Massimo Sideri, Corriere della Sera 23/11/2012, 23 novembre 2012
IL VENTENNE E LA BEFFA DELLA APP
Corsi e ricorsi della storia (digitale). La vicenda di Andrea Giarrizzo, ventenne siciliano, può essere riassunta quasi in un tweet. Domenica Andrea vince la Samsung App Challenge 2012. La sua applicazione, Youtube downloader, supera un milione di utenti. Lunedì, presumibilmente, incassa l’assegno da 100 mila dollari di premio. Martedì: la sua storia finisce a Ballarò. Mercoledì: emergono i primi dubbi. «Ma è legale?» come direbbe Cetto La Qualunque. Ieri la sentenza: non è legale. App bloccata come, forse, anche i 100 mila dollari. Per contratto con la stessa YouTube, fare il cosiddetto «ripping» dei video — cioè scaricarli su smartphone e tablet così come permetteva il software di Giarrizzo — non è possibile. «Su Youtube — sintetizza Gabriel Cuonzo, dello studio Trevisan&Cuonzo specializzato in copyright — si possono vedere i video, condividerli, mandare i link, ma non si può estrarre il contenuto. Non solo per la violazione del principio generale contenuto in effetti nel regolamento, ma anche a tutela del diritto d’autore. Nella sostanza la società così si protegge anche da eventuali cause». Decisione corretta insomma. Anche se la vicenda rimane bizzarra per almeno tre ragioni. 1) Youtube Downloader è stata premiata da Samsung diventando l’app più scaricata dell’Android Store di Google, stessa società che controlla Youtube. 2) Ce ne sono altre di applicazioni che permettono la stessa manovra illegale. Secondo diversi utenti anche migliori di quella di Giarrizzo. E ci avviciniamo così al dunque. È forse un problema di ipocrisia? Non rispettare le regole va bene fino a quando non si diventa troppo grandi e visibili, magari iniziando a incassare qualcosa? A voler fare il Dottor Sottile — e questo è il punto 3) — buona parte di YouTube è nata «illegale» con utenti che caricavano filmati televisivi senza averne i diritti. La società ha sempre detto di essere una piattaforma e di voler difendere la libertà del web. Poi è arrivato il grande business, gli accordi, i software per la condivisione dei ricavi con i titolari dei diritti, le regole con il Digital Millenium Act ai tempi di Bill Clinton. Ed è stato giusto così: la battaglia tra piattaforme e copyright (non ancora terminata) ha raggiunto un suo equilibrio. Però la storia ci insegna che senza un enorme grado di disattenzione e un certo spirito da «pirati» questi business non sarebbero cresciuti così velocemente.
Massimo Sideri