Antonio Castro, Libero 22/11/2012, 22 novembre 2012
APPENA 150 MILIONI DAGLI EMIRI MONTI TORNA A MANI VUOTE DAL GOLFO
Una mancetta. Di appena 150 milioni di euro (che potranno arrivare nei prossimi 4 anni a 2 miliardi) puntati dal ricchissimo Qatar sull’Italia. La visita lampo del presidente del Consiglio Mario Monti in Kuwait, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti (Dubai e Abu Dhabi) terminata l’altra notte, non ha fruttato granché considerando la potenza di fuoco finanziaria di questi quattro Stati. L’unica cosa che il Professore è riuscito a spuntare è l’intesa di massima per costituire una società mista Italia-Qatar. In sostanza il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), la holding controllata dalla italiana Cassa depositi e prestiti, e la Qatar Holding Llc (Qh), hanno firmato un accordo per la costituzione di una joint venture denominata “IQ Made in Italy Venture”. La joint venture avrà una dote iniziale di 300 milioni di euro (versata pariteticamente dai due Paesi, quindi appena 150 milioni dal Qatar) e potrà salire fino a 2 miliardi di euro nel corso dei primi 4 anni. Tanto per aver un termine di paragone in Sardegna, per rilanciare la Costa Smeralda, l’emiro qatarino Hamad bin Khalifa al -Thani ha deciso di investire oltre 1 miliardo di euro. E questo soltanto per realizzare quattro nuovi alberghi superlusso tra Olbia e Arzachena, tre parchi attrezzati, attuare la ristrutturazione e il completamento degli hotel 5 stelle della Costa Smeralda, come va pavoneggiandosi, di ritorno da Doha, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci.
Tanti complimenti, molte strette di mano e fanfare ma poco arrosto. Per capire cosa avrebbero potuto fare i signori del petrolio (e del gas), se solo avessero voluto basta scorrere la classifica stilata dalla Consob nel luglio scorso. L’ultima tappa del tour a caccia di investitore è stata ad Abu Dhabi. La famiglia del principe ereditario, lo sceicco Mohamed Bin Zayed al Nahyan, controlla (più o meno direttamente), ben 5 dei primi 30 fondi sovrani del mondo. La Abu Dhabi Investiment Authority ha un patrimonio gestito (stimato prudenzialmente) in 625 miliardi di dollari. La stima è prudenziale perché chi cerca di sondare la ricchezza dei fondi del Golfo va a sbattere contro una saggia riservatezza. Le stime del Swf Institute (aggiornate all’ottobre 2012) valutano in 627 miliardi di dollari la dote dell’Adia. E questo è solo uno dei 5 fondi che fanno capo agli al Nahyan. E i cinque fondi sovrani degli emirati rientrano di diritto nella super classifica dei più ricchi facendo sfigurare i corteggiatissimi fondi del governo cinese.
Certo c’è da dire che le visite ufficiali servono ad aprire canali commerciali e finanziari. Però quando Angela Merkel, la cancelliera tedesca, si muove porta a casa sempre qualche contratto d’oro per le aziende tedesche. Ne sanno qualcosa gli imprenditori italiani in Cina. La Merkel vola a Pechino di media due volte al mese. E questa assidua frequentazione ha fruttato alle aziende teutoniche una posizione invidiabile nella classifica dei rapporti commerciali bilaterali.
Colossi come l’Eni vorrebbero tanto agguantare nuove commesse nel Golfo. Non a caso Paolo Scaroni, amministratore delegato del gruppo petrolifero, lo ha ammesso candidamente, prima di tuffarsi in una cena ufficiale con l’emiro e Monti: «l’Eni sta cercando di entrare in un Paese in cui non eravamo presenti, ad Abu Dhabi negli Emirati Arabi: e siamo fiduciosi». Se il Cane a Sei Zampe riuscisse ad agguantare nei prossimi 2 anni una parte di una enorme commessa emiratina «credo che Mattei si rivolterebbe nella tomba, ma per la contentezza... Sarebbe una vera operazione alla Mattei», ha sintetizzato Scaroni che da buon vicentino parla chiaro.
In sostanza l’Eni punta a qualificarsi per gestire una concessione. «A gennaio 2014 scade una concessione che durava da 70 anni», ha spiegato Scaroni, «e che vedeva, insieme alla compagnia nazionale di Abu Dhabi (l’Adnoc con il 60%), solo quattro compagnie straniere ognuna col 9,5%: Shell, Bp, Total ed Exxon». Ma la società pubblica Adnoc adesso vuole nuovi partner e «ha avviato un beauty contest internazionale per vedere con chi portare avanti questa concessione, con una serie di parametri per la valutazione dei contendenti», L’Eni avrebbe anche le carte in regola per farcela. Solo che gli altri giganti petroliferi si muovono con un governo alle spalle, le aziende italiane, spesso, devono cavarsela da sole.