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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

MA QUALE EMERGENZA : È LA POLITICA CHE FA AFFARI

L’emergenza rifiuti è una finzione. Ne è convinto Walter Ganapini, tra i massimi esperti italiani in materia ambientale, un passato da presidente di Greenpeace e per due anni assessore in Campania, seconda giunta Bassolino.
Napoli porta fuori nazione i rifiuti, Roma vorrebbe fare lo stesso. Il Consiglio di Stato potrebbe bloccare i camion che trasportano il pattume fuori regione, sarebbe la catastrofe. Lei dice che non c’è l’emergenza, ma scherza?
L’emergenza non esiste. Costruirla in un periodo di crisi economica solo per aumentare spartizione e mangiatoie è inaccettabile.
Ci faccia capire. Partiamo da Napoli.
Basta far funzionare gli ex Cdr (oggi Stir, ndr) in Campania attraverso un semplice revamping , una messa a nuovo, basta un mese. Sette impianti con una potenzialità di trattamento pari a 8 mila tonnellate di rifiuti al giorno, la Campania ne produce mille tonnellate in meno. Considerando la differenziata, i rifiuti in quella regione si potrebbero importare. Il problema è che quegli impianti li hanno fatti ammalare, quando arrivai erano inutilizzati, pieni zeppi di cataste di rifiuti, con il tempo sono stati derubricati a separatori di pattume. Un disastro. Se funzionassero bene, le frazioni in uscita sarebbero due: il secco e il biostabilizzato. Il primo combustibile in impianti esistenti o ulteriormente riciclabile, l’altro utilizzabile per ricomposizione ambientale: copertura di discariche esaurite, riempimento di cave. In Campania ci sono anche gli impianti di compostaggio, trattano la frazione umida da raccolta differenziata, ma sono inutilizzati
Ma scusi, ma se basta questo, perché si vogliono costruire altri impianti di incenerimento in Campania?
Il piano regionale è stato bocciato in sede europea. Di quegli impianti non c’è alcun bisogno, con una crescita della raccolta differenziata al 65% come prevede la legge, l’impiantistica è sufficiente e si può pensare di selezionare ulteriormente la parte restante mandando in archivio anche il discusso inceneritore di Acerra.
E lei da assessore perché non ha risolto il problema?
Non potevo neanche entrare negli impianti. Era tutto commissariato. Feci due cose: aumentare la differenziata (arrivammo al 29%) e aprire isole ecologiche.
Roma vuole portare il pattume fuori nazione...
A Roma ci sono 4 impianti di trattamento meccanico biologico dove entrano i rifiuti non differenziati, per intenderci il sacchetto nero. Quando arriva viene separato in una parte secca e in un’altra umida trattata, per dirla alla buona quello che dovrebbero fare gli ex Cdr campani. Possono trattare 4 mila tonnellate al giorno. Il problema è che li fanno funzionare a poco più della metà della loro potenzialità e così restano mille tonnellate non trattate che oggi vanno in discarica. Il quantitativo che domani dovrebbe essere spedito fuori dall’Italia. Ce lo chiede anche l’Europa.
E perché non si fa?
I rifiuti sono un canale di finanziamento della politica aggravato dalla presenza del crimine organizzato. In Campania bisogna fare i conti, come è successo a me, con intimidazioni e minacce.
La Campania ha anche un debito nel ciclo di gestione pari a un miliardo di euro. Un pozzo senza fine?
C’è un problema relativo all’evasione della tassa sui rifiuti e di sovrapposizione dei soggetti interessati alla gestione, ma non è l’unico. Gli ex Cdr sono stati costruiti con i fondi europei. L’Europa ha avviato una indagine per capire le ragioni del mancato utilizzo di quegli impianti e potrebbe chiedere la restituzione di due miliardi di euro. A Napoli e in Campania è difficile intervenire. Poco dopo la mia nomina, nel 2008, la prima volta che incontrai Guido Bertolaso mi disse: “Ma tu qui che sei venuto a fare?”. Compresi la situazione quando per caso trovai una discarica inutilizzata nel Casertano e ne comunicai l’esistenza ai giornali. Mi fu detto da altri soggetti di tenere la notizia riservata. Ho seguito un vecchio adagio: la migliore assicurazione sulla vita è evitare di avere segreti.
Chiudiamo con Roma. Il rischio è anche finanziario?
Le rispondo con un aneddoto. Nel 1998 ero all’Ama: avevamo 3 mila dipendenti. Io sono figlio di operaio, il lavoro è sacro, ma bisogna tener i conti in ordine. Oggi i dipendenti Ama sono 7800. Quando è arrivato un manager milanese competente come Salvatore Cappello volevano fargli digerire altre 250 assunzioni. Ha tenuto botta. Gli hanno tolto l’incarico.