Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 23 Venerdì calendario

UN LIPPI DELL’ALTRO MONDO “VIVO DA RE SU UNA NUVOLA MA CHE PIGRI QUESTI CINESI”


Il cinese Marcello Lippi ha vinto campionato e coppa, a Canton, in meno di sei mesi, al primo tentativo, allenando non la Juve o l’Italia ma il Guangzhou Evergrande. Come in quella vecchia frase ittico-filosofica di Mao, è probabile che in Cina non abbia portato pesci ma abbia insegnato a pescare. «Però quella frase sta scritta anche a Genova, nel quartiere della Foce, sotto la statua di un pescatore ».
Tutto il mondo è paese, quando si tratta di vincere o perdere?
«Io non cambio di una virgola il mio modo di pensare e di lavorare: a Torino, a Canton, su Marte è proprio lo stesso. Credo che si possa sintetizzare in poche parole: se vuoi vincere qualcosa, prova a vincere tutto».
Come si dice in cinese?
«Ho quattro interpreti a disposizione 24 ore su 24, uno è italiano, si chiama Vincenzo Cellucci e sta con me dal mattino alla sera. In pratica, siamo una coppia di fatto. Vincenzo è la mia voce».
Se i cinesi decidono di fare una cosa, di solito non ce n’è per nessuno. Anche nel calcio?
«Formidabili negli sport individuali, un po’ pigroni in quelli di squadra. Tendono a rilassarsi dopo una vittoria, così devo martellarli di continuo. Tecnicamente non hanno problemi, mentalmente si deve sgobbare ancora parecchio. Però sono reattivi».
Cosa vuol dire, da quelle parti, “insegnare a pescare”?
«Significa spiegare a questi ragazzi che esistono pure l’aggressività agonistica, il pressing e i movimenti senza palla».
Avete vinto molto: i ragazzi imparano presto.
«Ma siamo stati eliminati dalla Champions League nei quarti per pura sfortuna contro una squadra araba, giocando benissimo e uscendo dal campo tra gli applausi del pubblico. L’anno prossimo vogliamo prenderci anche quella, mica c’è il Barcellona, credo sia alla nostra portata ».
Come si vive in Cina? Canton non è Viareggio.
«Ma qui si sta benissimo, la città è bella anche se enorme: 17 milioni di abitanti. Il mio staff è quasi tutto italiano, Pezzotti, Rampulla, Maddaloni, Gaudino, viviamo in una specie di villaggio di proprietà del club, abbiamo una villetta solo per noi, parliamo di calcio in ogni istante, anche a tavola».
Chissà quanto le mancano le beghe del nostro calcio.
«Ogni tanto mi telefona qualche giornalista e mi chiede se ho saputo di Conte e Cassano, oppure di Moratti e Agnelli. Per carità, rispondo io, lasciatemi stare tranquillo sulla mia nuvola, dove nulla mi sfiora».
Non è che ha un po’ di posto su quella nuvola?
«Sarebbe inutile, in Italia la polemica è il pane quotidiano e non solo nel calcio».
Cinesi e pallone, pallone e cinesi: non si annoia mai?
«No davvero, qui è un altro mondo. Quando abbiamo giocato a Pechino, siamo andati a visitare la Grande Muraglia e la Città Proibita, poi abbiamo raggiunto piazza Tienanmen e si è
messo a nevicare. Faceva freddo, è stato bello ma abbiamo anticipato il rientro di un giorno».
Le vittorie, la considerazione, i soldi. Però, il lungomare della Versilia...
«A due ore d’automobile c’è una bella cittadina di mare che si chiama Zhen Zhen, dove ogni tanto vengo a mangiare un po’ di pesce e a farmi una nuotata. Oppure prendiamo l’aereo e raggiungiamo l’isola di Sanya, da dove sto parlando in questo momento: diciamo che c’è di peggio nella vita».
Che aria si respira negli stadi cinesi?
«Per prima cosa, i tifosi applaudono sempre gli avversari, specialmente i campioni del calcio europeo come Drogba. Mai un incidente, mai un’offesa. Anche qui, all’ingresso in campo i calciatori danno la mano ai bambini: una volta li hanno vestiti tutti con la maglia della nazionale italiana in mio onore, un gesto molto bello».
Cosa la sorprende di più?«Nella prima finale di Coppa, c’erano una settantina di cinesi in curva con addosso la maglia bianconera: avevano portato uno striscione con la mia foto col sigaro, e una grande scritta in italiano. Diceva: grazie Marcello per tutto quello che hai fatto per la Juventus. Proprio non me l’aspettavo».
Come si fa a mantenere intatte le motivazioni per tanto tempo?
«La passione, ma soprattutto la curiosità, sono la vera spinta per rimanere giovani. Non avevo più stimoli per allenare in Italia, ma un’avventura più lontano mi affascinava. Ho parlato con gli arabi, sono stato in Qatar, poi la Cina mi ha conquistato con argomenti ancora robustissimi, e sono felice della scelta».
L’Italia le manca?
«La stagione sportiva qui è finita, ora lavoreremo un’altra settimana sul potenziamento muscolare, poi tutti liberi fino al 5 gennaio. La Champions ricomincia il 27 febbraio e il campionato il 10 marzo. Il mio contratto scade nel novembre 2014: c’è ancora tanto lavoro da sbrigare».
Pensa di imparare un po’ di cinese?
«Eh, quello direi di no».
E quali altre tecniche di pesca pensa di poter insegnare ai suoi calciatori?
«Sostanzialmente una, sempre la stessa: capire che ogni allenamento è importante quanto la più importante delle partite. E che si perde o si vince tutti i giorni, un pezzo al giorno».