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 2012  novembre 24 Sabato calendario

Quand’è l’ultima volta che avete preso in mano carta e penna per scrivere una lettera? Non molti sono in grado di rispondere positivamente a una simile domanda

Quand’è l’ultima volta che avete preso in mano carta e penna per scrivere una lettera? Non molti sono in grado di rispondere positivamente a una simile domanda. Con l’eccezione dell’occasionale cartoncino di auguri per feste di Natale, compleanni e ricorrenze, le comunicazioni personali oggi passano quasi esclusivamente per messaggini telefonici, email e — sempre di più — chat e social network come Facebook e Twitter. Ma forse è venuto il momento di fare, almeno ogni tanto, un passo indietro. In Inghilterra, libri, scuole e giornali invitano a conservare “l’arte di scrivere una lettera a mano”: a un familiare, a un amico, alla persona amata. E un po’ dovunque il successo di settori di nicchia, come le cartolerie “firmate”, le penne stilografiche, i taccuini Moleskine, indicano che per alcuni di noi il piacere della scrittura manuale non è del tutto scomparso, nemmeno nell’era dell’onnipresente digitale. Scrivere una lettera a mano è diverso che inviare un messaggio scritto attraverso un sms o un’email, osserva Philip Hensher, autore di The Missing Ink: the Lost Art of Handwriting and Why it Still Matters( Macmillan), uno dei volumi sull’argomento pubblicati recentemente in Gran Bretagna. Cancellature e ripensamenti rivelano come si sono formati un’idea o un sentimento. La calligrafia lascia emergere il carattere. Ci vuole più tempo, e anche questo è una manifestazione dell’intensità del messaggio (che trasmetta amore o odio, non fa differenza). Difficilmente rileggere una vecchia email dà la stessa emozione di rileggere una vecchia lettera, sostiene Erica Wagner, critico letterario del Times di Londra: ed è assai dubbio, ag- giunge, che tra dieci o vent’anni conserveremo ancora le nostre vecchie email o i commenti affidati a una pagina di Facebook, mentre tanti di noi hanno una scatola da scarpe piena di lettere ingiallite, ancora infilate dentro le buste in cui arrivarono, da qualche parte in un armadio o in soffitta. «Il passato non è mai completamente passato, se puoi mantenerne un brandello », afferma la giornalista. Il prob l e ma è che si fa presto a disimparare a scrivere una lettera a mano. Persa l’abitudine, non la si riprende di colpo come rimontando in bicicletta. Lo schermo digitale è un’altra cosa. Ecco allora che John O’-Connell, nel suo manuale For the Love of Letters, fornisce un po’ di consigli su come ricominciare: scegliersi un posto tranquillo (ma dipende dai gusti: Hemingway scriveva a mano lettere, articoli, romanzi, seduto in un rumoroso caffè di Parigi), procurarsi strumenti piacevoli (una bella penna, magari una “stilo”, senza spendere troppo, e della bella carta), pianificare quel che si vuole dire. E porre domande al nostro interlocutore, con la consapevolezza che, diversamente da messaggini e chat, la risposta non arriverà tanto in fretta: bensì, se tutto va bene, solo dopo alcuni giorni, con il postino, dentro una busta affrancata. E questo in fondo è il bello: dopo lo Slow Food e la Slow Life, non ci farebbe male, una volta tanto, l’attesa di una lettera scritta a mano. Come ai vecchi tempi degli “amici di matita”.