Anna Lombardi, il Venerdì 23/11/2012, 23 novembre 2012
ROVINE QUATTROCENTO MONUMENTI AL NON FINITO
Un centro polifunzionale che non ha mai funzionato. Un parcheggio senza uscita. Uno stadio di polo da 22 mila posti in un paese che di abitanti ne conta ventimila, e dove nessuno conosce le regole del famoso gioco inglese. Una diga di montagna che è sempre rimasta asciutta. Una bambinopoli mai inaugurata e ormai decrepita. Un ponte sospeso sul vuoto. E, ancora, il teatro nuovo: peccato che sia in costruzione da 55 anni. Il mercato dei fiori pieno di erbacce. La piscina olimpionica un metro più corta della norma: e proprio per questo mai aperta al pubblico. «Costruzioni impressionanti» dice Mare Augé, l’antropologo francese, teorico dei non luoghi. «La rappresentazione di un paradosso. Non sono rovine perché sono recenti, non sono mai arrivate a essere qualcosa. Eppure dominano il paesaggio, lo sfregiano, sono lo specchio di grandi ambizioni. Dovremmo considerarle come monumenti: documenti scandalosi di una storia d’Italia che ci auguriamo finita...».
Benvenuti a Giarre, provincia di Catania, Sicilia. Un paese affacciato sul mare con l’Etna alle spalle e un labirinto di scheletri architettonici nel suo ventre. Opere pubbliche iniziate decine di anni fa: e mai finite. Alcune ancora cantieri. Altre, semplicemente, abbandonate. Un universo di cemento in cui si aggira un cane. Ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze: è solo il travestimento di una sorta di Ulisse extraterrestre, costretto sulla Terra da un atterraggio d’emergenza, che, approdato a Giarre, ne esplora le rovine con l’occhio del turista. E sentenzia forbito: «Com’è affascinante questo spazio di negligenza totale: rovine moderne, rovine di qualcosa che non ha mai vissuto...». Si perché questo è un film. E a parlare è proprio l’antropologo Augé. È lui l’extraterrestre che esplora le rovine non finite di Giarre. Protagonista invisibile – la voce narrante – di Per troppo amore. Incompiuto siciliano. Il cortometraggio, realizzato dal gruppo Alterazioni Video (Pierluca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Andrea Masu e lacopo Porfiri) sarà presentato e premiato domenica 25 al festival fiorentino Lo schermo dell’Arte, il più importante festival cinematografico europeo dedicato all’arte contemporanea. Un film surreale «una soap opera psichedelica» la definiscono gli autori su un tema italiano molto reale: la situazione architettonica di questo paese siciliano affacciato sul mare con l’Etna alle spalle e un labirinto di scheletri architettonici nel suo ventre, da loro definita «Capitale dell’incompiuto». Summa di una sistematica aggressione al paesaggio che fin dagli anni 50 è stata diffusissima in tutta Italia: e che gli autori tentano di rileggere, raccontandola in chiave ironica. Il film d’altronde parte da lontano. E ha l’ambizione di sintetizzare il lavoro sul territorio che il gruppo ha portato avanti per anni. Pur vivendo in città diverse, infatti (Milano, Berlino e New York), con l’aiuto di Internet, Skype e di un grande fotografo come Gabriele Basilico fin dal 2005 hanno lavorato a una mappatura delle opere pubbliche italiane rimaste incompiute. Contando, classificando e mettendo in rete sul sito incompiutosiciliano.org una lista di 357 opere. Di queste, ben 160, sono in Sicilia: 12 nella sola Giarre.
È proprio guardando allo scempio di Giarre che i quattro artisti hanno deciso di sviluppare un’ipotesi provocatoria: definire l’incompiuto uno stile autoctono. Una categoria estetica alternativa, da salvaguardare e rilanciare, magari attraverso la fondazione di un parco, il «parco archeologico delle incompiute», che nel 2007 hanno presentato anche alla Biennale d’architettura di Venezia dove hanno esposto un pilastro del centro polifunzionale del paese, di cui in parte racconta il loro film. Sì, perché il parco è stato effettivamente istituito dal Comune di Giarre nel 2010 prendendo spunto proprio dal lavoro di Alterazioni Video. Un’idea di recupero, che però rischia di restare incompiuta a sua volta: serve un cospicuo finanziamento. Promesso, ma ancora mai arrivato.
Per carità, Giarre non è certo un’eccezione. In Italia, dagli anni 50 in poi, non finire quel che si era iniziato, dall’albergo per i mondiali del Novanta di Ponte Lambro a Milano alla stazione di Vigna Clara a Roma, fino a Ponte San Giacomo a Napoli, per poi scendere giù lungo l’intero Stivale, è stata la norma. Lo spiegò tempo fa, proprio a Repubblica, un grande architetto come Mario Botta: «I tempi dell’architettura in Italia» disse «spesso non coincidono con quelli delle elezioni». Dal Veneto a Lampedusa, gli scheletri di cemento sono quasi 400. Quasi, perché il numero ufficiale di questi monumenti allo spreco è incerto: solo pochi giorni fa il ministero delle Infrastrutture ha incassato l’ok delle Regioni alla bozza di regolamento che identifica le modalità per redigere la prima «anagrafe delle opere incompiute». Uno strumento di classificazione e di eventuale intervento di cui si parla da tempo. Che dalle premesse sembra avere anche lui tempi biblici. Eppure, dice ancora Mare Augé, al telefono dalla sua casa parigina: «Il recupero estetico di un tale disastro è l’ultima possibilità di riqualificare quanto meno il paesaggio ferito da tante brutture. Certo, se parliamo di stile dobbiamo essere consapevoli della connotazione ironica che stiamo dando. Ma se non c’è modo di abbattere questi edifici, simbolo di malcostume, di intrighi politici, di una parte oscura della storia d’Italia, dobbiamo pensare di recuperarli proprio nel nome della consapevolezza dello scandalo che rappresentano. Cambiarle di segno non sarà ovunque sarà possibile. Ma almeno provare a tenerle pulite, visitabili: un primo passo, che tutti dovrebbero tentare».
E, proprio per dare una connotazione estetica nuova all’incompiuto di Giarre, è nata l’idea del film. «Anzi» spiega Paololuca Barbieri Marchi fermando le immagini sul suo portatile nella casa nel west village, a New York, «un turbo film. Una via di mezzo fra uno spaghetti western alla Corbucci, sì, uno di quei film di terza visione per operai stanchi, e il neorealismo versione YouTube, che esalta le piccole banalità del quotidiano. Un film che oggi vedrete a uno dei più importanti festival d’arte europei, è vero, ma che poi sappiamo benissimo che avrà il suo circuito soprattutto in rete. Chi vuoi che pagherebbe per andarlo a vedere?». Cosi al fianco di Augé hanno reclutato i ragazzi di Giarre, «con un casting fatto al bar del Paese, molto tardi e dopo molte birre». E con loro hanno abbozzato la trama. E perfino scritto una canzone in versi, nello stile dei cantastorie. Si sono reimpossessati dello spazio improvvisando una lezione di acquagym nella piscina asciutta. Evocando i rapidi amori consumati nella nascosta intimità del cemento. Raccolto i timori dei genitori «perché lì ci vanno solo donnacce e drogati». Be’, ora anche artisti. Domani, chissà: anche il recupero è pur sempre «incompiuto», no?