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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

QUANDO LE POSTE INVENTARONO L’ITALIA


Le Poste Italiane festeggiano un secolo e mezzo di vita, è chiaro che ogni nativo digitale non sarà sfiorato nemmeno dall’idea che questa sia una ricorrenza da ricordare. Sarebbe però presuntuoso non riflettere su quale sia stato il cammino delle transazioni epistolari nel nostro Paese, oggi tra i primi nel mondo per esercizio della comunicazione 2.0. La passione nazionale nel «messaggiarci» deve cercare le sue radici storiche nell’anno 1862, quando l’Italia, nel bene o nel male, era stata fatta da un anno. Fu allora che, chi si era preso l’onere di fare anche gli italiani, reputò indispensabile la creazione di un operatore postale nazionale. Si badi bene a non sovrapporre tutti i luoghi comuni possibili, maturati nel nostro frequentare uffici postali, con quella che fu una straordinaria rivoluzione.

La Riforma postale si appoggiava alla Legge n. 604 del 5 maggio 1862 e introduceva dei fondamentali principi riguardo alla corrispondenza, tra cui la sua inviolabilità. Il concetto di privacy riguardo al contenuto delle lettere fu per la prima volta garantito dal fatto che la loro distribuzione su tutto il territorio nazionale fosse in monopolio a un servizio pubblico. Attraverso il francobollo, era imposta una tariffa uguale per tutti i cittadini, in cambio dell’impegno a «coprire» con i propri servizi tutto il territorio nazionale, anche i luoghi dove non ci fosse un congruo ritorno economico.

La posta pubblica cominciò a viaggiare su rotaia, in maniera molto più sicura piuttosto che a cavallo o con corrieri appiedati. Era il progresso, grazie a cui anche le transazioni economiche cominciarono a superare i limiti geografici attraverso il vaglia, che divenne lo strumento principe a cui i nostri emigrarti affidavano le loro rimesse. Dal 1876, dopo che le Poste iniziarono a emettere i libretti di risparmio, chiunque si sentisse socialmente inadeguato a un rapporto con le banche, aveva comunque alternative più sicure che il seppellimento del gruzzolo sotto alla mattonella di casa.

Nel 1896 Guglielmo Marconi brevettò il telegrafo senza fili, tre anni dopo fu istituito il Ministero delle Poste e Telegrafi, che ci permise di allargare il nostro orizzonte mentale all’idea che le comunicazioni potessero superare anche la barriera della distanza e dei conseguenti lunghi tempi di consegna. Nell’ambito professionale vale lo stesso principio: tutta la nostra dimestichezza nella gestione di corrispondenza elettronica si fonda su una mutazione genetica dovuta alla posta pneumatica, operativa dal 1913, prima a Milano, poi a Roma e Napoli. Era un bussolotto di metallo sparato ad aria compressa attraverso una rete di tubature che collegavano vari luoghi di lavoro nell’area cittadina. In pratica un embrione del web, anche se ancora legato a un supporto fisico.

La Grande Guerra fu un tragico evento, ma sancì la centralità del servizio postale, unico network emotivo possibile tra combattenti al fronte e le famiglie. La penuria di maschi, impegnati nel combattimento, fu paradossalmente motivo di emancipazione femminile. Fu proprio allora che le donne cominciarono a lavorare nelle Poste Italiane. Quando ci mise mano il Fascismo, nel ’24 si inventò il Ministero delle Comunicazioni, che metteva assieme Poste, Telegrafi, Telefoni, Ferrovie e Marina. Come dire che tutto quello che allora costituiva il software e l’hardware della comunicazione pubblica, aveva un unico grande centro di controllo.

I dipendenti delle Poste erano tra i lavoratori più invidiati del tempo: avevano la cassa mutua, un loro dopolavoro e potevano usufruire di sconti su generi alimentari, spettacoli e gare sportive. Ed è ipotizzabile che quel moto solidale di ribellione da fila immobile, verso chi sia ritenuto, a ragione o torto, istituzionalmente responsabile del rallentamento, si alimenti anche dalla memoria collettiva dei privilegi che, allora, il regime attribuì ai dipendenti di quel nuovo Ministero.

Sarebbe bello che ogni improperio che rimbalza ogni giorno in qualsiasi coda che si formi davanti a uno sportello, fosse solo frutto di un atavico risentimento. Potremmo così sperare che ce ne liberi per sempre, oltre alle nuove tecnologie delle Poste Italiane, anche l’anagrafico esaurimento dei frequentatori più arrabbiati degli uffici postali, da sempre strenui monopolisti del nostro tempo perduto con un tagliando numerato in mano.