Paolo Panerai, ItaliaOggi 24/11/2012, 24 novembre 2012
Dopo mesi di silenzio, non solo suo ma anche dei giornali su di lui, rotto solo da alcuni rumors sulla possibile candidatura a presidente dello Ior, il nome di Cesare Geronzi sta per riecheggiare sulla scena economica e politica italiana
Dopo mesi di silenzio, non solo suo ma anche dei giornali su di lui, rotto solo da alcuni rumors sulla possibile candidatura a presidente dello Ior, il nome di Cesare Geronzi sta per riecheggiare sulla scena economica e politica italiana. Mercoledì 28 usciranno le prime anticipazioni sul libro-intervista concessa a Massimo Mucchetti e che Feltrinelli metterà in vendita nelle librerie dal giorno dopo. Il titolo, Confiteor, la preghiera-confessione, è illuminante non perché l’ex banchiere e assicuratore debba espiare, ma perché si libera, come nella messa di rito romano, da quanto sa rivelandolo a Dio onnipotente e ai fratelli. E nello stile del Cardinale, come a Roma hanno chiamato a lungo Geronzi, il linguaggio è felpato ma l’analisi e i giudizi pesanti. Per un uomo che ha attraversato da primario protagonista oltre 40 anni di vita economico-finanziaria e politica italiana, è stato naturale parlare, cercando di fare trasparenza, della Banca d’Italia, delle aggregazioni bancarie, delle Generali, di Mediobanca, della Montedison per le vicende Fondiaria, della Fiat, incluso il convertendo; delle operazioni e anche degli uomini. Senza rancore, ma con molte rivelazioni, con molte notizie inedite. E qualche previsione, come quando da ultimo Mucchetti gli chiede se vede all’orizzonte uomini giovani della levatura di Giovanni Bazoli o sua. La risposta è lapidaria, anche se dispiaciuta: non se ne vedono. Aprendo con questo uno dei dibattiti più importanti per il futuro del Paese, poiché il tema dell’uscita dalla crisi riguarda anche il livello della classe manageriale sia bancaria che industriale, e non solo chi sarà il presidente del Consiglio dopo Mario Monti, visto che Monti è pronto al bis pur non dovendosi candidare, come, a termine di legge costituzionale, ha giustamente precisato il presidente Giorgio Napolitano, essendo il professore già con scranno in Parlamento come senatore a vita. Alcune settimane fa, in occasione della decisione di Carlo De Benedetti di passare tutte le quote di comando ai tre figli, MF-Milano Finanza ha affrontato il tema con la domanda: Chi saranno i De Benedetti di domani, quest’ultimo essendo stato certamente un protagonista assoluto, ancorché sempre a cavallo fra lo speculatore e l’industriale. I nomi che sono emersi dal sondaggio sono pochi e certamente non della statura che i Bazoli e i Geronzi avevano già una trentina di anni fa. A quei nomi, fuori dal sondaggio, se ne possono aggiungere anche altri, come per esempio Giuseppe Recchi, quarantenne presidente dell’Eni dopo una brillante carriera in General Electric e forse il più attrezzato anche internazionalmente; ma anche lui non si è ancora sperimentato su vicende come il salvataggio del Banco di Roma e di altre due banche romane, come accadde a Geronzi, o sul salvataggio del Banco Ambrosiano, come è toccato a Bazoli con la capacità, partendo da lì, di mettere insieme Cariplo e Comit per costituire Intesa Sanpaolo, la più grande banca italiana. In realtà le intelligenze e le managerialità di per sé non mancano. Fino a ora sono mancate le occasioni per alcuni bravi manager di poter gestire da numero uno operazioni di primo livello non solo per il valore economico ma anche politico-sociale delle stesse. Il primo che ha la chance di provare è Mario Greco, nuovo numero uno di Generali, la società dove Geronzi, per così dire, ha finito la carriera. E in effetti, ad aprire la strada a Greco è stato paradossalmente proprio Geronzi per il suo scontro interno con il ceo Giovanni Perissinotto, un manager che allora si schierò con gli azionisti che avevano deciso di cambiare il presidente ma che non per questo ha potuto salvare se stesso dalle critiche, se non accuse, che Geronzi aveva lasciato in eredità: dall’operazione con la banca russa, Vtb, alla put concessa all’assicuratore della Repubblica Ceca, Petr Kellner, alla misteriosa gestione degli immobili, all’utilizzazione di Genagricola, la società gestita da suo padre Giuseppe, per costituire fondi anonimi lussemburghesi con i quali acquistare pacchetti di azioni di società dei maggiori azionisti. Le Generali, con Mediobanca, sono state sempre il cuore del sistema finanziario-bancario italiano. Per questo Geronzi accettò di spostarsi proprio da Mediobanca alla sua maggiore controllata, come occasione di chiusura ai vertici massimi di una brillante carriera. È stato espulso da un sistema che ora, per fortuna, nominando Greco al posto di Perissinotto, ha mostrato di fare anch’esso il suo Confiteor. Ma non basta, perché ancora non si intravede una strategia globale, della quale Generali, con ben 600 miliardi di investimenti, non possono non essere un protagonista nel tentativo di rilanciare lo sviluppo del Paese. Vedremo cosa saprà fare Greco, uomo sicuramente molto capace e anche mente sufficientemente fredda per poter mantenere un equilibrio fra il rispetto degli interessi legittimi degli azionisti e i doveri sociali verso l’Italia. L’altro centro di potere e di grandi risorse che può giocare un ruolo fondamentale e di conseguenza mettere alla prova uomini nuovi o semi nuovi è la Cassa depositi e prestiti, che, nel definirla una moderna Iri, non riceve certo un insulto, visto il ruolo che dalla crisi del ’29, con alla guida uomini del valore di Alberto Beneduce e di giovani collaboratori come fu agli esordi Guido Carli, contribuì a risollevare l’Italia prima e dopo la Seconda guerra mondiale, sino alla degenerazione per la troppa commistione con la politica. A ben guardare molti Paesi, a cominciare dalla Francia ma anche il Canada, hanno una loro Caisse des dépôts che ha compiuto e compie un’azione propulsiva per quei Paesi indirizzando il risparmio ad attività strategiche. Non è un demerito dell’ex ministro Giulio Tremonti, che pure alcuni demeriti ha acquisito, aver concepito un ruolo centrale della Cdp, in alleanza con le maggiori fondazioni bancarie. Per questo il presidente, Franco Bassanini, che l’esperienza francese ha vissuto anche come componente della commissione nominata da Nicolas Sarkozy per riformare il Paese, ha davanti a sé un compito fondamentale. Qualcuno valuta che servirebbe un amministratore delegato più forte di Giovanni Gorno Tempini, il quale è stato indirizzato verso questo incarico proprio da Bazoli. Ecco, qui si parrà o non si parrà la sua nobilitate. Non resta che attendere, mentre sta decollando l’operatività del Fondo strategico italiano. Guidato da un manager cresciuto in Merrill Lynch, di temperamento pacato ma molto determinato come Maurizio Tamagnini, il Fondo strategico, dopo la joint venture con il Qatar annunciata durante la visita di Monti a Doha, ha in dirittura un’altra joint venture con un grande fondo asiatico, probabilmente un fondo sovrano di Singapore. La strategia è chiara: raddoppiare la potenza di investimento e comunque avere un ruolo di gestione nelle partecipazioni da acquisire in società italiane strategiche. È infatti più che auspicabile che da quei Paesi dove si sono accumulati capitali enormi o per la vendita di materie prime come petrolio e gas o per enormi crescite economiche, accompagnate dalla grande speculazione che si è scatenata contro il debito pubblico con profitti megagalattici, si cerchi la via per far riaffluire almeno una parte di quanto i Paesi europei hanno dovuto pagare. Ma è altrettanto auspicabile che sia guidata e controllata la chiara volontà di questi Paesi, pregni di liquidità, di comprare i campioni del made in Italy, non solo del fashion ma anche di alcune tecnologie come Avio o campioni del settore alimentare. Una legge approvata durante il governo Monti ha dato al governo poteri di tutela nei settori dove di fatto operano le società partecipate e controllate dallo Stato. Ma sulla carta sono proteggibili allo stesso modo le società private (è il caso di Telecom Italia), come ha stabilito la Francia che ha una legge di difesa da scalate di tutti i campioni nazionali. Quindi l’azione della Cdp e del Fondo strategico italiano è chiamata a surrogare quanto la legislazione italiana non contempla. Sarà questa una straordinaria palestra, come lo fu l’Iri prima della degenerazione, per gli uomini che lavorano nel gruppo Cdp. Conoscendo quale ruolo fondamentale abbiano avuto e abbiano Caisse des dépôts nello sviluppo industriale di quei Paesi, in realtà quanto sta facendo la super-solida banca guidata da Bassanini è una delle poche luci accese in questi mesi sulla via del rilancio dello sviluppo. Non a caso il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, è in prima linea in questa azione, anche se ci sono difficoltà di collaborazione con il ministero dell’Economia che controlla la Cdp assieme alle fondazioni bancarie. E non a caso nel viaggio negli Emirati del presidente Monti erano presenti anche Passera e il presidente del rinnovato Ice, Riccardo Monti, ex capo della società di consulenza Value partners in Cina. È opinione diffusa che dal lato del grande pluriministero guidato da Passera si stia anche cercando di velocizzare quelle azioni che fanno benissimo allo sviluppo non comportando costi per l’amministrazione pubblica, come per esempio lo sviluppo di alcuni aeroporti strategici per la crescita del turismo. Un freno viene sempre dalle strutture del ministero dell’Economia e in particolare dalla Ragioneria generale dello Stato, con soste di mesi delle pratiche. In assenza di una scelta strategica del governo per rilanciare lo sviluppo con il taglio drastico del debito o con il taglio del 20% della spesa pubblica, senza toccare la spesa sanitaria e quella sociale, come suggeriscono ripetutamente Francesco Giavazzi, Alberto Alesina ma anche Mario Draghi (in occasione della recente apertura dell’anno accademico della Bocconi), diventa fondamentale l’azione di attrazione di investimenti stranieri e di sburocratizzazione delle infrastrutture e dell’attività verso lo Stato che devono assolvere le aziende pubbliche. Un’azione altrettanto importante, se non di più, è lo sviluppo del turismo, in particolare di quello cinese che sta esplodendo. Finalmente la Corte dei conti ha registrato la nomina del nuovo direttore generale dell’Enit, il bolognese Andrea Babbi, scelto dal ministro Piero Gnudi. Il prossimo varo del piano strategico del turismo dovrà diventare esecutivo immediatamente. Soltanto i turisti cinesi spendono 80 miliardi di euro all’anno per viaggi e acquisti all’estero. Tutti vogliono intercettarli. L’Italia, grazie alla Fondazione Italia-Cina, che prepara le pratiche, ha conquistato un vantaggio forte nella velocizzazione della concessione dei visti. Appena la Francia e la Germania se ne sono accorte, hanno annunciato la costituzione di una struttura comune che faccia lo stesso lavoro della Fondazione Italia-Cina. Occorre che il governo metta in campo altre iniziative per avere sempre più cinesi in viaggio in Italia. In primo luogo, servirebbero molti più voli aerei e questo sarebbe il miglior investimento possibile, dando un senso al ruolo che si è voluto conservare all’Alitalia. Ma occorrono anche strategie coordinate con le regioni e i comuni. A Parigi hanno sconvolto l’ordine del traffico per garantire parcheggi e accesso nelle zone dei musei e dello shopping ai turisti provenienti dalla Cina. Insomma, iniziative che non costano ma che possono rendere moltissimo, in attesa della scelta strategica del taglio del debito e/o della spesa improduttiva, che comunque resta imprescindibile. (riproduzione riservata) Paolo Panerai