Fabio Scuto, il Venerdì 23/11/2012, 23 novembre 2012
GIORDANIA LA PRIMAVERA ARABA LAMBISCE IL TRONO DEL RE «OCCIDENTALE»
AMMAN. «Questo re non mi piace, la sua Corte si è arricchita con la frode e poi non parla nemmeno bene l’arabo». Non ce la fa a trattenersi Hassan Khatib, negoziante di downtown Amman, con la bottega di fronte alla Moschea King Hussein, quella da dove in questo ultimo anno sono partite tutte le manifestazioni dell’opposizione nella capitale. La Giordania, apparentemente sembra uscita quasi indenne da questa prima fase della «primavera araba», ma la protesta contro le scelte della monarchia è un fiume carsico che attraversa tutti gli schieramenti politici dalla sinistra fino alla destra, passando per i Fratelli Musulmani, le tribù beduine e il famoso popolo di Facebook.
Il sovrano e la sua consorte Rania – i reali più fashion del mondo, star della Cnn, che vestono all’Occidentale e vanno l’estate in barca in vacanza a Capri o in Costa Smeralda – non sono più intoccabili. Un tempo le critiche si fermavano ai primi ministri che sua Altezza sceglieva e poi licenziava, tre negli ultimi 15 mesi; adesso la contestazione della piazza arriva fin dentro il Palazzo reale, tocca il 43° discendente del Profeta e scuote profondamente il trono hashemita, come solo accadde durante il «settembre nero» che suo padre Hussein dovette affrontare nel 1971 per salvare dai marosi la sua corona con ogni mezzo. Le nuvole che si addensano sul moderno palazzo reale alle porte di Amman, hanno il volto della crisi politica di un regime anacronistico ormai anche per il Medio Oriente, della crisi economica – la Giordania non ha petrolio, non ha gas, ha poca acqua e nessuna industria strategica – con i prezzi che crescono al ritmo del 10 per cento al mese, della crisi umanitaria con trecentomila rifugiati siriani in fuga da Bashar Assad che entro fine anno saranno mezzo milione, in un Paese che già «accoglie» quasi 1 milione di iracheni fuggiti durante la Guerra del Golfo e quasi 1 milione di profughi palestinesi. E poi, a differenza degli anni passati, quando le potenze occidentali sostennero suo padre quando era in difficoltà, oggi Abdallah sente di non poter fare più affidamento sul suo storico e principale alleato, gli Stati Uniti che – con quello che sta accadendo in Medio Oriente – non intendono più firmare cambiali in bianco. La stretta repressiva, poi, in questi mesi è stata molto forte, con i servizi segreti attivissimi nella caccia al contestatore e le celle si sono riempite di oppositori, difficile tenerne il numero.
Libertà, democrazia, una monarchia costituzionale, chiede da un anno invano l’opposizione che parte degli Ufficiali veterani e arriva fino al Fronte d’Azione Islamico, il braccio politico della Fratellanza musulmana. Il regno hascemita non è in preda all’anarchia, ma l’atmosfera è profondamente cambiata. Soltanto un anno fa nessuno avrebbe osato attaccare pubblicamente la persona del re e meno ancora la famiglia reale, ma ormai anche questa linea rossa è stata oltrepassata. Le elezioni – e una riforma abborracciata in gran fretta – non hanno certamente soddisfatto l’opposizione al completo, che ha annunciato il boicottaggio, giudicandole inutili senza delle vere riforme elettorali e politiche da varare prima del voto previsto in gennaio.
«Ci vuole una riforma costituzionale che disegni una monarchia più moderna, dove il Parlamento non è un notabilato che obbedisce agli ordini di casa reale», spiega Fayez Al Fayez, il giornalista più letto nel Paese, columnist su ammon.news, il web site dell’opposizione duramente censurato dal governo. Un passo in più , da compiere è certamente quello nella lotta contro la corruzione, che in questi anni si è ingoiata miliardi di dollari, arrivati sotto forma di aiuto dagli Stati Uniti, nutrendo una casta di nouveaux riches cresciuta attorno alla Corte. «La maggior parte dei responsabili del regime e dell’Amministrazione bagnano il becco nel mare della corruzione, il re sta perdendo la lealtà delle tribù beduine», assicura il generale a riposo Mohammed al-Atoun, portavoce dei Veterani, un gruppo di trecento ex ufficiali che ha preso la testa dell’opposizione non-islamica.
Abdallah, è un sovrano giovane, ha solo 49 anni ed è al potere da una decina, «ma in questo periodo ha perso il contatto con la gente della strada», spiega Amer El Sabaileh, professore di Scienze politiche alla University of Amman. «La modernità nel vestiario non indica che abbia una visione del potere della stessa impronta, nonostante la madre inglese e gli studi in Gran Bretagna». La Corte, un tempo così rispettata, non gode di maggior credito. La famosa attivista radicale Lina A-Zeban è finita in cella perché nel suo blog ha chiamato il principe Hamza (primogenito della sulla quarta e ultima moglie di Re Hussein, la regina Noor – l’americana-libanese Elizabeth Halaby – e fratellastro dell’attuale sovrano) con il titolo di Re del regno hashemita. Un segnale chiaro anche dei veleni che circolano a Corte. I rapporti fra Abdallah II, primogenito della seconda moglie di Hussein, e il fratellastro Hamza sono da tempo molto tesi. Abdallah è diventato erede al trono – dopo una vita spesa in Gran Bretagna all’accademia militare di Sandhurst, è capitano dei dragoni della regina Elisabetta – richiamato dal padre sul letto di morte. Re Hussein fece promettere ad Abdallah che avrebbe passato l’eredità del trono al fratellastro Hamza, cresciuto ed educato per diventare un giorno sovrano. Abadallah promise di ubbidire alle volontà del padre, ma nel 2004 tolse il titolo al fratellastro nominando erede al trono il suo primogenito Hussein.
Adesso in ogni retrobottega la maldicenza sul re è forte. Le proteste scoppiate in tutto il regno e gli «avvisi» che le tribù beduine hanno mandato al Palazzo reale segnalano che un tabù è caduto: il re non è più intoccabile.
Non sorprende che buona parte del vetriolo si concentri regina Rania. Una petizione firmata da 36 capi tribù l’anno scorso ha contestato lo stile di vita dei sovrani, paragonando quello sontuoso della regina a quello della rapace moglie dell’ex presidente tunisino Ben Ali. Il re è l’obiettivo delle critiche più dure, il responsabile della crisi alimentata da spinte che sembrano contrapposte, tra chi chiede maggiore adesione alla tradizione e chi invoca riforme moderne. L’immagine della Corona è stata macchiata. E in attesa di un sovrano che gli piaccia di più, i beduini hanno appeso ai muri non i ritratti di re Abdallah, ma quelli di suo padre Hussein.