Paolo Mastrolilli, La Stampa 24/11/2012, 24 novembre 2012
L’ incubo dei «tango bonds» ricomincia, e minaccia un’economia globale già alle prese con troppi problemi
L’ incubo dei «tango bonds» ricomincia, e minaccia un’economia globale già alle prese con troppi problemi. L’Argentina deve depositare entro il 15 dicembre i soldi - circa 1,3 miliardi di dollari - per iniziare a ripagare i sottoscrittori dei suoi titoli di Stato, che non hanno accettato gli accordi del 2005 e del 2010 per ristrutturare il debito dopo il default del 2002. Lo ha stabilito il giudice distrettuale americano Thomas Griesa, forte di un pronunciamento della Corte d’Appello del 2nd Circuit, che ha riconosciuto valida la posizione secondo cui Buenos Aires ha discriminato alcuni creditori. La presidenta Cristina Fernandez Kirchner farà ricorso, ma se non riuscirà a vincerlo si troverà davanti a due opzioni entrambe poco piacevoli: pagare gli «avvoltoi», come li chiama, esponendosi così alle cause di chi aveva accettato la ristrutturazione; oppure ignorare l’ordine di Griesa, rischiando un altro default da circa 20 miliardi, se il giudice bloccherà i trasferimenti ai creditori firmatari degli accordi del 2005 e 2010. Questa vicenda, secondo la versione di Buenos Aires, affonda le radici negli anni bui della dittatura. Allora le giunte militari triplicarono il debito del Paese, esponendolo poi alla crisi che portò alla storica bancarotta da 95 miliardi di dollari nel 2002. Tanto la Fernandez, quanto il suo predecessore e marito Nestor Kirchner, hanno sempre sostenuto che non è giusto obbligare l’Argentina moderna a pagare questo debito, e quindi hanno proposto ai creditori di accettare in cambio dei vecchi titoli nuovi bond, che però valgono solo il 30% di quelli originali. In due riprese, nel 2005 e nel 2010, il 93% dei creditori ha accettato, cominciando a ricevere i pagamenti. Un gruppo di «holdout», guidato da fondi come Nml Capital Ltd e Aurelius Capital Management, ha rifiutato lo scambio e proseguito le cause. Griesa ha dato loro ragione, intimando a Buenos Aires di cominciare a versare 1,3 miliardi entro il 15 dicembre, su un conto dove questi soldi verranno tenuti fino alla risoluzione definitiva del procedimento. Nel frattempo Paul Singer, fondatore di Nml, ha ottenuto il sequestro in Ghana della nave argentina Libertad come collaterale. Buenos Aires ha già detto che farà ricorso davanti all’intera Corte d’Appello del 2nd Circuit, sostenendo che tutti i creditori sono stati trattati in maniera uguale perché hanno potuto scegliere cosa fare, e se non bastasse porterà il caso davanti alla Corte Suprema. Il governo americano appoggia l’Argentina, perché il blocco della ristrutturazione sarebbe ingiusto verso il 93% di detentori di titoli che l’hanno sottoscritta, e rischierebbe di paralizzare il sistema finanziario globale. La magistratura però è indipendente e potrebbe decidere il contrario. L’Argentina oggi è più isolata sui mercati internazionali rispetto a dieci anni fa, e quindi il nuovo default non avrebbe lo stesso impatto del primo, ma sarebbe comunque un brutto colpo per l’economia globale.