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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

IL POPOLO DISPERSO DI PALESTINA E LA VITA NELLE ENCLAVE ISOLATE

Annunciato da un fischio acuto e prolungato, il treno per Gerusalemme si presenta puntuale a Nablus alle 15 e venti. Fermate previste: Hawwarah, Zatara, Uyun al Haramiya, Attarah e Kalandia, tutti noti checkpoint israeliani. La sala d’attesa è vuota, sui tavoli sono appoggiate le brochure con le destinazioni: Gaza, Giaffa, Haifa, Beersheba. Ma quando gli sportelli si aprono salire è impossibile. Il treno è un’immagine, perfetta ma ingannevole, proiettata su uno schermo montato dall’altra parte del muro della stazione. Si tratta di un’installazione, intitolata "Palestine Connected".
Un secolo fa la rete ferroviara ottomana collegava la Palestina a Istanbul, oggi i palestinesi vivono in "enclave" frammentate e isolate, sono un popolo disperso. Lo Stato palestinese, che dovrebbe essere proclamato in due parti distinte e avverse - la Gaza di Hamas e la Cisgiordania dell’Anp - è diventato con il tempo un’immagine virtuale, evocata da documenti diventati carta da macero. Ma le vite dei palestinesi sono una vicenda concreta e lancinante. Non accettarono la spartizione dell’Onu del 1947 e la guerra del 1948 - cui seguì la sconfitta del 1967 - li trascinò verso la "Nakba", che letteralmente significa catastrofe.
I numeri della Nakba del "Palestinian Central Bureau of Statistics" sono eloquenti. Nel 1948 1 milione e 400 mila palestinesi vivevano in 1.300 fra città e villaggi: in seguito alla proclamazione dello Stato di Israele più di 800mila furono espulsi verso i paesi arabi confinanti. Secondo i documenti storici, gli israeliani con gli anni hanno assunto il controllo di 774 fra città e villaggi, distruggendone 531. Le vittime di questo conflitto, dal dopoguerra a oggi, sono oltre 15 mila.
I palestinesi nel mondo sono circa 11 milioni: dalla Nakba si sono moltiplicati di 8 volte. Nella Palestina storica (tra il fiume Giordano e il Mediterraneo) vivono in 5,6 milioni, un numero destinato ad aumentare, con l’attuale crescita demografica, fino a 7,2 milioni entro il 2020: tra israeliani e palestinesi è in corso una battaglia delle culle, oltre che per la terra.
Questo è un popolo di profughi che circola con documenti speciali e a seconda degli stati dove si trova può lavorare, studiare, integrarsi o altrimenti sopravvivere ai margini della società che li ospita. I rifugiati costituiscono il 44% della popolazione nei Territori. I dati dell’Unrwa (l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) mostrano che i registrati presso l’agenzia sono 5,1 milioni, distribuiti tra Giordania, Siria e Libano (59%), Cisgiordania (17%) e Gaza (23,8%). Il 30% vive in 58 campi profughi e adesso in Medio Oriente bisogna far posto ai siriani in fuga, oltre 420mila.
La popolazione residente nei Territori palestinesi è di 4,2 milioni, 2,6 in Cisgiordania e 1,6 nella Striscia di Gaza. Il 60% degli arabi di Gerusalemme si trova in aree annesse con la forza da Israele nel 1967.
Nella Palestina storica (Israele più i Territori) vivono 12 milioni di abitanti in un’area di 27mila chilometri quadrati. La popolazione israeliana, il 52%, utilizza più dell’85% della terra, gli arabi, pari al 48%, circa il 15%: un palestinese in media occupa meno di un quarto della terra di un israeliano e dispone di una quantità d’acqua inferiore dell’80 per cento.
Le colonie e il Muro in Cisgiordania hanno contribuito a stravolgere il paesaggio, conferendo alla Palestina l’immagine di un bantustan dell’apartheid sudafricano. Nel 2011 in Cisgiordania si contavano 474 insediamenti israeliani per un totale di 520mila coloni, il 50% nel governatorato di Gerusalemme. Le autorità israeliane hanno concesso 16 mila permessi di insediamenti illegali, la maggior parte intorno a Gerusalemme: 1.300 sono in costruzione.
Ampie aree della Cisgiordania sono state confiscate per costruire il Muro lungo 757 chilometri. Oltre 300mila arabi sono rimasti isolati dal resto dei Territori, schiacciati tra il Muro e la Linea Verde. Lo stato palestinese rimane così un’immagine virtuale proiettata in eterno su questi muri di cemento e ideologici, come la littorina di Nablus che fischia inutilmente sovrastata dal fragore delle esplosioni o nel silenzio di tregue illusorie.