Maria Giovanna Maglie, Libero 23/11/2012, 23 novembre 2012
La Cbs fa sapere che la Casa Bianca si rifiuta di rendere note come d’abitudine le immagini della war room, la riunione nella stanza dei bottoni, della famosa giornata e della notte dell’11 settembre di quest’anno, quando fu ucciso a Bengasi - in Libia - l’ambasciatore Chris Stevens
La Cbs fa sapere che la Casa Bianca si rifiuta di rendere note come d’abitudine le immagini della war room, la riunione nella stanza dei bottoni, della famosa giornata e della notte dell’11 settembre di quest’anno, quando fu ucciso a Bengasi - in Libia - l’ambasciatore Chris Stevens. Se è per questo, il cadavere del povero Stevens è stato tagliato a metà nelle fotografie ufficiali, censurando la sodomizzazione, cancellando la folla che intorno scattava fotografie con i cellulari, e nemmeno dell’autopsia si sa nulla. La tregua di Thanks giving, il giorno del ringraziamento, non deve far credere che quel pasticciaccio brutto delle dimissioni di Petraeus sia insabbiato, che non ci saranno risvolti clamorosi, che Barack Obama non sarà in difficoltà per aver fatto sbianchettare la scomoda verità. Lasciate passare la festa sacra del tacchino, date tempo alla guerra delle agenzie federali di riscaldarsi all’odore del sangue, permettete ai giornali e tv proni a Barack di decidere tra autocensura e copie vendute o share alle stelle, attendete infine con pazienza che i pugili suonati del Partito Repubblicano si riprendano dalla botta, e vedrete che lo scandalo andrà avanti, pericolosissimo per l’attuale inquilino della Casa Bianca. Il generale Petraeus ha solo iniziato l’iter di testimonianze al Congresso, e già dalla prima dopo le dimissioni ha cominciato a dire qualcuna delle molte cose scomode che conosce. Altre cose non le conosce forse neanche lui, ma si possono ricostruire. Il resto lo farà l’inchiesta, che appare per fortuna inevitabile e dimostrerà l’alleanza stretta in Libia tra un pezzo di Cia e Al Qaeda, in missione congiunta per far fuori Gheddafi. Scusate, ma davvero è ben peggio di Watergate o degli Iran-contras di reaganiana memoria. Andiamo per ordine. Subito dopo l’assalto al Consolato americano di Bengasi, Petraeus aveva deciso di far conoscere la sua verità sugli eventi di quella giornata, opera di terroristi organizzati e non di spontanei manifestanti contro un film blasfemo come inizialmente sostenuto, ma si era trovato contro il Dipartimento di Stato e il Pentagono, timorosi delle possibili conseguenze per la rielezione di Obama. Così permise che circolasse la versione edulcorata. La relazione tra Petraeus e della sua biografa, amante e probabilmente spia, Paula Broadwell, era nota da tempo, ma l’Fbi decise di interrogarli soltanto a ottobre, dopo una sortita pubblica della Broadwell nella quale faceva intendere che la donna avesse avuto accesso a informazioni riservate e scottanti. Petraeus si era appena dichiarato nonostante l’adulterio impegnato a condurre la battaglia per fare piena luce su Bengasi quando, come ha scritto il Wall Street Journal, il direttore nazionale dell’intelligence James Clapper lo chiamò e gli ordinò di dimettersi a causa dell’adulterio. Clapper è il capo di tutte le 16 agenzie di intelligence, Petraeus è un militare e ha obbedito: si è dimesso, oltre che tacersi. Le elezioni sono state così salve, e ancora oggi il ministro della Giustizia Eric Holder si ostina a sostenere che se è vero che sapeva fin dall’estate, non ha avvertito il presidente. L’Fbi ha dunque deciso che voleva la testa di Petraeus solo dopo che la Broadwell ha raccontato durante una conferenza che nel consolato di Bengasi c’erano due miliziani prigionieri, e rivela così per intero la bugia sui manifestanti indignati per il film blasfemo. La versione già non reggeva, il cielo di Bengasi era pieno di droni, nessuno si è mosso dalle basi Nato come quella di Sigonella per fermare l’attacco, non circolavano immagini, i tempi di ricostruzione non tornavano. Il Wall Street Journal lo ha scritto senza timori: Chris Stevens era un agente della Cia coperto dal titolo di ambasciatore, gli uomini morti con lui erano anch’essi della Cia, il consolato di Bengasi era una base della Cia. Stevens aveva rapporti con gruppi jihadisti, con un loro capo liberato da Guantanamo, e l’11 settembre era a Bengasi per mandare armi ai ribelli siriani e a dare consigli strategici ai jihadisti libici in partenza per la Siria. Di più: chi osservi con attenzione le immagini della morte di Gheddafi vedrà che c’è proprio Stevens accanto al cadavere; a Bengasi era arrivato all’inizio del 2011. E allora? Tra le versioni fatte circolare dalla Cia e dal Dipartimento di Stato, c’è quella della punizione dell’omosessuale a opera di fanatici islamici omofobi. Ma non regge, piuttosto è vera l’esecuzione con lo stesso rituale barbaro usato per Gheddafi. Ed è vero che tra i gruppi impazziti della guerra civile in Libia l’amico e alleato è diventato nemico da eliminare. Succede a chi si fida dei terroristi arabi.