Francesca Pini, Sette 23/11/2012, 23 novembre 2012
OLGA, L’ALTRA FRAGILE METÀ DEL CIELO DI PABLO PICASSO
Mai uomo fu più determinato di Picasso nel volersi sposare, in quel 1917. Piantato in asso da ben due fidanzate (Gaby Lespinasse e Irène Lagut, che avevano forse evitato il peggio), con l’orgoglio machista ferito, doveva uscire al più presto da quell’impasse. Anche per obbedire a sua madre che non vedeva l’ora di vederlo accasato e di coccolare un nipotino. Solo un anno dopo avrebbe tagliato il sospirato traguardo delle nozze. A Roma, l’incontro fatale, che cancellò il suo chagrin d’amour. Con una donna russa di cui s’innamorò follemente, che gli dava però del gran filo da torcere e lo mandava costantemente in bianco. Situazione del tutto anomala per uno come lui che alternava il sesso con le modelle amiche a quello con le prostitute (di ogni città conosceva gli indirizzi dei principali bordelli). Picasso, che aveva previsto di andare a Roma in luna di miele con l’ex fidanzata Irène, ci arrivò invece con il poeta Cocteau. Il pittore aveva accettato di lavorare per i Ballets Russes, compagnia del noto impresario Diaghilev (che, fuoriuscito dalla Russia, aveva fatto poi base nella capitale), in cui era scritturata la venticinquenne danzatrice Olga Khokhlova, la femmina che, appena conosciuta, Picasso desiderava più di ogni altra. «Una donna russa bisogna sposarla», gli diceva Diaghilev, mettendo il dito nella piaga. In verità, recalcitrante era solo Olga. La passione di Picasso era vibrante e la sua corte assidua, ma lei teneva molto alla propria verginità, e invano lui bussava alla porta della camera d’albergo di Olga, che lo sfuggiva. «No, no, signor Picasso non la lascerò entrare», gli rispondeva, e lui, dietrofront, con le pive nel sacco. Olga teneva dolcemente e fermamente testa al focoso artista che si consolava con avventurette, e si buttava a capofitto nel lavoro negli Studi Patrizi a via Margutta, dove preparava le scene e i costumi di Parade (il famoso sipario rosso lo concepì come un grande dipinto sulla scena) ideato da Cocteau con la collaborazione del compositore Eric Satie. Un balletto di grande avanguardia, “scandaloso”, e che avrebbe rivoluzionato il concetto stesso di teatro. In quegli anni, con i Ballets Russes, la danza concentrava i più spinti fermenti artistici d’Europa. La sperimentazione era il credo di Diaghilev, che aveva riunito attorno a sé i ballerini-amanti Nijinskij e Massine, e poi il direttore d’orchestra Ansermet, il musicista Strawinskij, i pittori Bakst e Matisse (quest’ultimo considerato da Picasso un rivale) ingaggiato per Le chant du rossignol. Personaggio chiave era Eric Satie, il quale sottolineava l’eccezionale spirito di quel momento storico che il loro cenacolo artistico incarnava, affermando: «Il Passato serve ad armarsi solidamente. Il Futuro è la lotta nell’ignoto intravisto. Imparate a guardare lontano, nel Gran Lontano».
Amore travagliato. Olga e Pablo diventarono finalmente intimi prima del matrimonio, e la conferma è negli schizzi di Picasso, in cui Olga appare in négligé, con i capelli rossi sciolti sulle spalle. Da quel loro primo incontro nel febbraio 1917 erano passati alcuni mesi e ora Pablo aveva portato la sua novia a Barcellona per farla conoscere e approvare dalla madre. Miró racconta che Picasso aveva finalmente dormito con lei nella pensione Ranzini, ma al mattino era tornato a casa dalla mamma per radersi. Poi sappiamo che, infine, si sposarono (ma nella luna di miele fece da terzo incomodo la grande amica e patronessa di Pablo, Eugenia Errázuriz) e che ebbero una relazione coniugale intensa ma anche molto travagliata, costellata dai tradimenti del pittore, e che nel 1935 ebbe la sua conclusione. Ma in mezzo ci fu tanta vita, tanta arte, tanta sofferenza, tanti successi. Un album fotografico diventa la diretta testimonianza della vita di coppia di Olga e Pablo. I familiari di Olga (Almine e Bernard Ruiz-Picasso) hanno affidato all’artista Francesco Vezzoli una sorta di ricostruzione della memoria di quell’affascinante ballerina, dall’indole malinconica. Sintonizzandosi con la personalità di Olga, sono scaturite queste immagini sentimentali, esposte alla galleria Almine Rech di Bruxelles dal 28 novembre. «Ho deciso di intitolare questa mostra Olga forever, quasi uno slogan. Mi piaceva molto l’idea di diventare uno “strumento” per celebrare la vita di questa donna, le sue sofferenze, i sacrifici e le rinunce che fece in funzione di Picasso. Oggi lavorare sulle icone delle dive non m’interessa più. È stato bello, invece, divinizzare Olga visto che in tutto questo tempo abbiamo sempre divinizzato Pablo. Dietro ogni grande “presidente dell’arte”, c’è sempre una grande donna. E lei è la prima first lady delle avanguardie del ’900», dice l’artista. «Dalla natura di queste foto si presume siano state scattate da Picasso. Olga spesso rivolge uno sguardo romantico. A volte hanno un chiaro valore storico: si vede Picasso insieme a Satie o a Cocteau, altre sono foto ricordo di viaggi, ma, soprattutto, ci sono questi scatti molto privati, così affascinanti. Quando sono stato per la prima volta nella casa degli eredi, sono rimasto folgorato, oltre che dai dipinti, da una poltrona ricamata, che è quella del famoso ritratto. Tutti pensano sia uno scialle e invece è il rivestimento ricamato da Olga mentre era incinta, e il pattern decorativo l’ha disegnato Picasso. Un po’ come diceva Duchamp, io non credo alle opere d’arte, ma agli artisti. Così vado sempre alla radice umana che genera l’arte. Non essendo un mercante, o un critico, non m’interessa sapere il costo di un’opera, che dimensione ha, quanto serve per produrla, se ha avuto o no successo. M’interessa sapere per quale motivo (anche banale), in quel momento un artista l’ha realizzata», afferma Vezzoli. «Guardando questo archivio fotografico ho capito che nel caso di Picasso più che mai, ognuna di queste foto è un quadro, e ogni dipinto è un giorno della sua vita. Non riesco a parlare in termini di “periodo blu, periodo rosa, cubismo”, riesco solo a leggere la vita di un uomo, con le sue felicità, le sue tristezze, che ogni giorno sperimenta qualcosa di diverso. Mi piace immaginare che l’arte sia un insieme di tracce che un essere umano lascia in funzione dei sogni e dei desideri che in quel momento aveva. Non pretendo sia una lettura universale dell’arte, ma vedo il lavoro di un artista come un flusso continuo, in cui egli fa qualcosa per intrattenere se stesso, per realizzare un progetto più grande».
Lacrime istoriate. Cosa si prova a entrare nell’intimità di una persona, sfogliando un album fotografico di questo genere, indagando la parte più segreta delle persone? «Mentre realizzavo queste opere continuavo a chiedermi: ma io come reagirei se al posto del volto di Olga ci fosse quello di mia nonna? Con un certo pathos mi mettevo nei panni di chi è appunto un familiare e affida a qualcun altro un intervento artistico di questo tipo. Di mio, sono iperprotettivo». Gli eredi che tipo di affettività dimostravano verso questo materiale iconografico? «Molto toccante, essendo la parabola di Olga anche intrisa di dolore». A Vezzoli il compito di raccoglierlo tutto in quelle lacrime, collage su tela. «Sono quasi lacrime dicotomiche, da un lato Olga piange per l’uomo che l’ha fatta allontanare dalla danza, dall’altra piange i balletti che non ha più ballato. Io ho fatto eseguire, peraltro da dei pittori russi, dei grandi dipinti a olio da queste fotografie, e poi sono intervenuto con dei collages (una tecnica con la quale si confrontò anche Picasso) ispirati alle figure dei Ballets Russes. Una strada filologica, e concettuale. In uno dei volti di Olga ho inserito il ritratto di Diaghilev, in un altro una silhouette disegnata da Cocteau per un manifesto dei Ballets Russes, in un altro una scenografia della Goncharova ritagliata a forma di goccia. Nel mio immaginario una ballerina dei Ballets Russes, che ha lavorato con Diaghilev e con Cocteau, è una figura che ha una dignità culturale pari a un artista. Mentre per molti Olga era solo la moglie di Picasso, per me lei è molto di più». Così facendo è quasi come se Vezzoli volesse renderle giustizia. «Sì, un po’. Picasso ne gode di talmente tanta che occorre darne un po’ anche lei». Olga la ritroviamo in molti dipinti di Picasso, in uno persino trasformata da russa in spagnola, con una mantilla, in realtà una tovaglietta dell’hotel Ritz di Madrid che lui usò allo scopo. «Di lei così agghindata esiste una straordinaria foto, e su questa si può scrivere un romanzo. Osservandola in tutti quegli scatti, davvero è come se lei mi avesse aperto il suo cuore, e oggi le voglio un gran bene, anche per quanto ha patito. È diventata come la mia terza nonna Maria».
Francesca Pini