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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

TRA LITI, BUROCRATI E CORROTTI IL PETROLIO DELL’IRAQ HA GIA’ STANCATO LE MAJORS

La produzione di petro­lio dell’Iraq, ha scritto l’Aie – l’Agenzia inter­nazionale dell’energia – nel suo recente “Special Report” dedicato a Baghdad, rad­doppierà in 8 anni: passerà dai 3,2 milioni di barili quo­tidiani di oggi a oltre 6 mi­lioni di barili nel 2020. L’Aie – che cura gli interessi ener­getici dei Paesi dell’Ocse – non lo scrive, ma il governo iracheno due anni fa preve­deva per il 2020 una produ­zione di 12 milioni di barili al giorno. Non sorprende che i vecchi obiettivi siano stati così rapidamente abbando­nati: con il passare degli an­ni l’Iraq sta regalando molte delusioni alle compagnie petrolifere.
Chi ha vinto la corsa all’oro nero iracheno iniziata subi­to dopo la fine della guerra sta valutando che fare con gli enormi giacimenti di quella terra, sotto la quale, secondo le stime più ottimi­stiche, riposano 200 miliar­di di barili di greggio. I pro­blemi emersi in questo de­cennio sono tanti. Le infra­strutture per trasportare e accumulare il greggio, che hanno avuto pochissimi in­vestimenti negli anni di Sad­dam, sono in pessimo stato e migliorano troppo lenta­mente. Le leggi che regolano il settore petrolifero, basate sulla Costituzione del 2005, sono vaghe e si prestano a troppe interpretazioni di­verse. La burocrazia è asfis­siante e la corruzione impe­ra: l’Iraq è al 175° posto tra le 182 nazioni nella classifica della corruzione preparata da Transparency Internatio­nal e secondo l’ultimo rap­porto dell’ispettore genera­le speciale degli Stati Uniti per la ricostruzione ogni giorno 800 milioni di dollari lasciano l’Iraq illegalmente per essere nascosti all’estero. «L’Iraq è un mondo meravi­glioso per chi si occupa di i­drocarburi, ma faccio un po’ fatica a dire che va tutto be­ne » ha ammesso Paolo Sca­roni, amministratore dele­gato dell’Eni, alla presenta­zione del rapporto dell’Aie. L’Eni in Iraq si è aggiudicata nel 2008 il giacimento di Zu­bair, il terzo più interessan­te del Paese dopo Rumaila, finito agli inglesi di British Petroleum, e West Qurna I, aggiudicato agli americani di ExxonMobil. Il manager veneto ha fatto capire che difficilmente l’azienda ita­liana parteciperà alle pros­sime aste organizzate dal go­verno di Baghdad: «Ci stia­mo proprio ponendo la que­stione se insistere in un Pae­se che si è rivelato più com­plesso di quello che imma­ginavamo. Avessimo avuto più soddisfazione dal duro lavoro nel Paese non ci por­remmo il problema».
Exxon il problema se lo è già posto e lo ha anche risolto, decidendo di andarsene. La compagnia americana ha messo in vendita i suoi dirit­ti su West Qurna – un pro­getto da 50 miliardi di euro – per potere investire senza problemi nella regione au­tonoma del Kurdistan, nel Nord del Paese. È stato il go­verno iracheno a spingerla ad andarsene: Baghdad in­fatti ha dato l’aut aut, chi fa contratti con il governo del­la regione autonoma (ac­cordi illegali, secondo Bagh­dad) non potrà lavorare an­che in Iraq. La questione, ov­vio, verte sui soldi. Il gover­no autonomo del Kurdistan vuole che le royalties del pe­trolio trovato sui suoi giaci­menti vadano alla sua gen­te, Baghdad invece ha scrit­to nella Costituzione che il denaro del petrolio va divi­so tra tutta la popolazione i­rachena. Con 23 trivellazio­ni in corso e 50 contratti già firmati tra le compagnie e il governo autonomo l’area del Kurdistan è una delle più promettenti del mondo: l’o­biettivo è portare la produ­zione a 1 milione di barili nel 2014 e a 2 nel 2019. A set­tembre i due governi aveva­no trovato un accordo: il Kurdistan avrebbe prodotto 200 mila barili al giorno da ottobre in cambio di mille miliardi di dinari (circa 670 milioni di euro). Poche set­timane dopo il pagamento dei primi 650 miliardi, però, Baghdad ha accusato i cur­di di non essere in grado di mantenere la produzione al livello concordato, ha an­nullato l’intesa e ha dato il suo aut aut.
Exxon, che pure aveva in I­raq un giacimento colossa­le, ha scelto i curdi; poco do­po l’ha seguita anche Che­vron. Total potrebbe farlo presto. Il fatto è che il gover­no del Kurdistan offre con­tratti molto più redditizi di quello di Baghdad. Eni non ha intenzione di muoversi, almeno per ora. La fuga de­gli occidentali in Kurdistan lascia spazio a compagnie a­siatiche in cerca di fortuna in Iraq: in corsa per il giaci­mento che Exxon lascerà ci sono la russa Lukoil, che già ha West Qurna II, e la cinese Cnooc, che in Iraq ha un gia­cimento di media grandez­za. E l’ultima asta per le e­splorazioni organizzata da Baghdad si è conclusa con la vittoria delle russe Lukoil e Bashfnet, della Pakistan Pe­troleum e della Kuwait E­nergy. Compagnie di secon­da fascia, con tecnologie non all’altezza di quelle dei rivali americani ed europei, e quindi meno capaci di sfruttare i giacimenti irache­ni. A forza di burocrazia, liti internee corruzione, l’Iraq rischia così di perdere cla­morosamente la scommes­sa più importante e più faci­le, quella sull’oro nero, da cui arriva il 95% delle entrate del Paese.