Marco Cremonesi, Corriere della Sera 22/11/2012, 22 novembre 2012
«VINCO E FACCIO L’EUROREGIONE DEL NORD» —
«Quando sarò eletto presidente della Lombardia, ci mettiamo insieme con Cota e Zaia e dal giorno dopo parte l’Euroregione del Nord. Questo è il valore aggiunto della mia candidatura». Roberto Maroni si stacca in parte dalla stretta attualità politica. Questa volta, intervistato dal direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, ha modo di spiegare compiutamente il nuovo sogno che offre ai suoi «barbari», non più la Padania ma un’Euroregione che è «l’aggiornamento della visione di un vecchio leghista, Gianfranco Miglio con le sue macroregioni». La novità sta nella direzione in cui il futuribile soggetto indirizzerà la sua azione: «Non più verso Roma, non più verso Sud. Ma oltre le Alpi, per diventare parte di quell’Europa delle Regioni che è l’unica uscita possibile della crisi dell’Europa degli Stati». Il direttore del Corriere chiede anche qualche autocritica a Maroni, «un esame serio di quello che è accaduto nel rapporto tra Stato e Regioni negli anni di governo», che hanno visto il boom della spesa regionale. Il segretario leghista raccoglie fino a un certo punto, per lui ormai l’obiettivo è il lancio di una «nuova Europa federale in cui le tessere siano le Regioni e non più gli stati nazionali». E aggiunge di apprezzare per l’Europa «il modello americano, con l’elezione del premier o presidente. Oggi Barroso non è eletto da nessuno. E il Parlamento di Strasburgo è l’unico al mondo che non fa le leggi».
Ferruccio de Bortoli chiede a Maroni se non ci sia contraddizione tra le critiche alla vecchia alleanza con il Pdl e le prove tecniche di nuova alleanza. E qui Maroni torna all’oggi: «Al momento, salvo che la Lega decida diversamente, con noi all’opposizione e il Pdl al governo, non c’è la minima possibilità di fare l’accordo per le elezioni politiche. Diverso è il caso della Lombardia, dove siamo tuttora al governo insieme. Ma io aspetto fino a domenica. Non do ultimatum, ma se il Pdl rimane lì ancora dieci giorni, arrivederci e grazie». Tra l’altro, ieri Maroni ha incassato l’intenzione di voto di Giulio Tremonti: «In Lombardia voterei e voterò Roberto Maroni», ha detto ieri mattina a Omnibus, su La7.
L’occasione della pubblica intervista è offerta dalla presentazione del libro «Il mio Nord», scritto con Carlo Brambilla, per vent’anni cronista di cose leghiste per «L’Unità». Ed è quest’ultimo che rivela la genesi del libro: «Doveva essere la rivendicazione del lavoro svolto in trent’anni di Lega nel momento in cui contro di lui era in atto l’offensiva di una parte del partito. Poi, in corso d’opera, il libro si è trasformato in qualcosa di profondamente diverso: nel frattempo, Maroni era diventato il segretario della Lega».
Il libro, così, è tutto giocato su un doppio registro. Da una parte, la «versione di Bobo», la storia della Lega vista con gli occhi di un protagonista come Maroni. Dall’altra, il manifesto politico della «nuova» Lega, il senso compiuto di quel «Prima il Nord» che rappresenta non semplicemente il brand del Carroccio di seconda generazione, ma soprattutto una profonda revisione della sua cultura, delle sue parole d’ordine e della sua organizzazione.
Nel suo ripercorrere le vicende del movimento, Maroni parte dalla fine. Dalle vicende che hanno portato lui a sostituire Umberto Bossi alla guida del partito e dall’onda sismica anche giudiziaria che ha investito il Carroccio all’inizio dell’anno. Al cosiddetto cerchio magico intorno a Bossi sono in realtà dedicate poche righe: dopo la malattia del «Capo», «il gruppo si è formato quasi subito, prima come cordone sanitario per proteggere l’integrità dell’illustre degente, poi come (presunto) depositario e unico comunicatore delle indicazioni che sarebbero venute da un capo sempre più isolato e lontano dalla realtà, tanto da essere portato ad occuparsi di "altro"». E ancora, «il punto massimo della spudoratezza»: quando alcuni esponenti cerchisti si sono presentati all’uscio del consiglio dei ministri parlando a nome di Bossi, «addirittura con lo stesso Bossi presente».
Da lì, la nascita dei «barbari sognanti», non come corrente interna ma come rinnovato spirito leghista. Maroni torna poi all’inizio, al suo primo contatto con Bossi nel 1979 tramite il comune amico Andrea Brianza, che voleva coinvolgere entrambi nella mobilitazione contro un’operazione edilizia vicino a Lozza, il paese di Maroni. Il nuovo leader ripercorre poi altre tappe-chiave: la nascita della Lega lombarda, la sua segreteria a Varese e la fine della «fase etnica» e del dialetto quando Bossi comprese, sul finire degli anni Ottanta, che l’eccesso di localismo rischiava di minare l’ideale unità della Padania.
Marco Cremonesi