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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

Consensi in picchiata, economia frenata, disoccupazione in crescita, una battaglia legale dalle conseguenze potenzialmente disastrose, figlia del default del 2001

Consensi in picchiata, economia frenata, disoccupazione in crescita, una battaglia legale dalle conseguenze potenzialmente disastrose, figlia del default del 2001. Dispute con Spagna, Europa e perfino con il Fondo monetario internazionale. La ciliegina che mancava sulla torta del presidente argentino Cristina Kirchner è arrivata martedì con il primo sciopero generale in 10 anni. La manifestazione è stata indetta da quello che oggi si pone forse come l’avversario più temibile della Kirchner, il leader sindacale Hugo Moyano. Secondo un sondaggio dello scorso mese, il capo di Stato ha un tasso di approvazione del 32%, in picchiata dal 64,1% di ottobre 2011, quando ottenne il secondo mandato presidenziale. Ma l’opposizione politica non è messa meglio, con consensi più o meno agli stessi livelli, se non più bassi. Martedì i manifestanti hanno bloccato le strade della capitale con picchetti e barricate di copertoni in fiamme, infierendo sui negozi che hanno ignorato lo stop e sono rimasti aperti. Già l’8 novembre c’erano state ampie manifestazioni contro l’impennata della criminalità, il caro vita e le politiche del Governo. Moyano vuole sgravi fiscali e ammortizzatori per i lavoratori alle prese con un’inflazione in doppia cifra. Richieste ignorate finora dalla Kirchner. Il leader sindacale era uno stretto alleato del presidente e di suo marito, ma i rapporti tra i due ex-colleghi del Partito peronista si sono incrinati proprio dopo la morte di Nestor, nel 2010. Dall’inizio dell’anno, guida una sigla nata dalla scissione della potente confederazione Cgt, che resta filo-governativa. Le politiche della Kirchner hanno innescato una scissione anche nel sindacato dei dipendenti pubblici, a sua volta spaccatosi in una componente antagonista e una allineata all’Esecutivo. Fratture che minacciano di esasperare le tensioni sociali. Il fronte della contestazione si estende agli agricoltori, colpiti dal dazio del 35% sulle esportazioni di soia introdotto dal Governo. Così scioperi e proteste si sono moltiplicati negli ultimi mesi, anche a causa delle difficoltà economiche del Paese, che ha visto interrompersi un lungo boom, fatto di tassi di crescita superiori al 7% tra il 2003 e il 2011. Quest’anno l’aumento del Pil si fermerà al 2-3%. Nel secondo trimestre dell’anno la crescita è stata piatta. La frenata dell’economia non è certo un problema secondario per la Kirchner, che però ha molti altri guai, spesso causati da decisioni controverse. Poco dopo le elezioni, per fermare la fuga di capitali che stava prosciugando le riserve della banca centrale, il Governo ha varato una serie di restrizioni che arrivano al razionamento dell’acquisto di moneta estera. In sostanza, è il Governo a decidere chi può comprare dollari o euro. Questo non solo ha complicato la vita a chi viaggia, ma, secondo gli economisti, sarebbe anche in parte responsabile del calo degli investimenti, soprattutto nel settore immobiliare. La disoccupazione a settembre è salita al 7,6% e l’inflazione continua a correre: secondo le stime ufficiali, nei dodici mesi fino a ottobre ha raggiunto il 10,2%, ma economisti indipendenti stimano un tasso del 20-25%. I dati sul costo della vita sono al centro della disputa con l’Fmi, che contesta le cifre fornite dal Governo anche su crescita e produzione industriale e minaccia di espellere l’Argentina se non adotterà criteri di misurazione in linea con gli standard internazionali. Le accuse al Governo argentino di manipolare le rilevazioni sull’inflazione per questioni politiche e per ridurre i rendimenti dei titoli pubblici indicizzati risalgono all’inizio del 2007, ma i rapporti con l’Fmi sono tesi dalla crisi del 2001-02, che molti argentini imputano alle politiche imposte dal Fondo. Un colpo durissimo a Buenos Aires potrebbe arrivare dagli Stati Uniti già nelle prossime settimane, quando ci sarà il giudizio d’appello su una decisione bomba presa da un tribunale di New York sul default da 100 miliardi di dollari di quasi undici anni fa. Il 26 ottobre, il Paese è stato condannato a rimborsare anche i proprietari di bond che non hanno aderito alla ristrutturazione del 2005 e del 2010. Il verdetto, impugnato da Buenos Aires, è costato tanto per cominciare il declassamento di S&P’s. Una decisione dovrebbe arrivare prima del 2 dicembre, quando l’Argentina dovrà iniziare a rimborsare 2,2 miliardi di dollari. Un esito sfavorevole metterebbe il Paese sull’orlo di un nuovo default da 24 miliardi di dollari. Come se non bastasse, c’è anche la partita della nazionalizzazione del 51% di Ypf, una controllata della spagnola Repsol che il Governo ha rivendicato a sé il 16 aprile. Una decisione che potrebbe aprire nuovi contenziosi internazionali e ha già innescato ritorsioni da parte della Ue. Per Repsol, il 51% della Ypf vale 10,3 miliardi di dollari.