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 2012  novembre 23 Venerdì calendario

KABUL, L’OPPIO DEL MERCATO

L’annunciato ritiro delle truppe Isaf nel 2014 dal­l’Afghanistan lascia spazio a una serie di interrogativi in meri­to ai reali risultati conseguiti dal­l’impegno della comunità interna­zionale nella ricostruzione del pae­se, e soprattutto alla sostenibilità di questi nel lungo periodo una vol­ta che la presenza militare sarà ri­dimensionata. Attualmente, l’Af­ghanistan rimane uno dei paesi più poveri al mondo. Il 42% (ca. 12 mi­lioni di persone) della popolazio­ne vive al di sotto della soglia di po­vertà. Come spesso accade nei pae­si che escono da conflitti prolun­gati, il paese è eccessivamente di­pendente dagli aiuti internaziona­li. Nel solo 2011, infatti, gli aiuti e­conomici alla ricostruzione corri­spondevano a circa il 15% del Pil afghano.
È quindi lecito chiedersi se la strut­tura economica afghana sia in gra­do di ’reggersi sulle proprie gam­be’. Purtroppo, l’Afghanistan, in questi anni non ha modificato la natura della propria economia principalmente basata sulla colti­vazione dell’oppio di cui è il prin­cipale produttore mondiale. Se­condo i dati forniti dall’Unodoc, nel 2011 la produzione di oppio vale­va un significativo 7% del Pil. Più importante è che il peso dell’oppio nell’economia afghana possa esse­re in crescita nei prossimi anni e non viceversa. Tra il 2011 e il 2012, infatti, secondo quanto riportato dall’Unodoc nel suo ultimo rap­porto, la produzione totale di oppio sarebbe diminuita di un terzo, ma solo a causa di una malattia delle piante e delle avverse condizioni atmosferiche. In linea generale, la superficie destinata alla coltivazio­ne di oppio è aumentata del 25% tra il 2009 e il 2012 non essendoci colture alternative egualmente pro­fittevoli.

La gran parte dei contadini afgha­ni, intervistati da funzionari delle Nazioni Unite, infatti, indicano l’e­levato prezzo dell’oppio e la signi­ficativa resa per ettaro quali prin­cipali incentivi alla produzione. Questo fatto è emerso in maniera chiara in seguito a una contestua­le diminuzione del prezzo del gra­no. Tra il 2012 e il 2011, infatti, il prezzo medio del grano è diminui­to del 7% anche in seguito ai buo­ni raccolti in Pakistan e Kazakhstan. Nel contempo, il prezzo dell’oppio negli ultimi anni è costantemente aumentato rendendo la sua colti­vazione ancor più profittevole. Per avere un’idea si pensi che il prezzo medio dell’oppio essiccato è au­mentato del 150% da 95 a 241 dol­lari al chilo tra il 2008 e il 2011. Nel 2012 si sta manifestando una di­minuzione a un prezzo medio di 196 dollari, che comunque rimane ben al di sopra del prezzo del 2008. In virtù di questa circostanza, i con­tadini afghani hanno razional­mente preferito aumentare la pro­duzione di oppio.
Ancor più indicativo il fatto che l’aumento della superficie destina­ta all’oppio si manifesta nell’anno in cui la politica di estirpazione del­le colture è stata maggiormente pervasiva. Nel 2012, infatti, questa ha riguardato poco meno di dieci­mila ettari, con un incremento del 154% rispetto al 2011. È chiaro quindi, che le politiche di inter­vento per limitare la produzione di oppio sono risultate inefficaci. So­lo in alcune aree la combinazione di sussidi diretti agli agricoltori, e­stirpazione delle colture e presen­za militare hanno consentito la di­minuzione, se non la scomparsa, della produzione. Ma evidente­mente questo non può considerar­si un successo. Cosa non ha funzionato? La comu­nità internazionale e il governo af­ghano non hanno avuto la capacità o la volontà di amministrare e di sussidiare i prezzi del grano o di al­tri beni agricoli che potessero di­venire profittevoli per gli agricolto­ri afghani. Lasciare il settore agri­colo afghano soggetto alle libere di­namiche del mercato è stata una politica dettata da una sostanziale miopia oltre che dal non aver te­nuto in considerazione una lezio­ne che ci proviene dalla storia. L’ap­plicazione di prezzi amministrati è, infatti, una soluzione di politica economica teoricamente accetta­bile e già praticata più volte in tem­po di guerra. Del resto, sussidi e controlli sui prezzi agricoli sono stati applicati anche in tempo di ri­costruzione post-conflitto.
La politica agricola comune euro­pea, peraltro ancora in vigore, co­stituisce un formidabile esempio in questo senso. Nell’immediato fu­turo, quindi, non si dovrebbe pre­scindere da una regolamentazione più pervasiva del mercato agricolo, in particolare sul versante dei prez­zi, al fine di sostenere lo sviluppo di una o più colture alternative al­l’oppio.
Se dovessimo, invece, citare il prin­cipale successo riportato in Afgha­nistan sicuramente potremmo fa­re riferimento ai progressi registra­ti nel campo dell’educazione. Nel­la ricostruzione di un paese il livel­lo di educazione è un aspetto cru­ciale dato che essa costituisce il principale motore dello sviluppo e­conomico nel lungo periodo. I da­ti riportati dalla Banca Mondiale mostrano che l’iscrizione a scuole di primo e secondo grado è au­mentata in maniera vertiginosa da 1 milione di bambini nel 2002 a cir­ca 7 milioni nel 2011. L’aumento è stato decisamente più significati­vo per quanto riguarda le bambine dato che da una situazione di defi­cit educativo pressocché assoluto si è passati a circa 2,7 milioni di i­scritte. Anche dal punto di vista in­frastrutturale, sono stati compiuti significativi passi in avanti.
Nel solo biennio 2009-2011, sono state costruite circa 2300 scuole in aree remote del paese. Sono stati, inoltre, formati circa 150.000 nuo­vi insegnanti di cui circa 40.000 so­no donne. Questi sono i risultati dell’iniziativa Back to School gui­data dalle Nazioni Unite e che ha vi­sto l’impiego di un budget com­plessivo di circa due miliardi di dol­lari dal 2001 al 2011, di cui almeno un quarto coperto dagli Usa. Seb­bene tali risultati siano poi chia­mati alla sfida della sopravvivenza nel tempo, una strada appare co­munque tracciata. La scuola ha au­mentato la propria presenza sul territorio. Per quanto fragile possa essere, è ragionevole pensare che essa contribuirà in maniera signi­ficativa al futuro sviluppo afghano. In questo scenario, il ruolo non-mi­litare dell’Italia è stato marginale. Se guardiamo all’impegno nel set­tore dell’educazione, l’Italia, si at­testa solo ventesima nella classifi­ca dei paesi donatori con un fi­nanziamento pari a 10 milioni di dollari, ben al di sotto di altri pae­si tra i quali Svezia (240), Giappone (133), Germania (121), Danimarca (94) e Turchia (30). Dal punto di vi­sta finanziario, il maggiore impe­gno italiano è nel settore delle in­frastrutture, in particolare, con la costruzione della strada tra Mai­danShar e Bamyan che, rispettan­do le migliori tradizioni italiche, ha visto quasi triplicare il suo costo in diversi aggiornamenti fino a supe­rare i 100 milioni di euro.
L’impegno più noto dell’Italia è sta­to, comunque, nel settore della giu­stizia. All’indomani degli accordi di Bonn del 2001, il nostro paese ha infatti assunto il ruolo di lead coun­try, nell’ambito della riforma della giustizia afghana. Altro impegno si­gnificativo dell’Italia è stato quello nel progetto Undp dal titolo The In­stitutional Capacity Building for Gender Equality Project che ha co­me obiettivo quello di sviluppare la consapevolezza in merito al ruo­lo della donne nella società.
In conclusione, sebbene lo scena­rio attuale dell’Afghanistan sembri presentare più ombre che luci a causa della dipendenza dall’oppio da un lato e dall’eccessivo peso de­gli aiuti internazionali dall’altro, i progressi nel settore dell’educazio­ne lasciano ben sperare in un futu­ro che per quanto complesso può intraprendere il percorso giusto sulla strada dello sviluppo.