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 2012  novembre 23 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I CONTRASTI SUL BILANCIO DELLA UE


REPUBBLICA.IT
BRUXELLES - Fumata nera. Si è concluso con un nulla di fatto il vertice europeo di Bruxelles sul bilancio dell’Ue. Troppo forti le divisioni tra falchi e colombe, tra fautori della linea del rigore (guidati dalla Gran Bretagna) e Paesi mediterranei. Il presidente del Consiglio d’Europa, Van Rompuy, ha presentato una nuova proposta, ma questa sostanzialmente non è stata discussa. Ci si è limitati a verificare che possa costituire una base per il negoziato che non si fermerà. Dandosi appuntamento all’inizio dell’anno, probabilmente a febbraio secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche di una delegazione Ue. "C’è la possibilità di trovare un accordo all’inizio del 2013" ha detto Van Rompuy.
Ottimismo condiviso da Mario Monti. "C’è un sufficiente potenziale di convergenza" tra i Ventisette che permette di guardare a un "accordo sul bilancio Ue per gli inizi del prossimo anno", ha spiegato il presidente del Consiglio, osservando che anche se "il bilancio europeo è uno strumento molto importante per la coesione, la crescita e l’occupazione dell’unione" il fatto di "non aver raggiunto un accordo oggi non pregiudica nulla".
"Il risultato oggi non c’è stato, ma questo non sorprende, non è la prima volta e non sarà l’ultima - ha proseguito il Professore -, E’ successo altre volte che l’accordo sul bilancio settennale non è stato chiuso al primo tentativo, non bisogna stupirsi". "Era in corso una un tendenza a ridurre considerevolmente di più il budget e una tendenza a finire con un compromesso al ribasso, tendenza a cui noi ci siamo opposti", ha detto Monti parlando della posizione italiana.
Per giustificare la sua visione, moderatamente positiva, il presidente del Consiglio ha fatto un raffronto con il passato, nello specifico una precedente esperienza del governo Berlusconi. "Le nostre osservazioni stanno ricevendo molte attenzioni. Non ci sentiamo minimamente messi in una angolo o trattati con minore dignità di altri Paesi. Se le cose si chiudessero oggi, che non è il caso, il risultato per l’Italia sarebbe considerevolmente migliore del 2005. Usciamo più rispettati nelle nostre esigenze". In ogni caso, ha precisato il premier, alla domanda se siamo soddisfatti e sottoscriveremmo questo risultato, la risposta è no".
A non soddisfare l’Italia, ha spiegato Monti, sono i tagli agli aiuti per l’agricoltura, ma "la proposta rivista non ci soddisfa anche per l’allocazione dei tagli delle risorse. E tra i vari punti di insoddisfazione, nel corso della riunione, ho sottolineato in particolare questo".
In questa fase, secondo Monti, è contraddittorio parlare di poteri rafforzati per l’unione europea finalizzati a incrementare la crescita se non si mettono a disposizione le risorse."Il rischio - ha spiegato il presidente del Consiglio - è che venisse ridotto ancora di più il totale del bilancio comunitario e questo è stato scongiurato, per ora".
Poi, rispondendo alla domanda di una cronista che gli chiedeva se sarà questo governo a concludere i negoziati, Monti ha dapprima aggirato il quesito: "Non sono in grado di prevedere, ma mi sembra che un governo resti in carica qualche tempo dopo lo svolgimento delle elezioni". Poi, ha "ammesso" che la negoziazione a Bruxelles sul bilancio Ue "è qualcosa che cederemmo volentieri a qualsiasi altro governo, come compito".
Alla fine i 27 hanno fatto proprie le parole di Jean Claude Juncker secondo il quale "non ci sono né vincitori, né vinti". "Ci sono ancora importanti divergenze sull’importo totale e l’equa distribuzione tra i paesi", ha sottolineato il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso. Oltre alla Gran Bretagna, ha svelato il primo ministro David Cameron, altri cinque paesi hanno detto ’no’ alla proposta Van Rompuy: Germania, Svezia Danimarca, Finlandia e Olanda. "Bisogna fare più tagli", ha insistito Cameron.
Secondo il presidente francese Francoise Hollande, è stato un consiglio "utile" in cui "si sono fatti progressi, non ci sono stati ultimatum" e in cui c’è stato "un ravvicinamento". Gli sconti di cui godono una serie di stati, ed in particolare quello britannico, ha aggiunto, sono "accettati" dalla Francia, ma il loro peso deve essere "distribuito fra tutti" e ad ogni modo "non voglio che si vada al di sotto del taglio di 80 miliardi proposto da Van Rompuy".
Monti dal canto suo ha osservato che "è un po’ demagogico l’uso che viene fatto della fustigazione del bilancio comunitario e anche un po’ incoerente" viste le nuove responsabilità di cui è caricata l’Europa. L’attuale sistema di sconti è iniquo, ha aggiunto, perché va a beneficio di paesi più benestanti dell’Italia mentre la proposta di Van Rompuy va nella direzione auspicata dall’Italia perché prevede anche la partecipazione dei paesi beneficiari come Gran Bretagna e Germania.
Secondolo stesso Van Rompuy non è il caso di "drammatizzare: anche nel 2005 servirono due tornate" di negoziati "per arrivare a un accordo". Meglio il rinvio che la rottura, avevano fatto filtrare anche fonti diplomatiche italiane pochi minuti prima dell’annuncio ufficiale del fallimento da parte della presidenza cipriota. Un rinvio - fanno sapere fonti del governo di Roma - non sarebbe un problema data l’assenza di scadenze immediate. Viceversa un eventuale accordo a ventisei, senza Londra - l’unica a non mostrare segni di cedimento - sarebbe "drammatico". Posizione condivisa da Berlino. La Germania "è impegnata per trovare un accordo a 27 ma non c’è bisogno correre verso un accordo in maniera prematura", ha spiegato la cancelliera tedesca Angela Merkel. "Arrivare ad un accordo è possibile, possiamo conciliare le nostre differenze, perché tutti i Paesi sono necessari l’uno all’altro", ha aggiunto la Merkel.
Stando a indiscrezioni, il premier britannico Cameron si è dimostrato più intransigente degli altri sull’intricata e spinosa questione del bilancio pluriennale. Fonti diplomatiche spiegano che la stessa Merkel avrebbe una linea meno dura di quella di Gran Bretagna, Svezia e Olanda.
A margine del vertice va segnalato che una scritta ’Europa nazista’ affiancata da una grande svastica nera è comparsa nei bagni del blindatissimo palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio Ue di Bruxelles dove si sono svolti i lavori. Il palazzo, inaccessibile senza badge di ingresso, è anche sorvegliato a vista dalla polizia che effettua perquisizioni in tutti i locali per tutta la durata delle riunioni dei leader.
(23 novembre 2012)

CORRIERE.IT
Si sono chiusi senza accordo i lavori del Consiglio europeo dedicato al quadro finanziario per il 2014/2020. I leader, secondo quanto riferito da un funzionario, hanno abbandonato le trattative a causa del mancato accordo sulle dimensioni e le modalità dei tagli al piano di spesa da mille miliardi di euro. «È finita», ha riferito un funzionario Ue coinvolto nei negoziati. Diplomatici di almeno tre delegazioni Ue hanno confermato il naufragio delle trattative, che dovrebbero riprendere all’inizio dell’anno prossimo.
MONTI: NESSUN PROBLEMA - Il premier Mario Monti, presente al vertice, non giudica catastrofico il rinvio della decisione sul bilancio: «Non aver raggiunto un accordo oggi non pregiudica nulla». Non si tratterebbe, inoltre, di un inedito nella storia politica europea: «Il risultato oggi non c’è stato, ma questo non sorprende, non è la prima volta e non sarà l’ultima. È successo altre volte che l’accordo sul bilancio settennale non è stato chiuso al primo tentativo, non bisogna stupirsi». La cautela è richiesta anche dalla complessità del documento in discussione. «Si tratta di un lavoro fondamentale, di grande complessità e dovremmo essere in grado di colmare le distanze esistenti».
LA STIMA DELL’ITALIA - Monti ribadisce inoltre che la reputazione dell’Italia nel panorama economico europeo è cresciuta: «Le nostre osservazioni sul Bilancio europeo stanno ricevendo molte attenzione. Non ci sentiamo minimamente messi in una angolo o trattati con minore dignità di altri paesi». Ha spiegato il premier duranta la sua conferenza stampa a Bruxelles. «Se le cose si chiudessero oggi il risultato per l’Italia sarebbe considerevolmente migliore del 2005, sembra che usciamo più rispettati nelle nostre esigenze». Però dire che «siamo soddisfatti e sottoscriveremmo questo risultato? La risposta è no».
«Abbiamo riscosso un successo nel calmare le tensioni immediate di un credit crunch (la stretta del credito, ndr) con gravi conseguenze» e il programma di acquisto bond ha funzionato come «credibile freno contro scenari disastrosi». Lo ha detto a Francoforte il presidente della Bce, Mario Draghi.
UNIONE BANCARIA - Draghi entra poi nei dettagli delle prossime mosse. La sorveglianza unica sulle banche europee, uno dei pilastri dell’unione bancaria, deve essere fatta in maniera «veloce» - esorta - ma soprattutto deve essere fatta «bene». I Paesi con un debito alto «che stanno realizzando un aggiustamento fiscale sono sempre più penalizzati dai mercati», spiega il presidente della Bce, ricordando che questo è il motivo per cui occorre un’unione bancaria e un meccanismo di cooperazione che fermi l’impatto sui tassi d’interesse pagati per finanziare il debito.
SCUDO ANTI-SPREAD - Draghi assicura poi che «la Bce è pronta ad intervenire con lo scudo anti-spread se i governi ne faranno richiesta». E precisa che la Banca Centrale Europea «non si è sostituita all’azione dei governi» nel fronteggiare la crisi, è un «organismo indipendente e continua ad assicurare la stabilità dei prezzi» nell’eurozona.
Il presidente dell’Istituto di Francoforte, invita infine i Paesi dell’eurozona a «proseguire sulla strada delle riforme».

IL BILANCIO UE - WIKIPEDIA
Il bilancio comunitario si basa sul sistema di finanziamento delle risorse proprie, costituito da determinate voci di imposta.

Costituiscono risorse proprie della Comunità europea:

i prelievi riscossi sulle importazioni di prodotti agricoli, cioè tutti i prelievi, supplementi, importi supplementari o compensatori, importi o elementi addizionali ed altri diritti fissati dalle istituzioni comunitarie sugli scambi con i paesi non membri, nel quadro della politica agricola comune, nonché i contributi e altri diritti previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;

i dazi doganali, ossia quelli della tariffa doganale comune e gli altri diritti fissati dalle Comunità sugli scambi con i paesi non membri;

i proventi dell’IVA, ottenuti mediante applicazione di un tasso inizialmente pari all’1%; secondo quanto stabilito nel corso del Consiglio europeo di Berlino (24-25 marzo 1999) il suddetto tasso è passato allo 0,75% nel 2002 e allo 0,5% nel 2004;

l’ultima risorsa (quarta risorsa), istituita con l’Accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio e il miglioramento della procedura di bilancio del 1988, ha carattere complementare e consiste in contributi versati dagli Stati membri nell’ipotesi in cui le precedenti risorse non risultassero sufficienti a garantire la copertura del bilancio comunitario. Tali contributi vengono calcolati in percentuale sul prodotto nazionale lordo dei singoli Stati membri (si parla, infatti, a questo proposito di “risorsa PNL”), mediante l’applicazione di un’aliquota che ammontava originariamente a 1,15%, passata poi a 1,20% nel 1993 e attualmente fissata – per il periodo 2000-2006 – a 1,27%. Successivamente, nella programmazione finanziaria 2007-2013, questa risorsa è stata ricalcolata, a parità di gettito, nel 1,24% del Reddito Nazionale Lordo degli Stati dell’Unione. Posto che in macroeconomia il Prodotto Nazionale Lordo ed il Reddito Nazionale Lordo indicano la stessa cosa, il passaggio dal 1,27% al 1,24% è derivato dal fatto che la contabilità di riferimento utilizzata per il calcolo dei RNL segue i criteri SEC 95 (Sistema Europeo dei Conti nazionali e regionali), le cui risultanze sono state ritenute più attendibili rispetto a quelle derivanti dalle singole contabilità nazionali.
I padri fondatori della Comunità, consapevoli del fatto che il finanziamento di un’organizzazione internazionale attraverso i contributi versati dai singoli Stati favorisce delle disparità nella capacità di influenzare le scelte politiche ed economiche dell’organizzazione di cui fanno parte, hanno cercato fin dall’inizio di rendere la nascente Comunità europea il più possibile autonoma dalle singole forze nazionali. Nell’articolo 201 del Trattato di Roma (25 marzo 1957) - istitutivo della prima Comunità - è stato previsto che, dopo un primo breve periodo di transizione, durante il quale la stessa si sarebbe finanziata con i contributi nazionali (determinati secondo un criterio di ripartizione percentuale individuato sulla base della capacità contributiva di ognuno), doveva avvenire il passaggio ad un sistema di risorse proprie che, fatte salve le altre entrate, avrebbe garantito l’integrale ed autonomo finanziamento del bilancio comunitario. Tale passaggio è avvenuto con la Decisione del 21 aprile 1970(Trattato di Lussemburgo) quando, dopo diversi tentativi falliti per l’opposizione degli Stati più forti ed in particolare della Francia (crisi della sedia vuota), il Consiglio, su impulso dei capi di Stato e di governo ha varato l’avvio del sistema delle risorse proprie. La decisione del 1970 contempla però, oltre alle risorse proprie tradizionali, spettanti di diritto senza che occorra un’ulteriore decisione delle singole autorità nazionali, anche un’entrata basata sull’imposta sul valore aggiunto, detta anche terza risorsa, che in ogni caso lega la Comunità ad un contributo trasferitole dagli Stati. Inoltre, nel 1988, il Consiglio, oltre ad includere tra le risorse proprie tradizionali anche i dazi CECA, ha istituito una quarta risorsa, detta anche risorsa complementare, calcolata su una percentuale del Prodotto Nazionale Lordo (PNL).
Le risorse tradizionali, ossia i dazi doganali e i prelievi agricoli, costituiscono le risorse proprie per natura, per la loro caratteristica di essere entrate di natura fiscale conseguenti a politiche comunitarie e non provenienti da finanziamenti degli Stati membri. Infatti, sia i dazi doganali (percepiti direttamente alle frontiere in conformità a una tariffa doganale comune in vigore già dal 1968) che i prelievi agricoli, distinti in dazi e contributi, sono entrate direttamente ed autonomamente disciplinate dalla Comunità. Alla loro riscossione provvedono i singoli ordinamenti nazionali che, in applicazione ad una normativa comune, periodicamente le accreditano su uno specifico conto risorse proprie, acceso dalla Comunità presso ogni tesoreria nazionale.
La risorsa proveniente dall’IVA, attuata per la prima volta nel 1980, è stata introdotta nel sistema del finanziamento della Comunità per integrare le risorse tradizionali ritenute non sufficienti a garantire l’intera copertura delle spese previste nel bilancio comunitario.
La risorsa complementare, determinata da una percentuale del prodotto nazionale lordo, è un contributo nazionale istituito al fine di integrare il finanziamento della Comunità per garantirne l’equilibrio di bilancio.

IVO CAIZZI SUL CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA
DAL NOSTRO INVIATO
BRUXELLES — Lo scontro sul trilione di euro per finanziare il bilancio Ue 2014-2020 è iniziato con il «confessionale», che è una liturgia classica nei vertici dei capi di Stato e di governo più difficili. Il presidente stabile del Consiglio Ue, il belga Herman Van Rompuy, assistito dal presidente della Commissione europea, il portoghese José Manuel Barroso, dal mattino ha incontrato singolarmente a Bruxelles i 27 leader per verificare la possibilità di un compromesso su come far sborsare i mille miliardi di euro e, soprattutto, su come poi restituire i fondi Ue nei sette anni.
Van Rompuy era disponibile a estendere il summit fino a domani o a domenica. Ma la difficoltà di un accordo è emersa già nella prima «confessione» del premier britannico David Cameron, pronto al veto (decisivo in quanto è necessaria l’unanimità) se non si scendesse molto al di sotto del trilione. Vari colloqui con altri leader sono risultati più complicati del previsto, tanto che i lavori ufficiali del Consiglio a 27 sono iniziati alle 23, con tre ore di ritardo, e sono stati interrotti poco dopo mezzanotte per riprendere oggi a mezzogiorno.
Il premier Mario Monti ha preso atto che l’Italia, nonostante abbia minacciato egualmente il veto, resta penalizzata nei tre settori principali: la politica agricola, i fondi di coesione e la copertura degli sconti sui contributi comunitari al Regno Unito e ad altri Stati. Per recuperare si è fatto accompagnare a Bruxelles dai ministri competenti Mario Catania (Agricoltura) e Fabrizio Barca (Coesione), in aggiunta al fido Enzo Moavero. Il premier non disdegnerebbe un rinvio a un prossimo vertice, visto che ci sarebbe tempo fino a marzo 2013 per chiudere sul bilancio. «Non accetteremo soluzioni che consideriamo inaccettabili — ha dichiarato Monti —. Saremo disposti anche dopo questa sessione a lavorare in modo costruttivo». La proposta iniziale di Van Rompuy, che taglia fondi all’agricoltura (oltre 25 miliardi) e alla coesione (quasi 30 miliardi), genererebbe per l’Italia una perdita di diversi miliardi e una sconfitta politica. In più i contribuenti italiani continuerebbero a pagare una parte ingente dello sconto sui contributi Ue concesso al Regno Unito dal 1984. «Per noi è assolutamente essenziale che l’Italia ottenga dei risultati migliori, rispetto a quelli prospettati nelle bozze, a proposito di fondi di coesione, agricoltura e anche per i meccanismi di ripartizione», ha confermato Monti, che nel negoziato rischia di restare in mezzo ai due principali blocchi contrapposti.
Il Regno Unito fa da battistrada a Olanda, Finlandia, Svezia, e altri Paesi del Nord contributori netti, che versano per l’Ue più di quanto ricevono e chiedono risparmi oltre i circa 80 miliardi proposti da Van Rompuy con l’avallo della Germania. In questi Stati l’opinione pubblica si è spesso irritata per eccessi di spese e sprechi emersi a Bruxelles. Spagna, Portogallo, Grecia, Polonia e altri Paesi dell’Est, che ricevono più fondi di quanto pagano in contributi, chiedono il trilione pieno per non perdere aiuti. Francia e Italia, che sono grandi contributori netti, ma difendono i fondi Ue e la linea della solidarietà, restano in posizione intermedia. Il presidente francese François Hollande auspica un compromesso che salvi gli aiuti agli agricoltori. Sulla linea di Monti si è schierato il premier belga Elio Di Rupo. Anche il tedesco Martin Schulz, come presidente dell’Europarlamento (che ha potere di codecisione sul bilancio) ha chiesto meno tagli. Ma i 27 leader ieri hanno varato la nomina del lussemburghese Yves Mersch nel board della Bce, che è contestata dagli eurodeputati favorevoli a una candidata donna in un organismo ora composto da soli uomini.
Van Rompuy ha poi corretto la sua proposta iniziale con meno tagli ad agricoltura e coesione, recuperando le somme da altre voci del bilancio. Monti lo ha apprezzato definendolo «un segnale di attenzione». Ma Merkel ha detto che «un nuovo summit europeo sul bilancio è possibile all’inizio del 2013» ed espresso «dubbi» sulla conclusione di un compromesso oggi.
Ivo Caizzi

IL PROBLEMA INGLESE - LUIGI OFFEDDU (CDS)
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES — «Non sono per nulla contento», ha detto David William Donald Cameron appena arrivato al Consiglio Europeo. Si riferiva a Herman Van Rompuy e agli altri leader della Ue, alle loro proposte sul bilancio comunitario. Ma forse anche alla signora Andrea Leadsom. Cioè a una condottiera-ribelle del «suo» partito conservatore, una dei molti, che per Natale gli ha promesso un regalo agrodolce: un dossier-manifesto con tante firme che chiederanno al primo ministro di riconquistare dalle mani della Ue varie competenze cedute in passato. Competenze sull’immigrazione, l’energia, l’agricoltura, la giustizia, la politica industriale: insomma, su quasi tutto. Non proprio la richiesta di un’uscita del Regno Unito dall’Europa comunitaria, ma qualcosa che ci va abbastanza vicino. In qualche modo c’è anche quel manifesto, sul tavolo del vertice iniziato faticosamente nella notte: anche se non è stato ancora compilato, e anche se qui si parla solo di bilancio, c’è anche quel manifesto in fieri, cioè le esigenze di politica interna che su Cameron stanno premendo sempre più forte. Che succeda, è scontato. Ma di questi tempi, a Londra, anche ciò che è scontato può provocare una valanga. Disse una volta proprio lui, Cameron: «Manderei in bancarotta l’Inghilterra, pur di salvare l’unione con la Scozia»; e ora qualcuno a casa lo accusa di voler mandare in bancarotta il Regno Unito, pur di salvare il legame con la Ue.
Per il premier, pesa naturalmente la spaccatura interna al suo partito, la faglia sempre più instabile del rapporto con l’Europa. Pesa la famosa lettera con cui quasi 100 Tories gli hanno chiesto a giugno il referendum sull’addio alla Ue. E pesa soprattutto una sigla, Ukip, cioè il Partito dell’indipendenza guidato dal fumantino Nigel Farage. Quella roba e quel signore non sono soltanto folklore politico, come testimonia ciò che si vede a Bruxelles e a Strasburgo: oggi il partito beccheggia fra l’11% e il 16% dei voti, a seconda dei sondaggi, ma gli stessi sondaggi dicono anche che potrebbe vincere in patria le elezioni europee del 2014. Non solo: un buon 25% degli elettori conservatori sarebbe già pronto a votare per Farage, e oltre metà a stipulare un patto elettorale con lui.
«Attenzione, è importante non ridurre tutto ai soliti sospetti di snobismo o isolazionismo sul conto degli inglesi — spiega una fonte assai qualificata e vicina al tavolo del negoziato — perché questa volta è in gioco un fattore nuovo: la crisi. Se a Londra si tagliano del 25-30% i fondi per la polizia, le scuole, gli ospedali, come può Londra accettare che Bruxelles alzi i suoi conti o si limiti a sfrondarli?». E una cosa è certa: «Qualunque cosa Cameron strapperà qui, poi dovrà rivenderla con fatica al proprio Parlamento. Il che non è una sorpresa, tocca sempre a qualunque leader. Ma questo leader, in più, ha un paio di bucce di banana sulla sua strada, e molto vicine».
Una è appunto quel manifesto-dossier in cottura per Natale. L’altra è la petizione dei 100 deputati Tories. Cameron ha detto prima «no», poi «ni», poi ha fatto sapere che se ne può discutere. Ha anche usato l’argomento per dire alla Ue che, se Bruxelles non ascolta Londra, allora il referendum è dietro la porta. E nell’attesa, ha fustigato i dipendenti della Commissione europea: «Il 16% di loro guadagna oltre 100 mila euro...». Quelli gli hanno risposto con una lettera piccata, e un corteo. Poche ore dopo, ecco il premier al Consiglio europeo, l’aria agguerrita, «per nulla contento». Come ha detto un’altra volta, «io sono un Cameron, ho molto sangue scozzese nelle mie vene...».
Luigi Offeddu

FEDERICO FUBINI SU CDS
In molte aziende del Mezzogiorno ormai i dipendenti rinunciano sottobanco a metà del salario che appare in busta paga: preferiscono lasciare che l’imprenditore aggiri il contratto nazionale, piuttosto che rischiare il posto. E sarebbe un gran favore all’Europa e all’euro se solo i leader dei Ventisette potessero spiegare ai cittadini che il loro incontro di ieri notte a Bruxelles — l’ennesimo ingorgo negoziale — serve ad attenuare patologie del genere. Nella ridda di veti e controveti, nella contabilità di chi vince e chi perde, è facile dimenticare perché è nato il bilancio comunitario così com’è: nell’idea di Jacques Delors, doveva ridurre le distanze fra regioni avanzate e arretrate, favorire un solo mercato per mezzo miliardo di persone, ancorare storicamente intere aree geopolitiche all’Unione. Con gli ultimi Paesi del Sud usciti dalle dittature (Grecia, Spagna e Portogallo), poi con quelli emersi dal socialismo reale, il sistema ha funzionato. Le distanze si sono ridotte nell’(illuminato) interesse di tutti.
Invece è solo un’ironia della storia se ieri sera il Justus Lipsius di Bruxelles, il palazzo del Consiglio europeo, ospitava due riunioni in contemporanea. In una sala i leader politici d’Europa si dilaniavano sui residui di un bilancio comune che vale l’1% del prodotto dell’Unione. In un’altra i dirigenti dei ministeri finanziari facevano altrettanto sul destino di un Paese che, stando alla contabilità, vale il 3%.
In realtà la Grecia pesa molto più di così. Mario Monti riconosce che con lei i leader europei sono stati troppo esigenti: impossibile imporre a un intero Paese in soli tre anni una rivoluzione «etica, sociale e giuridica» che altrove ha richiesto una generazione. Ma l’esperimento fallito di ingegneria sociale condotto su dieci milioni di greci, con il crollo che ne è seguito, ormai produce in Europa un contagio anche psicologico, oltre che finanziario e politico. E finisce per danneggiare sia il negoziato sul bilancio comunitario, sia la capacità di questa Europa di emendare storture visibili come quelle del Mezzogiorno d’Italia.
Il problema non è solo che gli «spread» salgono anche perché i mercati guardano a Atene e temono che l’euro vada in frantumi. Né è solo che la determinazione di certi leader a trattare un altro Paese in funzione dei propri sondaggi interni ha raggiunto, nel caso ellenico, nuovi estremi. Un problema forse più serio è che adesso, a torto o a ragione, i politici e i cittadini in Europa temono che un Paese della Ue possa ridurne un altro nelle condizioni in cui oggi è la Grecia. Le cause sono certo complesse, ma tutti vedono per la prima volta le distanze allargarsi drammaticamente invece di ridursi. La promessa di Delors è stata tradita.
Questo spettacolo inocula nell’Unione il veleno della paura e della paralisi. La fiducia nel trattare delle risorse comunitarie si è erosa. E se Mariano Rajoy rinvia di settimana in settimana l’inevitabile richiesta di sostegno per la Spagna, è perché davanti agli occhi ha il precedente greco: poco importa che, a vederla razionalmente, le condizioni per Madrid sarebbero molto più lievi e il successo dell’Irlanda dimostra che gli aiuti europei in realtà possono anche funzionare.
È qui che quei salari dimezzati nel Mezzogiorno hanno la loro logica in questa vicenda. Dopo un decennio di perdita di competitività in Italia, in Grecia, Spagna o in Portogallo — e visto che svalutare è impossibile — diventa fortissima la pressione al ribasso sui costi del lavoro. È il modo automatico che hanno le economie di mercato a cambio fisso di ritrovare prezzi competitivi dell’export. E i risultati si iniziano a vedere: le vendite dell’Irlanda all’estero sono salite di oltre il 7% in un anno, mentre crescono anche quelle di Spagna, Portogallo o Grecia.
Leader europei illuminati come Delors userebbero il negoziato in corso sul bilancio comunitario per favorire questo ritorno di competitività, limitandone il costo sociale e politico a livelli accettabili. Ma forse, da molti di quelli riuniti ieri a Bruxelles, sarebbe chiedere troppo.
Federico Fubini

I SALVATAGGI GRECI
Maggio 2010: prestito da 110 miliardi di euro alla Grecia per evitare la bancarotta. Un secondo salvataggio da 130 miliardi è deciso a inizio 2012 a condizione che il governo vari tagli draconiani alla spesa

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Giugno 2012: la vittoria del centrodestra (con i tagli al bilancio) apre i cordoni della borsa Ue. Alla Grecia vengono poi concessi due anni in più (fino al 2016) per tagliare
le spese al livello pattuito

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Novembre 2012: Berlino blocca la nuova tranche da 31 miliardi di aiuti. Finora Atene ne ha ricevuti 149 sui 240 pattuiti.
Il piano Ue/Fmi punta ad abbassare il debito pubblico
al 120% del Pil entro il 2020.

ZATTERIN SULLA STAMPA
A mezzanotte e mezza hanno detto «stop». A sorpresa, i leader dell’Ue non sono neanche entrati nel vivo della discussione collegiale sul bilancio europeo 2014-2020, nessuna delibera su quanti denari metterci e come spenderli. Dopo una giornata di incontri, il presidente del Consiglio, Herman Van Rompuy, ha calato un nuovo piano di mediazione. Fermo il totale dei pagamenti a 973 miliardi per sette anni, ma con 7,7 miliardi di minori tagli per l’agricoltura rispetto alla proposta di partenza (che ne sforbiciava 25,5), e 11 per la Coesione (29,5). In totale poco più di 18 miliardi salvati che il fiammingo propone di togliere a reti e progetti transfrontalieri. È una mossa che va nel senso di quanto auspicato da Italia e Francia, ma non pare risolutiva. L’intesa resta lontana. I 27 hanno deciso di prendersi la notte per studiarla. Si rivedranno stamane a mezzogiorno.

L’Europa non ha tradito le aspettative. Gran ballo doveva essere e gran ballo è stato. S’è cominciato coi confessionali dei leader dai due presidenti europei, Van Rompuy e Josè Manuel Barroso (Commissione). Alle 9,45 s’è presentato il profeta del «no», il britannico David Cameron, chiedendo di ridurre ulteriormente il tetto del bilancio, 940 miliardi al massimo di pagamenti rispetto ai 973, che sono l’1,01% del Pil. Posizione minimale, la sua, sintonica cogli svedesi; asciuga le politiche comuni, sviluppo, agricoltura, ed è lontana da quella che il premier Monti ha illustrato nel suo colloquio, un cocktail di ambizioni rigoriste e desideri anticiclici, non dissimile da quello francotedesco.

Sul quaderno di Van Rompuy sono emerse presto decine di linee rosse, «ognuno è qui per sé», ha riassunto uno sherpa. Le hanno tracciate gli amici della Coesione, 15 Paesi convinti che mettere soldi nella ricerca, nelle reti, nello sviluppo e nell’agricoltura sia un modo per aiutare la ripresa e difendere il benessere. Non sono stati da meno gli amici del rigore - olandesi, austriaci, nordici - che vogliono qualche strategia integrata, però ritengono che sia meglio investire in casa da soli. Sfida contabile e politica. Duello tra visioni. Senza contare che i duri hanno scatenato una crociata per i tagli alla voce eurocrazia (amministrazione) e reti comuni («Connecting Europe»).

Van Rompuy, presidente di tutti e mossiere del palio contabile, aveva previsto 15 minuti a testa, sperando di riuscire a mettere in tavola una nuova bozza di compromesso alle otto della sera. I bilaterali hanno richiesto in media 25 minuti.

Il vertice vero e proprio s’è incamminato verso la notte quando è intervenuto il presidente della Parlamento europeo, Martin Schulz. «Noi, i rappresentanti dei popoli europei, siamo categoricamente contro il congelamento del bilancio, per non parlare dei tagli», ha avvertito. Deciso. Anche nel brontolio per la nomina di Yves Mersch, banchiere centrale lussemburghese, al board della Bce, dove gli uomini sono 23 su 23. Avrebbe voluto una donna, non c’è stato nulla da fare. «Un errore grave», ha commentato.

È saltato anche il menu tradizionale. Hanno mangiato in sala, piatti freddi. Molti, come la cancelliera Merkel, hanno ipotizzato un rinvio della trattativa all’anno nuovo, del resto la sua posizione è ambigua, parla di sviluppo e invita a contenere i costi «visti i tempi di crisi». Italia e Francia sono andate a braccetto. Non escludono slittamenti, dicono che non sarebbe un dramma. Con la prima bozza Van Rompuy l’Italia perde quasi 10 miliardi fra agricoltura e coesione. Con la seconda ne recupererebbe un terzo, a spese fra l’altro del servizio diplomatico, mentre l’amministrazione resta congelata. Basterà? Monti ha promesso fermezza, arrivando a Bruxelles col veto in tasca qualora le soluzioni fossero inaccettabili. Nella notte, però, ha detto: «Se non si riesce a chiudere non è un dramma».


GRILLO
...I soldi dell’Europa, mitici e inesistenti. I fondi europei, grande presa per i fondelli. Ogni anno destiniamo alla UE circa 12 miliardi di euro, ne ritornano, quando va bene, nove che, in prevalenza, finiscono alle Regioni dove le mafie sono più presenti: Campania, Calabria e Sicilia. I tre miliardi di differenza vanno altrove. E’ l’Italia a finanziare la UE, non il contrario. E ora, di fronte al colpo di Stato del cambiamento della legge elettorale in corsa e al tetto del 42,5% per il premio di maggioranza per impedire a tavolino la possibile vittoria del M5S e replicare il Monti bis, la UE tace. Chissà forse ci farà una multa per divieto di sosta a Montecitorio. La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto ha sancito nel 2003 che "gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni non devono poter essere modificati nell’anno che precede l’elezione, o dovrebbero essere legittimati a livello costituzionale o ad un livello superiore a quello della legge ordinaria". C’è del marcio a Bruxelles. Ci vediamo in Parlamento, sarà un piacere... (BEPPE GRILLO 12/11)