Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 22 Giovedì calendario

LE BANCHE EVADONO E I RISPARMIATORI PAGANO

La fiducia nelle banche è messa a dura prova anche dalle indagini tuttora in corso della magistratura e dalle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, cioè il ministero delle Finanze, su una presunta evasione fiscale miliardaria. Tasse non pagate, e gli evasori sarebbero molte banche italiane, comprese le più grandi: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena.
A Unicredit, la maggiore per patrimonio, il 18 ottobre 2011 sono stati sequestrati 246 milioni di euro per operazioni condotte attraverso una delle più importanti banche inglesi, la Barclays. Tra il 2007 e il 2009 Unicredit ha comprato dalla filiale di Milano della Barclays titoli in lire turche emessi da una società lussemburghese della stessa Barclays, presentati come titoli atipici e detti “strumenti di partecipazione ai profitti”. Perché le lire turche? Perché in Turchia il rendimento dei titoli era più alto, il 20 per cento contro il 4 per cento europeo. Gli interessi ottenuti sono stati camuffati da dividendi, come se fossero il frutto di un investimento azionario, perché in Italia le tasse sugli interessi si pagano sull’intera somma percepita, mentre sui dividendi si pagano solo sul 5 per cento del valore. In questo modo il 95 per cento del guadagno rimane esente da imposte.
Attraverso questa operazione, che la banca ha chiamato Brontos, cioè brontosauri, Unicredit avrebbe sottratto al fisco 745 milioni di euro di guadagni, ai quali corrispondono tasse non pagate per 246 milioni.
La procura di Milano, attraverso il pm Alfredo Robledo, parla di “capziosa evasione fiscale” e ipotizza il reato di “dichiarazione fiscale fraudolenta”, punibile con la reclusione da un anno e mezzo a sei anni. Per questo il 5 giugno 2012 il gup Laura Marchiondelli ha rinviato a giudizio Alessandro Profumo (all’epoca dei fatti amministratore delegato di Unicredit) assieme ad altri 16 dirigenti della sua banca e a tre della Barclays. (...) Unicredit, prima di subire il sequestro, aveva accettato nel maggio 2011 di pagare 99 milioni per chiudere altre contestazioni con il fisco riferite al 2005. Il 3 agosto 2012, con un secondo accordo, la banca ha versato ulteriori 264,4 milioni all’Agenzia delle entrate. “Il pagamento riguarda in gran parte il caso Brontos, per cui abbiamo versato più o meno la somma contestata” ha detto il nuovo amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni. Tra questi e altri casi, in totale il fisco ha mosso contestazioni alle banche per una somma tra i quattro e i cinque miliardi di euro di imposte non pagate e sanzioni. Alla fine, attraverso le transazioni, lo Stato potrebbe incassare poco più di un miliardo. E gli altri tre o quattro miliardi? (...) Il consulente che nel 2007 ha dato un parere favorevole a Unicredit per l’operazione Brontos è lo studio fondato da Giulio Tremonti, il quale all’epoca non era al governo e dunque faceva il tributarista. Nel 2008 Tremonti è di nuovo ministro dell’Economia. Da lui dipende l’Agenzia delle entrate, cioè l’organo dello Stato che nel 2009 ha cominciato a contestare alle banche questa gigantesca evasione fiscale. Ma il suo studio tributario, che nei periodi in cui Tremonti è stato al governo si chiamava Vitali Romagnoli Piccardi, ha continuato a dare pareri favorevoli per le operazioni di Unicredit. Non solo: ha pure assistito il Credito emiliano nel ricorso del 2010 e la Banca popolare di Milano.
Quindi Tremonti tributarista ha consigliato alle banche di trovare il modo di pagare meno tasse, Tremonti ministro ha chiesto di pagarne di più attraverso i suoi funzionari, e anche il suo studio ha cambiato parere e consiglia di fare la pace con il fisco. (...)
E poi c’è il caso di Intesa Sanpaolo, la banca con il maggior numero di sportelli in Italia. Nel novembre del 2011, quando il suo ex amministratore delegato Corrado Passera è diventato superministro nel governo Monti, si è sparsa la voce che la banca stava facendo una trattativa per chiudere il contenzioso con il fisco. Secondo quanto comunicato al momento della transazione, il 13 dicembre 2011, l’ex banca di Passera ha pagato 270 milioni. Dal bilancio 2011 risulta che al gruppo veniva contestato, tra imposte, sanzioni e interessi, il mancato pagamento di un miliardo e 150 milioni. Dunque la somma sborsata per mettere a tacere le pretese del fisco è appena il 23 per cento della somma totale contestata. Un bel vantaggio per Intesa. La banca non ha chiarito se lo studio tributario fondato da Tremonti sia stato tra i suoi consulenti, lasciando un margine di dubbio su questo interrogativo. Viene anche da chiedersi se sia opportuno che l’accordo con lo Stato sia stato raggiunto poco dopo l’ingresso nel governo dell’ex numero uno della banca, o che il capo di una banca accusata di evasione fiscale sia diventato ministro.