Federico Fubini, Corriere della Sera 23/11/2012, 23 novembre 2012
UNA CURA DIMAGRANTE IN SALSA GRECA
In molte aziende del Mezzogiorno ormai i dipendenti rinunciano sottobanco a metà del salario che appare in busta paga: preferiscono lasciare che l’imprenditore aggiri il contratto nazionale, piuttosto che rischiare il posto. E sarebbe un gran favore all’Europa e all’euro se solo i leader dei Ventisette potessero spiegare ai cittadini che il loro incontro di ieri notte a Bruxelles — l’ennesimo ingorgo negoziale — serve ad attenuare patologie del genere.
Nella ridda di veti e controveti, nella contabilità di chi vince e chi perde, è facile dimenticare perché è nato il bilancio comunitario così com’è: nell’idea di Jacques Delors, doveva ridurre le distanze fra regioni avanzate e arretrate, favorire un solo mercato per mezzo miliardo di persone, ancorare storicamente intere aree geopolitiche all’Unione. Con gli ultimi Paesi del Sud usciti dalle dittature (Grecia, Spagna e Portogallo), poi con quelli emersi dal socialismo reale, il sistema ha funzionato. Le distanze si sono ridotte nell’(illuminato) interesse di tutti.
Invece è solo un’ironia della storia se ieri sera il Justus Lipsius di Bruxelles, il palazzo del Consiglio europeo, ospitava due riunioni in contemporanea. In una sala i leader politici d’Europa si dilaniavano sui residui di un bilancio comune che vale l’1% del prodotto dell’Unione. In un’altra i dirigenti dei ministeri finanziari facevano altrettanto sul destino di un Paese che, stando alla contabilità, vale il 3%.
In realtà la Grecia pesa molto più di così. Mario Monti riconosce che con lei i leader europei sono stati troppo esigenti: impossibile imporre a un intero Paese in soli tre anni una rivoluzione «etica, sociale e giuridica» che altrove ha richiesto una generazione. Ma l’esperimento fallito di ingegneria sociale condotto su dieci milioni di greci, con il crollo che ne è seguito, ormai produce in Europa un contagio anche psicologico, oltre che finanziario e politico. E finisce per danneggiare sia il negoziato sul bilancio comunitario, sia la capacità di questa Europa di emendare storture visibili come quelle del Mezzogiorno d’Italia.
Il problema non è solo che gli «spread» salgono anche perché i mercati guardano a Atene e temono che l’euro vada in frantumi. Né è solo che la determinazione di certi leader a trattare un altro Paese in funzione dei propri sondaggi interni ha raggiunto, nel caso ellenico, nuovi estremi. Un problema forse più serio è che adesso, a torto o a ragione, i politici e i cittadini in Europa temono che un Paese della Ue possa ridurne un altro nelle condizioni in cui oggi è la Grecia. Le cause sono certo complesse, ma tutti vedono per la prima volta le distanze allargarsi drammaticamente invece di ridursi. La promessa di Delors è stata tradita.
Questo spettacolo inocula nell’Unione il veleno della paura e della paralisi. La fiducia nel trattare delle risorse comunitarie si è erosa. E se Mariano Rajoy rinvia di settimana in settimana l’inevitabile richiesta di sostegno per la Spagna, è perché davanti agli occhi ha il precedente greco: poco importa che, a vederla razionalmente, le condizioni per Madrid sarebbero molto più lievi e il successo dell’Irlanda dimostra che gli aiuti europei in realtà possono anche funzionare.
È qui che quei salari dimezzati nel Mezzogiorno hanno la loro logica in questa vicenda. Dopo un decennio di perdita di competitività in Italia, in Grecia, Spagna o in Portogallo — e visto che svalutare è impossibile — diventa fortissima la pressione al ribasso sui costi del lavoro. È il modo automatico che hanno le economie di mercato a cambio fisso di ritrovare prezzi competitivi dell’export. E i risultati si iniziano a vedere: le vendite dell’Irlanda all’estero sono salite di oltre il 7% in un anno, mentre crescono anche quelle di Spagna, Portogallo o Grecia.
Leader europei illuminati come Delors userebbero il negoziato in corso sul bilancio comunitario per favorire questo ritorno di competitività, limitandone il costo sociale e politico a livelli accettabili. Ma forse, da molti di quelli riuniti ieri a Bruxelles, sarebbe chiedere troppo.
Federico Fubini