Danilo Taino, Sette 23/11/2012, 23 novembre 2012
IL VALZER DELL’AUSTRIA, TRA LA VECCHIA EUROPA E L’ATTRAZIONE RUSSA
Vedendo le cose dall’alto mentre precipitava dagli oltre 39mila metri verso il deserto del New Mexico, l’eroe della caduta libera Felix Baumgartner si dev’essere convinto che il mondo ha davvero bisogno di lui. Ora, vuole continuare a superare la barriera del suono, anche con i piedi per terra. Così, il quarantatreenne austriaco si è paracadutato in politica e ha dato un’intervista al quotidiano di casa Kleine Zeitung. Idee grandiose. All’intervistatore ha detto che i problemi del pianeta sono seri ma «in una democrazia non si può fare niente», come ha dimostrato un altro grande austriaco, Arnold Schwarzenegger, da governatore della litigiosa California. La vera soluzione alla crisi finanziaria ed economica sta in una dittatura, ha spiegato. «Moderata», ha aggiunto per non spaventare i concittadini che già ne provarono una mica male. «Guidata da personalità di esperienza provenienti dall’economia privata».
Collegamento tra Est e Ovest. Chi l’avrebbe detto che l’Austria, Paese ricco, disteso sulle Alpi e sonnolento, potesse produrre tipi eccentrici e avventurosi come Baumgartner? Eppure è così: le sue valli ne sfornano parecchi. Dietro le solidità dei palazzi imperiali di Vienna e delle finanze pubbliche del Paese, lavorano in continuazione forze centrifughe che vorrebbero staccarsi dall’ufficialità, nella politica interna e nella politica europea. Formalmente, gli austriaci sono al cuore dell’Europa: considerati nel club dei nordici, o dei tedeschi; con i conti dello Stato tutto sommato in ordine; con l’agenzia di rating Moody’s che ancora assegna loro la prestigiosa tripla A (Standard & Poor’s li ha invece declassati lo scorso gennaio); e con gli investitori che si affollano a comprare i titoli pubblici austriaci. Sottopelle, però, corrono memorie e irrequietezze profonde.
Demel, l’antica pasticceria sulla Kohlmarkt di Vienna, fu per decenni il centro del beau monde austriaco e dei viaggiatori che arrivavano dal resto dell’Europa e dalla Russia. Poi, dopo la Seconda Guerra mondiale, ai suoi tavolini di marmo e tra le pareti coperte di seta blu si sono sedute decine di spie della Guerra Fredda: la città era la cerniera tra l’Ovest capitalista e l’Est comunista, l’ultimo avamposto occidentale prima della Cortina di Ferro, quasi divisa tra gli agi del libero mercato e il fascino storico che la Mitteleuropa e soprattutto la Russia hanno sempre esercitato sul Paese e sull’impero (fino a che c’è stato). «Oggi i russi sono tornati in massa, come può vedere», dice Rolf Koeck, un avvocato, seduto a uno dei tavolini tondi di Demel, durante un weekend. Fuori, davanti alla vetrina, passano donne e uomini inequivocabilmente di Mosca e di San Pietroburgo, carichi di borse dello shopping. «Per qualche ragione», commenta, «i russi amano Vienna emotivamente. Forse perché l’Austria era neutrale dopo la Seconda Guerra mondiale, forse per legami storici precedenti, forse perché è stata il posto di lavoro di centinaia di spie. Difficile trovare una ragione unica. Fatto sta che qua si sentono a casa. E il sentimento è reciproco». Già, la Russia: oggi in Austria va fortissimo.
Il servizio di intelligence estera di Mosca, Svr, mantiene a Vienna la sua maggiore stazione europea. E il rublo ha spopolato negli ultimi anni: nei negozi dello shopping del primo distretto, quello dove sta Demel; nell’immobiliare; nella finanza, dove Vienna è forse il maggior centro di attività delle banche russe in Europa. Anche in termini commerciali la relazione tra i due Paesi è in crescita costante: l’interscambio quest’anno potrebbe sfiorare gli otto miliardi di euro. Per il gigante russo degli idrocarburi Gazprom, l’Austria è la piattaforma dalla quale partire per una serie di operazioni in Europa. Vtb, la seconda banca russa per dimensioni, ha eletto Vienna a proprio centro per l’Unione europea. Dall’altra parte, la Raiffeisen International Bank e Bank Austria (gruppo Unicredit) sono tra i maggiori protagonisti a Mosca. Relazione strategica.
La grande metafora dell’interesse austriaco per la Russia, però, si chiama Frank Stronach, uno dei più straordinari figli di questa terra. Se Baumgartner è eccentrico considerate lui. Compiuti 80 anni lo scorso settembre, Stronach si è dimesso dalle cariche che occupava in Magna International. Magna, basata in Canada ma con operazioni in quattro continenti, è uno dei maggiori produttori mondiali di ricambi per automobili: tecnologicamente avanzatissima e aggressiva sui mercati. Stronach lasciò la natale Stiria a 22 anni senza uno scellino e nel 1957 fondò la sua società: in 55 anni ha costruito un gruppo che oggi conta 263 fabbriche. Naturalmente, ora non andrà in pensione. Anch’egli ha visto il mondo dall’alto e pensa in grande: ha deciso di lanciare un partito nella sua Austria, dove ha una reputazione solidissima. Per ora l’ha chiamato Team Stronach für Österreich. Non gli piace questa storia dell’euro e pensa, così come il connazionale eroe della caduta libera, che chi ne sa di impresa debba avere una voce anche in politica. L’effetto d’annuncio è stato immediato: prima ancora che il partito esista, il 10% degli austriaci ha detto che lo voterebbe e il 34% che vorrebbe vedere Stronach in Parlamento. Quattro deputati si sono già dichiarati disposti a seguirlo. La sua piattaforma, elaborata da un istituto che Stronach ha fondato nel 2011: uscita dell’Austria dall’euro, sistema fiscale basato su una flat-tax (stessa aliquota per tutti), detrazioni per le imprese che reinvestono i profitti in Austria, freno automatico al debito pubblico.
Il futuro politico. Difficilmente Stronach diventerà il prossimo cancelliere, alle elezioni dell’autunno 2013. Il suo ruolo, però, potrebbe essere quello di potente catalizzatore del dibattito sull’euro. Il disagio degli austriaci di fronte agli impegni che il Paese ha preso nei salvataggi europei – 19,5 miliardi, circa il 6,5% del Prodotto nazionale lordo (Pil) – cresce regolarmente: contrario all’euro oggi è il 30% dei cittadini, quasi il doppio rispetto al 2002. Un allontanamento dalle politiche tradizionali radicale. Tanto che il Partito della Libertà di Heinz-Christian Strache, nazionalista e anti-immigrazione, si sposta sempre più a destra e ciò nonostante nei sondaggi raccoglie ormai regolarmente il 27-28% delle preferenze. In questo quadro politico, il movimento del magnate Stronach potrebbe risultare ago della bilancia nella formazione di un governo con uno dei due grandi partiti della tradizione austriaca, il Socialista e il Popolare.
Bene: il fenomenale Stronach è contrario all’euro ma adora Mosca. Quando, nel 2009, la General Motors mise in vendita (poi ci ripensò) la tedesca Opel, Magna fu il principale concorrente della Fiat durante le trattative per la cessione. In quell’occasione Stronach si alleò con le banche e con l’industria russe, sotto la tutela di Vladimir Putin e con l’appoggio del governo di Vienna, per costruire un nuovo gruppo automobilistico.
Attrazione fatale verso la Russia. Il fatto è che il grande Paese euro-asiatico esercita sugli austriaci un’attrazione potente, aiutata probabilmente dalla memoria dei tempi precedenti la caduta della Cortina di Ferro, quando il Paese era neutrale, un po’ più chiuso ma felice, più Svizzera che Unione europea. Attrazione per Mosca che è il contraltare all’Europa e alla sua impegnativa moneta unica.
L’economia austriaca non va male anche se, come tutte quelle europee, non brilla. La Commissione Ue ha appena rivisto al ribasso le prospettive di crescita per il 2013, dall’1,7% del Pil allo 0,9%, ma la disoccupazione è a un poco più che fisiologico 4,5%, la metà della media europea. La ministra delle Finanze Maria Fekter si aspetta che quest’anno il deficit pubblico tocchi il 3,1% del Pil e che l’anno prossimo il rapporto scenda al 2,3%, con il debito che dovrebbe attestarsi appena sopra al 75% del Pil. Sul bilancio di Vienna pesa il salvataggio effettuato negli anni scorsi delle banche, in particolare la nazionalizzazione di due di esse e l’iniezione di un miliardo in una terza, quest’anno: nel 2013 Frau Fekter prevede di immettere altri 900 milioni nella nazionalizzata Hypo-Alpe-Adria Bank. Niente di drammatico, al momento, però. Il malumore degli austriaci deriva da qualcosa di più profondo e di più generale della crisi finanziaria ed economica.
Lo spiega bene una gran discussione che si è sviluppata nelle settimane scorse attorno a un libro dello scrittore francese Régis Jauffret, Claustria. La storia è un racconto di fantasia però basato sulla vicenda famigerata e incredibile del “Caso Josef Fritzl”, quel padre che tenne imprigionata nel bunker sotto casa, ad Amstetten, la figlia Elisabeth per 24 anni, con annessi abusi, incesto e nascita di sette figli. Dopo un’inchiesta sul campo, Jauffret denuncia in sostanza i fallimenti della polizia e del sistema giudiziario austriaci e sostiene che la cella in cui era rinchiusa Elisabeth non fosse affatto un bunker ma che dall’appartamento dove viveva la famiglia Fritzl si potesse sentire tutto ciò che vi accadeva.
Un atto d’accusa che coinvolge un’intera cittadina e una supposta ipocrisia dell’Austria che chiude gli occhi. La reazione è stata violenta. Libro “osceno” e “indecente”, hanno scritto i giornali. “Voyeuristico”. “Che fa di ogni austriaco un colpevole”. Un fuoco di sbarramento contro l’intromissione – non piacevole ma legittima e probabilmente utile – di un francese negli affari di casa. Ecco, questa è l’Austria oggi: eccentrica per paura di aprirsi, diffidente dei Paesi europei, attratta dalla vecchia e altrettanto chiusa sirena russa. Nostalgica di un passato che fu felice.
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