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 2012  novembre 21 Mercoledì calendario

NON HO L’ET


[MATTEO RENZI]

Firenze, febbraio 2011. Matteo Renzi – a 29 anni presidente della Provincia di Firenze, a 34 sindaco della città – ha teorizzato in un libro la «rottamazione» della vecchia classe dirigente del suo partito, il Pd. A fine intervista gli chiedo se punta a diventare, un giorno, premier. Risposta: «Sono, e voglio continuare a essere, il sindaco di Firenze».

Firenze, novembre 2012. Mancano pochi giorni alle primarie in cui il centrosinistra dovrà scegliere il suo candidato premier alle elezioni del 2013, e Renzi è in piena campagna. Da settembre gira l’Italia in camper, lunedì 12 ha partecipato su Sky a un confronto all’americana con gli altri 4 candidati – il segretario del Pd Pier­luigi Bersani, Nichi Vendola, Laura Puppato, Bruno Tabacci – e per la prima volta i sondaggi lo danno molto vicino al favorito, Bersani.

Che cosa le ha fatto cambiare idea, dopo un anno e mezzo?
«La crisi economica. È in corso – tra Italia e Germania, tra Europa e Asia – un riequilibrio di forze che cinquant’anni fa si sarebbe risolto con una guerra. Oggi per fortuna ci sono altri strumenti, ma la politica italiana non ha saputo indicare quali».
E lei pensa di riuscirci?
«Questo è un momento di grande opportunità per chi auspica un cambiamento. Oggi vince chi capisce che si deve mandare a casa la vecchia classe politica, spazzare via tutto ciò che è simbolo della casta. A partire dai vitalizi. Uno che ha fatto qualunque lavoro e poi il consigliere regionale e il parlamentare prende tre pensioni: non è squallido? Io non ho vitalizi ma chi li ha, a partire da Bersani e Vendola, potrebbe rinunciare almeno al cumulo? Anche solo per rispetto di chi vive con la pensione minima».

Renzi guida l’auto elettrica del Comune di Firenze che ci sta portando a casa sua. Il sindaco abita fuori città, in una villetta con giardino, comprata nel 2005 con mutuo trentennale. È la prima volta che ci fa entrare un giornalista e un fotografo: questione di sopravvivenza del suo matrimonio, spiega. Nelle tre ore che passeremo insieme, ricorrerà spesso la seguente frase: «Questo no, altrimenti è la volta che l’Agnese mi molla davvero».
Lei in casa non c’è – è insegnante precaria di scuola pubblica, a quest’ora è in classe – ma la sua assenza pesa più di una presenza. L’Agnese ci guarda dalle foto di famiglia appese alle pareti, dagli occhi del primogenito Francesco, 11 anni, oggi a casa per uno sciopero. Non ci lascia mentre Renzi in cucina ci prepara il caffè («Franci, mamma ha fatto la spesa? Ci sono 4 barattoli di Nutella». «In casa Renzi ci sono sempre 4 barattoli di Nutella, babbo»), in salotto davanti a due chitarre («Sono dell’Agnese, è lei quella portata per la musica in casa»).
Si sono scambiati il primo bacio negli Scout, diciannovenne lui, diciassettenne lei. Dopo un periodo di riflessione si sono sposati, oggi hanno tre figli – dopo Francesco, Emanuele, 9 anni, e Ester, 6 – che al piano di sopra sono padroni assoluti di una grande sala con calciobalilla e un coloratissimo planisfero gigantesco comprato da Renzi in America.

Se vince, la seguiranno a Roma?
«Penso di sì, ma non ne abbiamo ancora parlato. Mia moglie deve ancora digerire il mancato trasferimento a Firenze. Vivere qui, da sindaco, è scomodo. Avevamo messo in vendita la casa, i bimbi erano già iscritti alle scuole in città, ma la mia decisione di candidarmi ha bloccato tutto, e quella che alla fine è dovuta andare a parlare con le scuole è stata lei, l’Agnese. Gli ultimi tre mesi sono stati i più difficili della nostra vita insieme. Prima in casa, come la maggior parte dei nostri coetanei, ci si divideva i compiti. Anche da sindaco, mi sono trovato spesso nello spogliatoio del campo da pallone ad aspettare che i bambini uscissero dalla doccia. Ma con la campagna sono praticamente sparito. Vivo di sensi di colpa».
Quanti politici di lungo corso, in Italia, hanno la sua idea del ménage familiare?
«Pochi. Saremo un Paese davvero civile il giorno in cui il candidato sarà mia moglie, e io il suo first gentleman».
A proposito: l’ha letta su Vanity Fair l’intervista al compagno di Vendola?
«Certo. Ho conosciuto Ed Testa, gli ho presentato l’Agnese. Trovo vergognoso però che per vent’anni nel Pd a nessuno sia fregato nulla di certi argomenti, che non sia mai stata fatta una legge contro l’omofobia o per i diritti delle coppie omosessuali, e che ora di colpo si dicano favorevoli a tutto. Io lo ricordo, Vendola, quando diceva no alle nozze gay. Noi promettiamo di istituire, nei primi 100 giorni, la civil partnership: dà gli stessi diritti del matrimonio, tranne quello di adottare».
È contrario all’adozione per i gay?
«Prima facciamoci carico dei figli con un genitore, o con due genitori omosessuali: già sono una realtà in questo Paese».
Parlando di first lady: sua moglie in campagna non si è quasi mai vista.
«È stata una sua scelta e una mia promessa. Se vinco siamo disposti a sacrificare la nostra privacy, ma se non vinco – se gli italiani scelgono di tenersi l’usato sicuro – lei ha ancora la speranza di continuare a fare una vita normale».
Si è piaciuto su Sky?
«Sono stato contento, innanzitutto, che ci sia stato un confronto. È quello per cui ci siamo battuti chiedendo le primarie, e il risultato è che oggi il Pd nei sondaggi è oltre il 30 per cento. Alla faccia di chi diceva che Renzi l’avrebbe distrutto».
Le hanno dato del demagogo per aver detto di voler fare un governo di dieci ministri.
«Non è demagogia. Confermo: solo dieci ministri. E anche se è prematuro fare nomi, mi piacerebbe che non arrivassero tutti dalla politica».
Tra i suoi sostenitori c’è lo scrittore Alessandro Baricco: pensa anche a lui?
«Mi piacerebbe moltissimo come ministro della Cultura, ma prima bisogna vincere. Ci ha fatti incontrare un amico comune, un anno fa, e Alessandro mi ha detto una cosa molto divertente: “Non ho capito se tu e io siamo fuori posto, ho persino fatto un test per capire se sono ancora di sinistra, perché le cose che dico a me sembrano di sinistra, ma l’intellighenzia mi dice che sbaglio”».
L’hanno anche accusata di aver guardato troppo il telefonino, di essere stato teleguidato dai suoi «spin doctor», a partire da Giorgio Gori.
«Spin doctor non ne ho e il telefonino l’ho usato per prendere appunti, per seguire Twitter, per verificare dati e nomi: che male c’è? Se è questa la cosa peggiore che mi rinfacciano, sono in una botte di ferro. Credevo che il mio problema fosse un altro: come fa un trentasettenne a pensare di governare l’Italia?».
Che cosa si è risposto?
«Che vedo tutti i limiti miei e della mia squadra, ma è difficile fare peggio di quelli di prima. Sono cresciuto nel mito dei politici, li vedevo come superiori. Poi li ho conosciuti, ne ho scoperto le debolezze, e mi sono messo a ragionare su di noi. Il cambiamento non è mai stato così vicino, quasi lo tocco. Se vinciamo nasce il modello politico di una generazione che potrà anche sbagliare, ma se non altro ha più futuro che passato».
All’indomani del confronto su Sky, è andato da Vespa con Angelino Alfano.
«Alla vigilia di un voto così importante ci sarei andato anche con Barbapapà».
E per la causa si è fatto intervistare suo padre: a Chi ha detto di essere più orgoglioso del suo fratello minore che di lei.
«Fa bene a essere orgoglioso di Samuele, che dopo la laurea in Medicina ha scelto di andare all’estero pur di non passare
per raccomandato “fratello di”. Per il babbo non conta quello che fai, ma quanto sei felice. Al tempo stesso è curioso verso il mio mondo: ama la politica».
Ha votato alle ultime primarie?
«Certo, e ha votato Bersani. Oggi mi auguro che voti me. So di avere addosso l’etichetta dell’arrivista, del rampante, quello con il pelo sullo stomaco. So anche che dovrei dire che non è così. Ma capisco che, quando uno a 37 anni vuole buttare tutti fuori e fare il capo, è dura pensare di lui una cosa diversa».
Chi la sostiene di più in famiglia?
«Ester, la piccolina, è scatenata. Mi fa l’imitazione, si inventa discorsi politici che conclude dicendo: “Babbo, non ti preoccupare se perdi perché fra trent’anni il premier lo faccio io”».
Sua madre che consigli le dà?
«Si raccomanda solo che trovi il tempo di parlare con i bimbi. Insegnava, è in pensione. Le sono grato perché mi ha educato a un’idea di politica bella. Mi raccontava di Bob Kennedy, il suo mito».
E sua moglie gliene dà, di consigli?
«Parliamo tanto e vengono fuori spunti importanti, non solo sulla scuola. Ma se la chiamassi alle tre di notte per un consiglio, mi prenderei un vaffa».
Dall’ultima volta che l’ho intervistata il suo aspetto è cambiato in meglio.
«Peccato abbia sbagliato i tempi: avevo perso quattro chili, ora che la gente deve andare a votare ne ho ripresi due».
A Milano, per ascoltarla a teatro, c’era una fila impressionate: ha le groupies?
«Sì: tutte mamme, o ultrasettantenni».
Il ricordo più amaro di questi mesi di campagna?
«Gli attacchi personali. Come quando l’Unità, un giornale che pago tre volte – come contribuente, come tesserato del Pd e come lettore che lo compra in edicola –, mi ha dato del fascistoide. E poi ci sono quelle notti, quando torni a casa alle tre, vai a vedere i figli nei lettini e ti senti un coglione».
D’Alema l’ha accusata di usare il camper come facciata, di fare la campagna con l’aereo privato. E dopo il suo incontro a Milano con alcuni esponenti del mondo della finanza internazionale – tra cui Davide Serra – Bersani le ha rinfacciato le amicizie con «quelli delle Cayman».
«L’aereo privato in campagna l’ho preso una sola volta, per arrivare in tempo al funerale dell’amico magistrato Vigna, e l’ho pagato di tasca mia: 2.750 euro, una somma che si può verificare sul mio sito controllando gli spostamenti del conto corrente. Quanto alle Cayman, la polemica strumentale di Bersani mi ha fatto perdere 5 punti nei sondaggi, perché ha innescato il retropensiero: anche Renzi ha i soldi nei paradisi fiscali».
Un candidato di sinistra che incontra il mondo della finanza: lei gliel’ha servita su un piatto d’argento.
«Chi è stato al governo, sinistra compresa, ha sempre tenuto rapporti molto stretti con i banchieri: pensi al sostegno che è stato dato alla scalata Telecom. È ridicolo dire “non si parla con la finanza”: quando amministri il Paese questi signori devono comprarti il debito, altrimenti non hai i soldi per pagare gli stipendi. Sono l’unico che promuove l’accordo con le banche svizzere per portare a casa il 26 per cento dei capitali all’estero. Bersani non ci sta (imita l’accento emiliano del segretario, ndr): “Accordi non se ne possono fare, devono uscire i nomi”. In Germania se ne sono fregati dei nomi e hanno recuperato un sacco di soldi».
Quei finanzieri sono anche finanziatori?
«Essendo io per l’azzeramento del finanziamento pubblico ai partiti in favore di quello privato, lo spero bene. Per ora nessuno di loro mi ha dato soldi: la lista dei miei finanziatori è trasparente, i nomi sono tutti nel sito».
Accettando i loro contributi, non diventerebbe influenzabile?
«La politica seria non è così. Altrimenti dovrei pensare che Bersani, avendo ricevuto in passato dal proprietario dell’Ilva 98 mila euro, lo abbia ripagato non prendendo in questi anni nessuna iniziativa contro l’Ilva. Ma dato che considero Bersani una persona seria, non lo penso».
Chi vota a sinistra vuole sapere se avrà il coraggio di tassare le rendite finanziarie, di far pagare i più ricchi.
«La prima patrimoniale in agenda consiste nel far pagare le tasse a chi non le ha mai pagate. Ci sono, oggi in Italia, 120 miliardi di euro evasi. I poteri per vincere questa sfida Bersani, quando era al governo, li ha dati a Equitalia, che però non ha funzionato come avrebbe dovuto: forte con i deboli e debole con i forti. Noi invece proponiamo controlli incrociati sulle utenze, all’americana. Per fare la rivoluzione nel 2013 si parte dai programmatori, non dalla burocrazia».
Non ha mai pensato di uscire dal Pd?
«Mai. I sondaggi dicono che, correndo da solo, se mi va male ho il 12 per cento, se mi va bene posso arrivare al 23. Significa che alla peggio ho 80 parlamentari, ma che ci faccio? Io non voglio un posto al sole e la mia fettina di potere: diventerei come tutti gli altri. O mi danno la possibilità di cambiare il Paese o rimango a cambiare Firenze».
Promette che tra un anno e mezzo non cambia di nuovo idea?
«Nei Paesi normali ci sono solo due partiti: le persone serie stanno dentro queste due battaglie».