignità si presta meglio della verità alle informazioni sensazionalistiche». «Nous travaillon à une oeuvre latine...», così comincia il telegramma di Claude Debussy e Gabriele D’Annunzio a Toscanini. Stanno lavorando insieme ad un’opera «Il martirio di San Sebastiano» e si rivolgono a lui perché lo considerano in grado di dare la vita perfetta alla loro opera. A pagina 87 e 88 del Tristano e Isotta di Wagner interi pezzi di pentagramma cancellati. E poi alcuni versi riscritti come faceva anche con le note, sempre in rosso. Invece di «Al suon ci porta l’onda col venticel del patrio ciel» il Canto del Marinaio di Toscanini diventa: «Va la nave ad est ci spinge il vento al patrio suol». Il disegno del profilo appuntito di Toscanini e sotto quello di un treno, il convoglio della tournée negli Stati Uniti con l’orchestra che la Nbc aveva creato solo per la sua musica. E che diresse per 17 anni. Lo scambio di lettere con Richard Strauss. Con le scuse del compositore al maestro: «Non è colpa mia L’anno scorso vi avevo promesso la prima in Italia...». Ma poi preferì il Regio di Torino. Milano voleva l’opera nello stesso giorno. E allora? Toscanini s’inventò una soluzione degna dei tempi della tv: organizzò una prova generale di «Salomè» aperta nello stesso giorno. Una corrispondenza, in italiano, dello scrittore Paul Valery che prima si scusa per non poter essere presente al suo concerto e poi chiede due biglietti. Da donare a due amici. Tra i fogli spunta anche il timbro del Terzo Reich. La missiva porta la data 3 aprile 1933. Adolf Hitler, il Fuhrer che si rivolge a Toscanini, indirizzo hotel Astor. Lo ringrazia per il suo contributo al festival di Bayereuth, «come amico di lunga data della casa Wahnfried». Si rallegra con il maestro al quale scrive di non «vedere l’ora di poterlo ringraziare personalmente». Il terrore e la musica. Però la musica vince, poi. C’è il programma di sala del concerto diretto nel 1936 nell’hangar dell’aeroporto di Tel Aviv, la Palestine Symphony Orchestra, nata proprio in quell’anno. Da musicisti ebrei scappati dall’orrore nazista. Che lo salutano come «Here is a man!». Il grande maestro che ha scelto di dirigerli. Si apre il plico più delicato, quello della corrispondenza con la moglie Carla. Sono quasi ottocento lettere. Ci sono lettere d’amore di un’unione, quella con Carla De Martini, cominciata prima delle fine del secolo: «Attendevo due tue lettere. Invece... quanta delusione» gli scrive. E il maestro le risponde: «Non so perdonarti! So solamente amarti!». 13 novembre 1896, venerdì. «Abbi pazienza se non ti scrivo più a lungo ma sono stanco e ho bisogno di riposarmi. Ho gridato come un ossesso e mi duole le gola... vado a nannina, tuo Arturo». Un salto di mezzo secolo e arriviamo al 23 novembre 1950. Racconta del concerto: «Erano pazzi, mi hanno baciato, abbracciato e piangevano di commozione». A un certo punto è stanco. «Io sono di cattivo umore, non avere più il salone dei concerti all’Nbc, non ho più voglia di dirigere». Organizza una festa di compleanno a sorpresa per Walter, però qualcosa non va: «Non vedo l’ora di partire e finire questa malaugurata stagione. Eppure devo lavorare, non posso rimanere in ozio. Il lavoro è la mia vita. Prima di partire farò qualche registrazione (record nella lettera, ndr)... non voglio lasciare incompiuta la seconda sinfonia di Beethoven». Musica e vita. Come il telegramma indirizzato a Francesco Ruffini, Torino. Siamo nel 1931: «Profondamente commosso abbraccio lei e i suoi illustri colleghi universitari per il fiero e nobile contegno (stop). La schiena si curva quando l’anima è curvata». Il destinatario è uno dei dodici professori che si è rifiutato di giurare fedeltà al fascismo. Non sono certo i primi documenti di Toscanini, altri ce ne sono, come quelli che verranno battuti a New York, ma rappresentano forse uno dei viaggi più completi nella sua vita. Questi frammenti di vita del maestro andranno all’asta a Milano il 19 dicembre alla casa d’aste Bolaffi. Forse Milano dovrebbe accorgersene e non lasciarli andare via. Nicola Saldutti