Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 23/11/2012, 23 novembre 2012
PUNTARE SULL’UNIONE BANCARIA SUBITO PER PREVENIRE UN NUOVO INCENDIO
La stretta del credito minaccia le imprese, ha scritto Federico Fubini (Corriere, 20 novembre), e le banche faticano a trovare i depositi per finanziarle. Esse fin qui hanno spinto i regolatori a chiudere un occhio sulle nefandezze dei titoli «strutturati», grazie ai quali si finanziano al dettaglio a condizioni che un investitore avveduto non accetterebbe. Per loro è meglio l’uovo oggi. Chi di dovere non ceda, e ricordi loro che domani gli serve la gallina: magari stavolta senza spennarla. Rincorrere la stabilità bancaria azzoppando il risparmio italiano sarebbe un suicidio.
Il tema vero sul tappeto, però, è l’unione bancaria. La decisione di avviarla rapidamente, presa al Consiglio europeo di giugno e reiterata in ottobre, ha suscitato grandi speranze: prometteva di rompere il circolo vizioso fra timori sulla solvibilità degli Stati e su quella delle banche. Se sale il costo del debito di uno Stato, valgono meno i titoli del suo debito in mano alle banche, il cui costo di provvista cresce, perché la garanzia statale di cui fruiscono vale meno. Ciò indebolisce il merito di credito delle banche, il che aumenta i timori sul debito dello Stato garante, e così via.
L’ovvia gravità della minaccia per l’euro posta da tale intreccio pareva mettere d’accordo tutti: bisogna fare in fretta. L’unione bancaria è però complicata, richiede ampie cessioni di poteri dagli Stati membri alle istituzioni della Ue: regolamentazione unica, vigilanza centralizzata, schema continentale di assicurazione sui depositi, definizione delle competenze per gestire le crisi bancarie. La difficoltà di sbrogliare tale viluppo di problemi causa forti tensioni, anzitutto fra chi è nell’euro e chi è fuori. Se i 17 del club definiscono una posizione comune, quando questa arriva al tavolo dei 27 i giochi son già fatti; gli out non vogliono però né diventare in, né esser esclusi dalle decisioni.
Poi sono sorte tensioni nel club, fra chi non vuole intrusioni nel proprio regime e chi invece, magari pressato da gravi problemi di solvibilità, delle banche e dello Stato, vuole l’unione bancaria subito. Tanta fretta inquieta chi teme di essere alla fine l’ufficiale pagatore, magari per magagne nascostegli fino ad allora. Ecco la Germania frenare sull’assicurazione europea sui depositi e chiedere che la vigilanza centralizzata, ipotizzata in capo alla Bce o entità collegata, si limiti alle banche di rilievo sistemico: non solo nella fase iniziale, come avverrebbe comunque, ma indefinitamente. Così però non funzionerebbe: si pensi al sistema bacato delle piccole casse spagnole, che ha nascosto la polvere sotto il tappeto, complice la vigilanza nazionale. Con quella europea i problemi sarebbero emersi ben prima.
Per superare le diffidenze qualcuno pensa che l’ente supervisore dovrebbe decidere — a differenza che in Bce — con voto ponderato, in base al «peso» di ogni Stato, soluzione foriera di nuove spinte disgregatrici, da evitare.
È molto rischioso lo stallo sull’assicurazione europea dei depositi: se questi, timorosi sulla consistenza della garanzia nazionale che oggi li protegge, si spostassero verso Stati creduti più solidi, si innescherebbero gravi crisi. Si va così verso la balcanizzazione del sistema: ogni Stato pretende che la «sua» liquidità resti rigorosamente all’interno dei confini.
Questa strada porta alla morte del mercato unico. L’assicurazione europea è perciò elemento essenziale della costruzione, forse addirittura una delle sue pietre angolari: rinviarla al futuro indefinito (come il presidente della Bce, Mario Draghi, è parso fare di recente) metterebbe a repentaglio, con l’unione bancaria, tutto l’edificio europeo che senza quella presto collasserebbe. Le paure tedesche vanno «accomodate» altrimenti, facendo pagare premi di rischio differenti legati al grado di prudenza gestionale, quale che sia lo Stato ospitante; senza prevaricazioni del più forte, che magari domani potrebbe trovarsi di nuovo la lebbra in casa (le banche tedesche in passato non si sono fatte mancare gravi problemi).
Le decisioni prima strombazzate, poi in silenzio smontate pezzo a pezzo, azzerano la credibilità della Ue: il fuoco di paglia di un bel comunicato fa danni di lungo termine. Le tensioni sui debiti sovrani ora paiono scemare, è bastato che Draghi esibisse il big bazooka di cui parlò nel 2008 il segretario al Tesoro Usa, senza sparare un colpo. Potrebbero tornare però tempi più agitati, anche per un malessere sociale che cova sotto la cenere: al disagio — è stato facile prevederlo — sta subentrando la rabbia. Sarebbe bene non farsi trovare in calzoni corti. Ora ci si accapiglia sul budget Ue, Van Rompuy raccomanda di portarsi tante camicie; il tema è grosso, ma ancor più bisognerà sudarne quando, speriamo al più presto, si affronterà davvero l’unione bancaria. I soldi e gli sforzi politici che risolverebbero un problema oggi non bastano più domani, è matematico. Per sciogliere le situazioni complesse serve pazienza, per spegnere gli incendi serve tantissimo liquido, e la pressione è altissima.
Salvatore Bragantini