Paola Jacobbi, VanityFair 21/11/2012, 21 novembre 2012
NICOLETTA BRASCHI - ADESSO SO COME FANNO I MARINAI
Nicoletta Braschi ha 52 anni, il fisico di una ragazzina minuta e proporzionata. Indossa un abito aderente bordeaux e quando le faccio notare, complimentandomi, che ha scelto il colore più alla moda, mi guarda con stupore e afferma che lei di queste cose vorrebbe essere esperta ma purtroppo non lo è, e che la scelta azzeccata è frutto di puro caso.
Non dev’essere per puro caso, invece, che questa signora dalla voce sussurrata sia da tempo immemore al fianco di uno degli italiani più famosi al mondo, forse il più famoso, monumento nazionale come il Colosseo: Roberto Benigni. Fidanzati
dagli anni ’80, si sono sposati nel ’91: la cerimonia avvenne a Cesena, città dove è nata lei, e fu così segretamente organizzata che la faccenda mandò in tilt le redazioni di tutti i giornali, colti di sorpresa. In questi anni, con grande discrezione, i Benigni sono stati una coppia unitissima, nella vita e nel lavoro. Non hanno avuto figli, e a questo proposito Nicoletta si limita a dire: «Sto bene così. Forse non ho senso materno».
A lungo è stata musa dei film scritti, diretti e interpretati dal marito, lavorandoci pure come produttrice, anche se puntualizza: «Non mi definirei produttrice, piuttosto ho un’esperienza di autogestione. Con Roberto condivido una compagnia di cinema, una compagnia che ha sempre voluto essere fortemente indipendente».
E l’indipendenza (parola che Nicoletta ripeterà più volte nel corso di quest’intervista) ha molto a che vedere anche con la sua scelta, da sei anni a questa parte, di tornare al teatro. Diplomata all’Accademia d’arte drammatica di Roma, la
Braschi continua ad amare in modo viscerale il palcoscenico, lo considera casa sua. Il 23 novembre debutta con un nuovo spettacolo dal titolo Interno 3.
Che cosa pensa Benigni di questo impeto di autonomia? «Mi sento autonoma anche quando lavoro con lui! Forse da fuori, per semplificare, si pensa che non sia così. Quando si lavora, si lavora. Con Roberto c’è grande scambio di opinioni, un dialogo ininterrotto. Viene spesso a vedere gli spettacoli quando sono in scena, mentre non viene mai alle prove. Allo stesso modo, quando lui porta un programma in televisione (tornerà il 17 dicembre su Raiuno con La più bella del mondo, reading ispirato alla Costituzione italiana, ndr) mi metto a guardarlo, e a divertirmi come tutti».
Però, siamo sinceri: a Nicoletta chi gliela fa fare la nobile ma estenuante attività del teatro? Non potrebbe accontentarsi di essere la signora Benigni? Dice che è più forte di lei: «Quando lavoro in teatro non mi pesa niente; non amo viaggiare, eppure durante le tournée lo trovo piacevole».
Non la preoccupa nemmeno l’idea che il teatro rischi di diventare arte residuale, un qualcosa di cui tutti dicono un gran bene ma che pochi frequentano con regolarità: «Quando ho ricominciato a fare teatro, ho deciso che non mi sarei posta le questioni di produzione, evito di farmi sfiorare da questi problemi. C’è il produttore Angelo Curti, che è straordinario e tutela il lavoro di tutti noi. Un privilegio? Sì. Ma il privilegio più importante sta nell’indipendenza con cui scelgo i testi e li propongo al pubblico. Quando ho smesso di portare in scena l’ultimo spettacolo che ho fatto prima di questo, Tradimenti di Harold Pinter, ho sofferto perché avrei voluto continuare a frequentare quel capolavoro sera dopo sera».
Tale è la passione, che Nicoletta ha ripreso a lavorare pochi mesi dopo un terribile incidente automobilistico, avvenuto quest’estate, in cui ha riportato diverse ferite al viso. Mi mostra le cicatrici intorno agli occhi e anche un’altra, in mezzo alla fronte, più vecchia, conseguenza di un altro incidente, avvenuto molti anni fa. Quello dell’estate scorsa (alla guida c’era l’autista, che ha riportato un colpo di frusta) è stato parecchio grave.
«Sono stata a un passo, ma proprio un passo dalla...», dice. La parola «morte» resta nell’aria per un attimo, senza essere pronunciata. Ma Nicoletta continua e subito minimizza: «Eppure, come mi ha detto il chirurgo che mi ha operata, ce l’ho fatta perché sono una pellaccia. Orgogliosissima di esserlo. Mi sento come un marinaio che porta in volto i segni delle sue imprese».
Si dice che la signora sia più un comandante che un marinaio, in realtà. Che sia molto determinata e organizzata, ma lei smentisce, ridendo: «Non sono in grado di controllare l’entropia del mondo! L’unica ambizione che ho è sbarazzarmi delle cose inutili. Vorrei essere frugale, cerco di non accumulare troppa zavorra. Vorrei anche essere vegetariana per scelta ideologica, ma non ci riesco. Amo molto gli animali. In questo momento ho trasferito i cani in campagna da mia madre, perché nel giardino della casa di Roma sono apparsi improvvisamente dei singolari conigli rosa, e sento che devo tutelare questi erbivori innocenti che i cani caccerebbero molto volentieri».
Se le si chiede a quali film, tra quelli realizzati con il marito, è più affezionata, vi stupirà ignorando con nonchalance gli Oscar e La vita è bella. I ricordi più indelebili per lei sono legati al set di New Orleans dove girarono Daunbailò con Jim Jarmusch e Tom Waits («eravamo tutti quanti in stato di grazia») e a quello del Piccolo diavolo in Sicilia, «dove Walter Matthau condivideva affettuosamente con Roberto e con me tutti i ricordi della sua sorprendente vita personale e professionale».
Alla fine del nostro incontro le chiedo se non ha paura che le persone si approfittino di lei per arrivare a suo marito. «Non mi pongo mai questo problema, perché sono piuttosto distratta, normalmente vivo sulle nuvole che stanno sopra le nuvole», dice con un sorriso civettuolo. È come per la faccenda del bordeaux colore alla moda per puro caso: Nicoletta è simpatica, quindi faccio finta di crederle.